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N. 12 - Maggio 2006

LADISLAV MNACKO

La vita e i romanzi di un partigiano slovacco

di Leila Tavi

 

Le opere dello slovacco Ladislav Mnačko sono state tradotte in 28 lingue e hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo eppure, se si chiede per le strade di Bratislava oggi chi è stato Ladislav Mnačko, quasi nessuno si ricorda dello scrittore che ha lottato tra le file dei partigiani per liberare la sua patria dal giogo nazista e ha scritto romanzi e racconti in cui i protagonisti sono eroi che credono nel sogno di un mondo socialista.

 

Mnačko è stato colui che ha cercato di rendere “umano” il volto del Comunismo, attraverso le sue opere concepite secondo il principio per cui bisogna servire la verità e farla prevalere sopra ogni altra cosa.

 

Un realismo socialista che trasuda dalle sue crepe dolore. Mnačko narra di chi soffre, “le urla, le confessioni, le proteste di uomini e donne sconosciuti che mi hanno mostrato i loro animi mutilati, il loro orgoglio, il loro onore”.

 

I romanzi di Mnačko degli anni Sessanta, che appartengono a uno stile letterario soprannominato letteraturabulldozer”, sono delle denunce aperte non nel senso di una manifesta opposizione al regime; i suoi romanzi, piuttosto, sembrano voler rendere giustizia alle vittime e consegnare i colpevoli alla implacabile legge socialista.

 

Il Partito comunista slovacco, di cui Mnačko era membro, esce sempre assolto dalle pagine dell’autore. Mnačko è un lealista, un ortodosso; mai un ribelle, mai in opposizione con i dettami del suo amato partito, nelle cui file vanta una lunga appartenenza.

 

La sua carriera come giornalista inizia durante gli anni del terrore staliniano. Mnačko rimane fedele a Stalin fino al giorno del XX Congresso del PCUS; lo scrittore, membro dell’Unione degli scrittori cecoslovacchi, ammette solo nel 1956, durante un Congresso degli scrittori cecoslovacchi, gli orrori dell’era staliniana.

 

Dal 1962 al 1968 si assiste al periodo del secondo disgelo cecoslovacco, in cui la letteratura per la prima volta è opera di scrittori e di intellettuali, tra cui Mnačko, che si fa garante di valori dal gusto retrò come: verità, coscienza e dignità umana.

 

Il suo articolo intitolato Coscienza, pubblicato nel 1962 nella rivista Kulturny Zivot, il portavoce del movimento progressista dell’inizio degli anni Sessanta, fa rivivere la coscienza come valore borghese, intriso di religiosità, fuso però nel concetto di “lealtà” caro ai socialisti.

 

Per la  rivista Kulturny Zivot scrivono anche i neo liberali, i revisionisti delle teorie economiche, che portano la Cecoslovacchia, agli inizi degli anni Sessanta, al boom economico attraverso l’applicazione della decentralizzazione e del profitto, concetti che gli altri paesi satelliti non osano neanche teorizzare.

 

Ma Mnačko non abbraccia queste teorie, non ne vuole sapere di liberismo, rimane fedele al comunismo e il Partito lo premia per la sua lealtà. Nel 1963 è insignito dal Comitato centrale del Premio di Stato per la Letteratura.

 

Nel giugno dello stesso anno però A. Novotny, Presidente del Segretariato di Partito, attacca pubblicamente l’articolo Coscienza di Mnačko considerandolo troppo pericoloso e borghese. Nel 1963 si respira però in Cecoslovacchia un clima di generale distensione: V. Siroky, il primo ministro filo-stalinista, è addirittura rimosso dagli incarichi del Partito comunista cecoslovacco per le sue rigide idee.

 

Nei racconti Mnačko pubblicati nel Kulturny Zivot all’inizio degli anni Sessanta si avverte, come in un presagio, il clima di paura e cospirazione del post 1968, di quella che l’autore chiama la “società della giungla”: la generalizzata mancanza di responsabilità, il caos economico e amministrativo, la corruzione, l’avidità del potere.

 

Ma la lotta non è tra bene e male, ma tra “cattivi” e “buoni” comunisti; i suoi eroi sono sempre fedeli e incorruttibili membri di partito, mai anti-comunisti.

 

Solo nel racconto pubblicato nel giugno del 1963 dal titolo Conversazione notturna ci troviamo per la prima volta davanti a uno di quelli che il Partito considera dei parassiti, nullatenenti e disoccupati.

 

Il protagonista del racconto è un ex ufficiale dell’aeronautica ceco, in servizio durante la seconda guerra mondiale, che diventa un perseguitato politico, uno che sceglie di essere un outsider, spinto dal sistema a compartimenti stagni della società socialista.

 

Sono una sciagura, un’infezione nel sistema. […] Se stai seduto accanto a me sarai sospettato di associazione con un individuo pericoloso, questo individuo sono io. […] Sono solo un Occidentale reazionario […] ma mostrami un solo essere umano che non è stanco, intimidito o impaurito, almeno uno che non sia stato preso a calci, ferito o insultato.”

 

Per questo racconto Mnačko è accusato da un lettore della rivista di oltraggio alla classe operaia e all’ordine socialista. Il racconto è eliminato nella successiva raccolta dell'autore. Apparirà in seguito in una versione “pirata” tradotta e pubblicata in Germania, da un editore di Cologna, che intitola il libro di racconti Il giardino rosso della tortura, dal racconto centrale Giardino di dolore.

 

Per servire la verità Mnačko si rifiuta di descrivere la società nella Cecoslovacchia degli anni Sessanta come il perfetto connubio tra progresso economico e fede socialista.

 

In una lettera allo scrittore tedesco Rolf Hochhuth, pubblicata nel settimanale Die Zeit nel settembre 1963, lo scrittore slovacco scrive: “non c’è assolutamente nessuna differenza tra il mio Partito e me stesso”.

 

In quegli anni Mnačko comincia a capire che nel mondo comunista esistevano due verità: quella esterna della propaganda e quella interiore dell’animo mutilato.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Suzanne L. Auer, Vom sozialistischen Realismus zu Kritizismus und Satire. Ladislav Mnačkos Romanwerk, Berna, Peter Lang, 1989

Frank Oswald, The case of Ladislav Mnačko, “Transition”, n. 19

 

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