[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 213 / SETTEMBRE 2025 (CCXLIV)


attualità

IL KURDISTAN, IL CONFEDERALISMO, LE DONNE
UN MONDO DA COSTRUIRE
/ PARTE III
di Giuseppe Tramontana

 

Il sistema del confederalismo democratico è un progetto innovativo in Medio Oriente. Tra i suoi pilastri vanno annoverati l’uguaglianza di genere e il ruolo della donna curda. Si tratta della cosiddetta filosofia Jineolojî, ideata da Öcalan, il quale formulò il concetto in base al quale il livello di libertà di una società è dato dal livello di libertà delle sue donne. Come abbiamo visto, per il leader e teorico curdo, il patriarcato e la sottomissione delle donne sono alla base di tutte le forme di dominio vigenti nella società capitalistica. Senza la schiavitù delle donne, nessuna delle altre forme di dominio potrebbe esistere e svilupparsi. Il capitalismo e lo stato-nazione sono la forma più manifesta e istituzionalizzata di potere del maschio: «il capitalismo e lo stato-nazione sono il monopolio del maschio dispotico e sfruttatore» (Öcalan 2019: 15). Il patriarcato nel Vicino Oriente ha determinato una brutale sottomissione delle donne e, come conseguenza, la legalizzazione di soprusi generalizzati ai danni dei bambini, i cui matrimoni vengono ammessi, e della stessa componente femminile della società costretta a processi ingiusti, a non essere titolare di denaro o non poter compiere operazioni bancarie, a cui viene negata l’istruzione, a cui vengono imposti vestiti da indossare.

 

Nella Carta, sono tre i principali istituti su cui si incardina il sistema della perfetta uguaglianza tra uomini e donne: 1) le quote: in tutti i consigli elettivi vi deve essere una quota garantita di almeno il 40% di ciascun genere (e quindi anche di donne) e ciò garantisce una tendenziale parità numerica nelle istituzioni amministrative e nei comitati (art. 87); 2) ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 28 (che demanda a leggi ad hoc la previsione di istituti che garantiscano la parità di genere) e 44 (che stabilisce che la lista dei diritti e delle libertà prevista nella Carta non è esaustiva, potendosene aggiungere altri) è stato varato il sistema di co-presidenze: tutte le posizioni chiave a tutti i livelli negli organi decisionali seguono il sistema di co-presidenze donna-uomo. Per le posizioni dirigenziali (sindaco, presidente di un consiglio elettivo o di assemblea) un uomo e una donna di etnie differenti sono considerati presidenti ed hanno gli stessi poteri; 3) le commissioni per l’uguaglianza di genere: sono commissioni per i diritti delle donne e sono composte solo da donne di diversa etnia. Sono parallele agli organi decisionali e hanno il diritto di veto su materie riguardanti i diritti o la vita delle donne. Possono provvedere anche a servizi di supporto alle donne in difficoltà a causa di violenza o abusi o che hanno bisogno di tutela in caso di violenze domestiche.

 

È palese, allora, come il femminismo rivendicato dalle donne curde non riguardi un progetto statale, ma una forma di organizzazione e azione voluto dalle donne e gestito da loro stesse. Le organizzazioni a difesa della donna – accademie, comitati, Unità di autodifesa, tribunali e cooperative esclusivamente femminili – stanno dando un contributo notevole all’affermazione dei diritti delle donne. «Il Movimento delle Donne Curde si organizza autonomamente in tutte le sfere della vita, dalla difesa all’economia, dall’istruzione alla salute. Affinché una lotta di liberazione assuma pieno significato, l’emancipazione della donna non deve essere solo un fine, ma anche uno strumento che concorra attivamente al processo. In effetti, la democrazia è in larga misura definita dal grado di libertà della donna» (Dirik 2017: 179-180).

 

Il movimento di liberazione delle donne curdo ha alle spalle una lunga storia, essendo nato ed essendosi sviluppato negli anni Settanta, un periodo di forti lotte sociali e di forte influenza del cosiddetto socialismo reale: «alla sua fondazione, nel 1978, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) aspirava alla fondazione di uno Stato-nazione socialista. Il movimento delle donne curde nasce e si sviluppa all’interno del movimento di liberazione» (Milano-Tanrikulu 2015. 293). Ma presto, in relazione alla lotta per la liberazione delle donne, l’organizzazione si accorse della gravità del problema che aveva davanti e costruì la YJWK (Unione Patriottica delle Donne del Kurdistan) nel 1987. La fondazione di questa unione fu la prima dichiarazione di intenti verso un’organizzazione delle donne unica e separata. Negli anni ‘90 c’è stato un enorme afflusso di donne nelle forze della guerriglia. Il conseguente sviluppo delle donne nell’autodifesa diede loro sicurezza. Questo portò a enormi trasformazioni ideologiche, politiche e sociali. E portò anche a cambiamenti nel modo in cui le donne erano percepite all’interno della società curda e dai maschi. Questa nuova consapevolezza, accompagnata dal riconoscimento esterno, condusse alla formazione di una nuova organizzazione con le forze della guerriglia. Nel 1993 per la prima volta furono formate unità di sole donne. Ciò significava che non sarebbero state sotto il controllo diretto di guerriglieri maschi e che avrebbero avuto modo grado di fare dei propri piani di decisioni e quindi di realizzare questi piani.

 

Nel 1995 fu formata la YAJK (Unione delle Donne Libere del Kurdistan). All’interno della lotta di liberazione del popolo curdo, si innesta un’altra problematica: quella della liberazione della donna. E la soluzione richiedeva un rimettere in questione la mentalità patriarcale e i rapporti da essa derivanti vigenti nella società curda. Era una questione di potere e di mentalità che comportava la rottura con tabù storici, come, ad esempio, la sottomissione agli ordini maschili, e la creazione di spazi di democrazia egualitaria. Ovviamente non mancarono le tensioni e i conflitti. Nel 1998, le donne definirono i principi dell’ideologia della liberazione delle donne e per metterla in pratica formarono il PJKK (Partito delle Lavoratrici del Kurdistan). Nel 2000 allargarono la loro prospettiva organizzativa e di lotta e fondarono il Pajk– Partito delle Donne Libere del Kurdistan. Una delle più importanti conquiste di questo periodo fu il Contratto Sociale delle Donne. Tuttavia, questi tentativi non superarono completamente i limiti e la struttura del patriarcato. Non solo il movimento delle donne, ma tutta l’organizzazione era alla ricerca di un’alternativa. C’era bisogno di un’organizzazione delle donne che trascendesse le strutture di partito e che fosse più flessibile e che fosse un’organizzazione completa confederale delle donne. Quindi nel 2005 è stato fondato il KJB (Alto Consiglio delle Donne), con l’obiettivo di farne il punto di coordinamento tra le forze di autodifesa, organizzazioni sociali, il partito delle donne PAJK e l’organizzazione delle giovani donne. Il primo passo concreto verso la nascita di questa nuova società si è avuto nel 2012 con l’autoproclamata autonomia del Kurdistan della Siria del Nord Est (Rojava). Qui, partendo dallo studio delle esperienze rivoluzionarie degli altri poli, hanno cercato di elaborare un sistema che si adattasse al proprio contesto: la “teoria della rottura”. I suoi principi essenziali sono: agire indipendentemente dall’uomo; contare sulle proprie forze; rivelare la propria consapevolezza di genere; creare proprie organizzazioni per le donne. La liberazione delle donne è considerato il fondamento della lotta per la democrazia, il presupposto per la liberazione dal capitalismo.

 

Nel settembre del 2014 l’organizzazione delle donne ha attraversato un’altra trasformazione e contemporaneamente di conseguenza ha cambiato il suo nome in KJK (Komalên Jinên Kurdistan, Comunità delle donne del Kurdistan). In questo modo le donne si organizzarono e si organizzano a partire dal livello locale verso e in tutte le strutture decisionali.

 

A livello giuridico un passo decisivo verso la parità di genere fu l’approvazione, sempre nel 2014, della Legge delle Donne del 2014 che comprendeva il diritto al divorzio e al lavoro, oltre alla proibizione della poligamia e dei matrimoni forzati e/o precoci. Questa legge è applicata regolarmente nelle regioni di Afrin, Kobane e Jazeera, ma non ancora del tutto in altre aree. Gli uomini impiegati nelle istituzioni pubbliche della Siria del Nord e dell’Est non possono sposare più di una donna, anche se a quelli che si trovano già in una condizione di matrimoni multipli pre-esistente non viene espulso dal lavoro. Nelle regioni in cui la Legge delle Donne non è stata ancora pienamente applicata, le attiviste hanno scelto di adottare un approccio graduale finalizzato ad un cambiamento profondo della società evitando l’imposizione dall’alto di leggi che potrebbero essere rifiutate dalla popolazione e anche dalle donne stesse. La quantità di energie impiegate per risolvere “la questione delle donne” è testimoniata dallo stesso numero di istituzioni, assemblee e iniziative che fanno parte del movimento delle donne nella Siria del Nord e dell’Est. In queste senso, la prima importante istituzione da citare è il Kongreya Star, Congresso Star, (in riferimento alla antica dea mesopotamica Istar), il congresso del movimento delle donne della Siria del Nord e dell’Est, una federazione basata sulla partecipazione di organizzazioni, comitati e unioni. La sua idea è di sviluppare un Rojava libero, una Siria democratica e un Medio Oriente democratico promuovendo la libertà delle donne e il concetto della nazione democratica. Esso assume decisioni in una conferenza che si tiene ogni due anni, delegando il potere decisionale alle varie strutture e ai singoli comitati che ne fanno parte. È organizzato in comuni e consigli con l’apporto anche di istituzioni accademiche, sindacati, partiti politici, cooperative, associazioni e comitati.

 

Le donne sono organizzate nel Kongreya Star entro le strutture dell’Amministrazione Autonoma e altre strutture come la Unione delle Donne Siriache (per le donne siriaco-assire) e lavora in forma indipendente. Il Kongreya Star organizza il lavoro attraverso vari comitati come quello delle Relazioni Diplomatiche, dei Media, dell’Educazione, dell’Ambiente, della Giustizia e così via, comprese le Forze Collettive di Autodifesa delle Donne. Il Kongreya Star organizza e sostiene molte attività a tutti i livelli della società comprese manifestazioni, programmi di formazione, la partecipazione a partnership internazionali e costituendo cooperative. Nonostante le sue radici siano nel movimento curdo, ci si sta muovendo per includere le donne di tutti i gruppi etnici che vivono nella Siria del Nord e dell’Est.

Un aspetto interessante di quanto qui prodotto è stato lo sviluppo della Jineoloji, la “scienza delle donne”. Il termine Jineolojî, derivante da Jin (“donna”, in curdo, che, però condivide la stessa radice di Jiyan/Jin, “vita”) e lojî è l’adattamento curdo del greco – logia – apparve per la prima volta nel terzo volume del Manifesto della civiltà democratica di Öcalan, intitolato Sociologia della libertà. Più che una filosofia è, come dice la definizione medesima, una scienza, elaborata a partire dal 2008. Nel 2011 fu costituito il primo comitato di Jineolojî all’interno del Pajk, il Partito delle donne libere del Kurdistan. Nel 2015 le donne del partito si riunirono sulle montagne del Kurdistan per la prima conferenza di Jineolojî organizzata dal Paik. In quell’occasione furono creati diversi comitati per promuovere il lavoro di Jineolojî nelle quattro parti del Kurdistan e in Europa, muovendo i primi passi per la diffusione della scienza delle donne.

 

Anche se il primo comitato di Jineolojî è nato all’interno del Pajk, la sua rete oggi è diffusa in varie parti del mondo, e anche donne di organizzazioni diverse, che non sono legate al Pajk, fanno parte di Jineolojî. Questa filosofia (o scienza) viene insegnata oggi in centri predisposti in cui le donne vengono educate ai principi dell’emancipazione e dell’autodifesa, specie in caso di delitti d’onore, stupri o violenze domestiche. Si tratta di un movimento non elitario, aperto a tutte, a prescindere da credo religioso, etnia o opinioni politiche. Le donne analfabete imparano a leggere e scrivere; vi sono donne che non sono mai andate a scuola e lavorano gomito a gomito con le laureate.

 

Öcalan, nello scritto Liberare la vita. La rivoluzione delle donne (nel quale dedica un intero capitolo, il 12, alla Jineolojî come scienza della donna) sostiene che «la libertà delle donne e l’uguaglianza possono essere raggiunte solo attraverso il successo di una lotta complessiva e democratica. Se non si ottiene la democrazia, non si possono ottenere neanche la libertà e l’uguaglianza. (…) Un’arida uguaglianza giuridica non significa nulla in assenza di politiche democratiche; non darà alcun contributo al raggiungimento della libertà» (Öcalan 2013. 49).

 

Fu anche da queste esigenze di carattere sociale che emerse la volontà di costituire delle formazioni militari di sole donne. L’Ypj, che nacque ufficialmente nel 2013, ha alle spalle una lunga storia di attivismo politico femminile iniziato nel 1979. La svolta si ebbe nel congresso del Pyd del 2-3 aprile del 2012, al quale parteciparono circa 200 donne.

 

In base alla cosiddetta «teoria della rosa» avanzata da Öcalan (ossia: anche la rosa è provvista di spine per potersi difendere), nel congresso venne posta all’ordine del giorno la formazione di un battaglione di autodifesa totalmente femminile (il primo battaglione, in realtà, esisteva già fin dal 5 marzo 2012: era il battaglione martire Ruken di Afrin), separato dallo Ypg, seppur inquadrato al suo interno. Il congresso approvò la creazione del nuovo battaglione, lo Ypj, l’Unità di protezione delle donne (con un significato ambivalente della preposizione “delle” (donne), che indica sia la specificazione – si vogliono proteggere le donne – sia un possessivo – formata da donne). Non era mai accaduto nella storia qualcosa del genere. Certamente, erano esistite in passato combattenti donne (basti pensare alle miliziane durante la guerra civile spagnola o alla presenza di partigiane in molti europei durante la Seconda Guerra mondiale), ma costoro erano inquadrate sempre all’interno di formazioni miste al comando delle quali c’era sempre uomini. La fondazione dello Ypj fu qualcosa di rivoluzionario: si trattava di formazioni combattenti, che pur inquadrate all’interno dello Ypg, erano esclusivamente femminili, con funzioni difensive per reagire quando la vita, la libertà e le aspirazioni delle donne erano e sono minacciate. Insomma, l’esercito delle donne si è sviluppato seguendo l’ideologia della liberazione delle medesime donne. All’interno di esso «non vi è una vera e propria gerarchia e le donne soldato non prendono ordini da altri ufficiali uomini; viceversa, hanno invece la possibilità di poter comandare alcuni battaglioni di uomini delle Ypg» (Gombacci 2019: 405).

 

Nel congresso vennero prese deliberazioni in merito all’apertura dei centri di addestramento dello Ypj, sulle questioni relative ai ruoli di comando e alla formazione dei consigli militari, delle accademie e dei battaglioni. Come sottolinea Arzu Demir, all’interno dello Ypg si applicano meccanismi molto importanti nella lotta all’egemonia maschile. Esiste inoltre una piattaforma per gli uomini che, in combattimento, non obbediscono agli ordini di una donna oppure si fanno notare per un’aggressione fisica a una donna. Su questa piattaforma, aperta solo alle donne, questi uomini e i loro comportamenti vengono processati: gli uomini non possono partecipare come giudici. Nel caso venga accertata qualche molestia si applicano sanzioni proporzionate alla gravità della colpa: la rimozione dall’incarico, un avvertimento o una punizione. La maggior parte delle donne delle YPJ sono giovani e non sposate, ma le donne sposate o con figli possono unirsi ad alcune divisioni. Unirsi alle forze armate è in alcuni casi anche un modo per le giovani donne (gli arruolamenti riguardano donne dai 18 ai 40 anni) di sfuggire al matrimonio forzato o a situazioni familiari. Tuttavia, sono state istituite accademie che accettano donne dai 16 ai 18 anni in cui possono vivere e ricevere istruzione e sostegno, pur non svolgendo alcun ruolo militare.

 

Oltre ai citati Ypj e Yak-Star, le donne sono impegnate in altre formazioni combattenti o di polizia. Una delle più giovani è rappresentata dalle Forze di Protezione delle Donne di Bethnahrin (Bethnahrin Women Protection Forces, HSNB), fondate nel 2015 e operanti a Gozarto, il termine siriaco-aramaico per indicare la regione di Jazeera. L’Unità di Donne Guardie di Khabur (Mawtbā s-Nātorē s-Hābor, MNH) opera nell’area della valle di Khabur. Entrambe le forze si organizzano autonomamente come parte del Consiglio Militare Siriaco e delle guardie di Khabur. Fanno parte delle FDS e sebbene il loro numero sia relativamente basso, hanno preso parte attiva alla protezione dei villaggi siriaco-assiri nella valle di Khabur durante l’ultima offensiva turca. Nella Federazione della Siria dell’Est e del Nord operano, invece, le Asayisha Jin (costituzionalizzate con l’art. 15, ultimo comma, della Carta), le forze di sicurezza interne, organizzate in diversi rami. Asayisha Jin, in particolare, è la divisione di donne delle forze generali di sicurezza interna Asayish, responsabili dei checkpoint tra le città ed all’interno delle stesse, delle operazioni di ricerca e arresto, partecipano anche ad operazioni militari, in particolare all’interno delle città. Le donne possono rivolgersi direttamente all’Asayisha Jin in caso di violenza domestica, cosa decisamente importante considerato che nella cultura locale è praticamente inconcepibile per le donne denunciare forme intime di violenza e abusi al personale di sicurezza maschile. Anche le donne siriaco-assire sono organizzate all’interno delle forze di sicurezza interna di Sutoro e Nattoreh: sono le Forze di Protezione Civili delle Donne (Hezen Parastina Cawari - HPC Jin), la divisione di donne delle HPC, sono composte principalmente da madri e nonne, ma anche da alcune giovani donne. Partecipano a tutte le funzioni generali delle HPC, inoltre le HPC Jin si occupano di controllare gli edifici e le riunioni dei consigli e delle istituzioni delle donne.

 

Le HPC Jin sono considerate le più adatte all’intervento nelle controversie domestiche in cui una donna potrebbe trovarsi in una posizione sensibile o vulnerabile. Tutte le donne, indipendentemente appunto dal credo religioso, dall’appartenenza etnica o altro, sono sottoposte a un periodo di formazione e di addestramento militare. La maggior parte dello studio avviene nelle accademie e nelle Case delle Donne. Qui si insegna alle donne a «“disimparare il patriarcato” e a sostituirlo con un altro modello di società» (Gombacci 2019: 409). Viene insegnato loro la volontà di resistenza (irada) e l’autocontrollo per dominare i propri impulsi, compresi quelli sessuali, per dedicarsi solo alla lotta dominando le paure, sopportando i dolori più lancinanti, conducendo operazioni rischiose, imparando a tollerare la perdita dei compagni o dei loro stessi cari. Grazie a questo impegno, l’attività rivoluzionaria, la presa di coscienza della loro condizione e la determinazione nel portare avanti la lotta hanno permesso loro di conquistare dignità e rispetto. Come sottolineano Milano e Tanrikulu, la mentalità feudale è dura a morire, anche tra le stesse donne, ma il processo di liberazione ormai pare avviato ed è diventato un punto di riferimento per tutte le donne del Medio Oriente e non solo.

 

 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]