[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 212 / AGOSTO 2025 (CCXLIII)


contemporanea

IL KURDISTAN, IL CONFEDERALISMO, LE DONNE
UN MONDO DA COSTRUIRE
/ PARTE II
di Giuseppe Tramontana

 

Democrazia, socialismo, ecologismo e femminismo, sono i concetti-chiave per comprendere il confederalismo democratico del movimento di liberazione curdo.

 

Questa proposta politica nasce dalla riflessione di Abdullah Öcalan, il leader del Pkk ancora in carcere. Egli esprime le sue idee in particolare nello scritto Confederalismo democratico (2019). Il leader curdo, stimolato dal pensiero del filosofo socialista comunitario americano, nonché teorico dell’ecologia sociale, Murray Bookchin, intraprese un percorso che lo portò ad allontanarsi dal marxismo-leninismo, riconoscendo la sua incapacità di affrontare i nuovi problemi posti dalla società a capitalismo avanzato, dove il proletariato, dismessi i panni del soggetto rivoluzionario, aveva ormai voltato le spalle alla rivoluzione. Quindi Confederalismo democratico rappresenta non solo il punto di approdo dopo un ungo travaglio intellettuale, ma anche «una potente presa di coscienza pratica su alcune tematiche dell’ecologia sociale e vuole sancire i diritti inalienabili della società, avendo come orizzonte non un progetto economico ma una società egualitaria in grado di generare serenità e appagamento» (Romanò 2015: 157). A livello generale le tre grandi tradizioni politico-filosofiche a cui Öcalan si rifà sono il riferimento socialista-marxista, la radice anarchica e quella repubblicana. La visione economica si ispira alla interazione tra anarchismo e socialismo; in campo amministrativo, educativo ed etico l’ispirazione è principalmente anarchica; in campo costituzionale lo sguardo è rivolto al patrimonio repubblicano con l’idea di contratto sociale attraverso le carte costituzionali.

 

Öcalan ha fornito un importante contributo alla critica della modernità capitalistica. Egli parte dal prendere atto che, a livello sociale, l’unità di analisi più nota e utilizzata è il concetto di Stato e, più precisamente, quello di Stato-nazione. Questo modello è servito per fornire copertura, giustificazione e strumenti di potere al capitalismo. Gli spazi di autonomia culturale, identitaria e politica vanno monitorati e, se non è possibile depauperarli e commercializzarli, distruggerli.

 

«L’intero stato-nazione deve essere pensato come la massima forma di potere. Nessuno degli altri tipi di stato hanno una tale capacità di potere. Una delle maggiori ragioni consiste nel fatto che le classi più alte della middle-class sono state collegate al processo di monopolizzazione in maniera sempre crescente. Lo stato-nazione in sé è la forma di monopolio più completa. È la più sviluppata unità di monopoli quali il commercio, l’industria, la finanza e il potere. Si dovrebbe anche pensare al monopolio ideologico come ad una parte ineludibile del monopolio del potere» (Öcalan 2019: 3-4).

 

Inoltre, seguendo Bookchin, Öcalan sostiene che, così come l’anarchia, anche la democrazia ha bisogno del consenso collettivo. Quattro sono le colonne portanti dello Stato-nazione come forma di sfruttamento e di oppressione delle classi più alte sulla massa del popolo. La prima è rappresentata dal nazionalismo, là dove ideologicamente lo Stato viene presentato come un dio vivente, onnipotente e onnisciente: «nonostante qualche simile positive elemento, lo stato-nazione ed il nazionalismo mostrano caratteristiche metafisiche. In questo contesto, il profitto capitalista e l’accumulazione del capitale appaiono come categorie avvolte nel mistero. C’è una rete di relazioni contraddittorie dietro questi termini che è basata sulla forza e sullo sfruttamento. La loro lotta egemonica per il potere serve alla massimizzazione del profitto. In questo senso, il nazionalismo appare come una giustificazione quasi religiosa» (Öcalan 2019: 5). Il secondo elemento fondante è la scienza positivistica, ossia l’ideologia giustificatoria dell’hic et nunc, del mondo attuale come il migliore dei mondi possibili: «il positivismo può essere circoscritto come un approccio filosofico che è strettamente confinato all’apparenza delle cose, cosa che equivale alla realtà stessa» (Ivi: 6) Altra colonna portante è la religiosità come instrumentum regni: la sua missione principale è quella di correre in soccorso del nazionalismo. Vi è, infine, il sessismo.

 

Il dominio patriarcale dell’uomo sulla donna è visto come la prima colonia nella storia dell’umanità. Il sessismo è una delle prime forme gerarchiche. «Le donne – scrive il leader curdo - vengono considerate una risorsa perché producono prole e provvedono alla riproduzione. Così la donna diventa sia un oggetto sessuale che una utilità. (…) Il sessismo socialmente radicato è proprio come il nazionalismo, un prodotto ideologico dello stato-nazione e del potere. Esso non è meno pericoloso del capitalismo. Il sistema patriarcale, tuttavia, cerca di nascondere questi fatti. Ciò si capisce con uno sguardo al fatto che tutte le relazioni di potere e le ideologie di stato sono alimentate da concetti ed atteggiamenti sessisti. Senza la repressione delle donne, l’intera società non è concepibile» (Ivi). Per Öcalan la questione del sessismo e del patriarcato non solo era di fondamentale importanza, ma è il primo conflitto della storia: è «l’origine dei problemi sociali» poiché «tutti i diversi sistemi di dominazione nel corso della storia – schiavitù, feudalesimo, capitalismo – hanno tutti rafforzato la schiavitù delle donne e il potere dell’uomo dominante, e si sono sviluppati sulla base di questa oppressione»: si tratta di «uccidere il maschio dominante», considerato «il principio base del socialismo» giacché «è così che si uccidono il potere, il governo liquido, l’ineguaglianza e l’intolleranza» (Istituto Andrea Wolff 2020: 290-291). La teoria dell’«uccisione del maschio dominante» ha portato con sé quella della cosiddetta «trasformazione dell’uomo». Insomma, l’attivismo delle donne può condurre alla trasformazione non solo delle donne medesime, ma anche degli uomini e della società nel suo complesso.

 

Il “paradigma confederale” partendo, come abbiamo accennato, da un rifiuto del presupposto, proprio dei socialismi novecenteschi, della centralità della classe operaia quale soggetto di liberazione, non accetta neanche il movente economico come principale o unico presupposto della lotta per l’emancipazione. Qualsiasi Stato, anche quello che si è presentato nella storia come rivoluzionario, alla fine non ha fatto altro che perpetuare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, o meglio di una classe su un’altra. Invece, la nuova forma di società democratica deve assumere un carattere femminista per cui «è (…) di fondamentale importanza mettere sotto i riflettori la questione femminile e ridefinire la relazione di genere, poiché, fino a quando ogni singolo individuo riprodurrà questi schemi (sessisti, nda) nel suo apparentemente innocuo modo di vivere, nessun non-Stato e nessun non-potere potranno mai essere realizzati» (Güneşer: 2017: 125). Inoltre, la civiltà democratica deve poggiare su un’industria ecologica, consapevole del superamento della dicotomia soggetto/oggetto, ossia uomo sfruttatore/natura sfruttata, a favore di una visione olistica dei rapporti uomo-natura: l’uomo non solo si trova immerso nella natura, ma è egli stesso natura e, quindi, ogni forma di sfruttamento che eserciterà su di essa la perpetrerà anche contro sé stesso. Come terzo momento, la civiltà democratica deve sviluppare un proprio concetto di autodifesa. Bisogna espropriare lo Stato e le sue strutture di potere del monopolio tradizionale della forza, usata spesso per reprimere, ottundere e sopprimere ogni forma di dissenso democratico. L’autodifesa deve essere riportata a livello delle strutture della società civile, non deve essere professionalizzata e, quindi, non deve vivere come un corpo a sé, separata da ogni controllo politico ed etico esercitato dalla società. Infine, la struttura economica deve essere di tipo comunitario. Finora «l’economia è stata confiscata e tutti gli individui dipendono dalle strutture dello Stato per poter soddisfare anche i più elementari bisogni esistenziali. Non è più possibile avere casa, cibo, istruzione e qualsiasi altra cosa venga in mente senza il denaro, e siamo stati tutti privati delle conoscenze per poter fare altrimenti. Dunque, ricreare le interrelazioni e fornire a ciascun individuo le basi per soddisfare i propri bisogni all’interno di una logica comunitaria darà maggior potere tanto all’individuo quanto alla società e al contempo limiterà il rigenerarsi dei meccanismi capitalistici» (Güneşer: 2017: 126).

 

Il confederalismo democratico, pertanto, è basato su un insieme di autonome comunità locali che si associano spontaneamente tra loro. Ogni comunità si auto-organizza e possono dar vita a organizzazioni transfrontaliere. Ogni comunità, etnia, cultura, gruppo religioso, movimento intellettuale, unità economica può configurarsi autonomamente ed esprimersi come unità politica: ognuno può svolgere libere consultazioni e prendere libere decisioni. Il confederalismo democratico, per sua natura, è aperto a istanze e formazioni differenti: ha una struttura orizzontale. Una delle principali preoccupazioni avanzate dai suoi teorici è l’elemento etico e politico da far vivere nelle comunità. La politica del confederalismo rifiuta di essere vuoto parlamentarismo al servizio dell’accumulazione capitalistica. Per realizzare questa nuova forma di autogoverno occorre un lavoro intenso che faccia leva sui doveri intellettuali e l’istruzione, l’educazione maschile anti-patriarcale, una nuova economia e l’ecologia, la nuova visione della famiglia e delle relazioni di genere, l’autodifesa, la cultura, l’estetica e la tutela della bellezza e, infine, lo smantellamento del potere e delle gerarchie. La strada che ha condotto all’esperimento del confederalismo democratico è frutto di un «cambio di paradigma», prodotto dal fallimento del modello ideologico vigente. Tale mutamento ha riguardato la modificazione di tre importanti fondamenti strategici e ideologici da sempre assi portanti del movimento rivoluzionario comunista internazionale e, in particolare, del Pkk.

 

La prima trasformazione ha offerto una nuova visione della guerra e della violenza rivoluzionaria. La seconda ha favorito un cambiamento del modello del partito comunista classico verso un nuovo tipo di partito rivoluzionario; la terza ha portato all’analisi, alla critica e al rifiuto dello stato. In merito al primo punto, il fallimento del socialismo reali dimostrava che rimpiazzare un potere con un altro non portava alla creazione di una società libera. Qui si innestano le questioni relative alla violenza e al ruolo del partico rivoluzionario, il secondo punto di revisione del paradigma. Il vecchio paradigma era basato sulle teorie marxiste-leniniste-maoiste. La sua analisi proponeva che il Kurdistan fosse una società rurale e che la lotta di classe sarebbe avvenuta attraverso la strategia della guerra popolare. Per cui, da un lato, era necessaria la stabilizzazione di un esercito popolare in grado di cacciar via le forze di occupazione e, dall’altro, organizzare le popolazioni. Ciò contribuiva a ricreare le stesse strutture patriarcali, nazionaliste e capitaliste contro le quali si lottava. Da queste considerazioni conseguì l’ultima delle trasformazioni concernenti il paradigma: lo Stato. Non si trattava più di rimpiazzare un governo con un altro, reiterando le forme classiche di dominio, ma di dar vita a un sistema in cui la maggior parte delle persone, se non tutte, potessero in qualche modo rappresentare sé stesse ed essere parte attiva nella costruzione della società e delle strutture di autogoverno (Istituto Andrea Wolff 2020: 316-319). Per dare attuazione progressiva a tutto ciò nel 2014 le comunità curde si dotarono della cosiddetta Carta del contratto sociale del Rojava.

 

La Carta o Contratto fa riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in merito ai diritti fondamentali (art. 21), al ruolo della donna (art. 27) e alle libertà personali (artt. 20 e ss.). Sono presenti anche disposizioni non troppo comuni nell’area del Medio Oriente e nel mondo musulmano in generale: la proibizione della pena di morte (art. 26), l’impossibilità per un civile di essere giudicato da una corte militare (art. 70), la parità tra i sessi (art. 28), il divieto di contrarre matrimonio tra bambini e con ragazze minori di 18 anni, la proibizione dei matrimoni forzati (art. 29), l’abolizione del delitto d’onore, la messa al bando della poligamia, e la promozione dei matrimoni civili.

 

Val la pena riportare un brano tratto dal Preambolo alla Carta: «Noi popoli che viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrîn, Cîzire e Kobane , una confederazione di Curdi, Arabi, Assiri, Caldei, Turcomanni, Armeni e Ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta. Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli (...)».

 

Appare evidente come l’obiettivo principale della Carta sia quello di basare la società sul decentramento politico e amministrativo, promuovendo il comunitarismo democratico – ispirato al pensiero di Murray Bookchin - come forma di organizzazione del territorio. Esso presuppone il superamento dei concetti di stato-nazione, nazione e democrazia rappresentativa, sostituiti da assemblee di cittadini e altre forme di partecipazione diretta. In questo senso, la Carta trova ispirazione anche nel saggio di Abdullah Öcalan Confederalismo democratico, pubblicato nel 2004, tradotto in italiano nel 2019. Egli definisce questo tipo di governo «una amministrazione politica non statale o una democrazia senza stato», precisando che, a differenza degli stati che «sono fondati sul potere; le democrazie sono basate sul consenso collettivo». Definisce il confederalismo democratico come flessibile, anti-monopolistico, anti-egemonico, orientato al consenso con l’ecologismo e il femminismo, suoi pilastri insostituibili (Ivi: 18). Ai sensi dell’art. 1 la Carta rappresenta un patto sociale per l’autogestione democratica nelle Regioni di Afrin, Cizre (Jazeera) e Kobane, i cui capoluoghi sono, rispettivamente Afrin, Qamishli e Kobane (art. 5). La Carta garantisce la separazione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario (art. 13). L’organo rappresentativo dei tre cantoni è l’Assemblea legislativa, eletta direttamente dal popolo, con voto segreto, che dura in carica 4 anni (art. 45). Nessuno può candidarsi all’Assemblea per più di due mandati consecutivi (art. 48 comma 1).

 

’età per l’elettorato è fissata a 18 anni, a 22 quella per l’elettorato passivo (art. 49). I membri dell’Assemblea godono dell’immunità nell’esercizio delle loro funzioni, ogni richiesta di autorizzazione a procedere deve essere sottoposta all’Assemblea, a meno che non si tratti di flagranza di reato (art. 50). Essa ha il compito di emanare le leggi e i regolamenti, dichiarare lo stato di guerra, ratificare i trattati internazionali, approvare il bilancio, concedere l’amnistia ecc. (art. 53). Il Consiglio esecutivo rappresenta il governo cantonale ed è il più alto organo esecutivo e amministrativo delle Regioni autonome. È responsabile dell’attuazione delle leggi, delle delibere e dei decreti emanati dall’Assemblea (art. 54, ultimo comma). Vi sono poi i Consigli municipali (art. 62), che decidono su un insieme di questioni locali. In base al principio del decentramento, vige l’obbligo della co-presidenza uomo-donna. In ogni caso, ex art. 87, in nessun organo uno dei due sessi può essere rappresentato per una quota inferiore al 40%. Nel testo della Carta non vi è nessun riferimento a uno Stato curdo. E ciò in nome di un’idea transnazionale capace di abbattere i confini per fondare una società multiculturale, multietnica, antirazzista, antisessista, ecologica e solidale.

 

La tendenza alla transnazionalità si evidenzia anche nel nome che le diverse comunità hanno voluto attribuire alla Federazione nata nel Nord della Siria: non si chiama, infatti, “Rojava”, che significa Kurdistan dell’Ovest (cosa che le avrebbe dato un’identità territoriale ed etnica specifica), ma “Federazione Democratica del Nord della Siria”. Nel 2018 il nome ufficiale della Federazione cambiò nuovamente. Venne fatto al fine di includere le zone conquistate di Raqqa, Tabqa e Deir Ezzor, strappate all’Isis. Il nuovo nome scelto fu “Auto-Amministrazione Democratica del Nord e dell’Est della Siria”. Concetto indispensabile del confederalismo democratico è il decentramento: «lo Stato – scrive sempre il leader curdo - orienta continuamente sé stesso verso il centralismo per poter perseguire gli interessi dei poteri monopolistici. Proprio il contrario è vero per il confederalismo. Non i monopoli ma la società è al centro del focus politico. La struttura eterogenea della società è in contraddizione con tutte le forme di centralismo» (Ivi: 19). Oltre che per motivi ideologici, la struttura decentrata si è resa necessaria anche per un motivo pratico: tentare di tenere insieme e valorizzare la vasta gamma di popoli, comunità, gruppi etnici che convivono su quel territorio, appunto per evitare che qualche gruppo possa rivendicare per sé il governo centrale e dare il via a un’operazione di frantumazione e potenziale belligeranza. L’autonomia democratica appare essere una forma di organizzazione sociale che deve abbracciare tutti gli ambiti della vita (economia, politica, società, salute, educazione, religione, autodifesa, diplomazia).

 

La magistratura, ai sensi dell’art. 63 della Carta, è indipendente da ogni altro potere, mentre gli imputati si considerano innocenti fino alla condanna definitiva (art. 64). Anche nella magistratura la quota di appartenenza a un genere non può inferiore al 40% (art. 65). Sono garantiti i giudizi imparziali (art. 72), il diritto alla difesa (art. 66), i risarcimenti in caso di errore giudiziario o di detenzione illegale (art. 74). Oltre all’Alta commissione per le elezioni (art.76), che si occupa della regolarità delle procedure elettorali, vi è la Suprema corte costituzionale, formata da 7 membri, che dura in carica 4 anni (art. 77). Le sue funzioni riguardano la verifica della costituzionalità delle leggi, dei decreti e dei regolamenti, l’interpretazione delle norme della Carta e i giudizi sull’operato del Governatore cantonale, dei membri dell’Assemblea e del Consiglio esecutivo (artt. 78 e 80). Per quanto riguarda l’ambito economico, le ricchezze del sottosuolo e le risorse naturali sono beni pubblici, mentre i termini per il loro sfruttamento e gestione sono stabiliti dalla legge (art. 39). Le terre e le proprietà delle Regioni autonome sono di proprietà pubblica (art. 40). È ammessa la proprietà privata, tutelata dalla legge. Può essere limitata solo per ragioni di pubblica utilità o interesse e dietro giusto indennizzo (art. 41). In generale il sistema economico nelle Regioni è volto a garantire il pubblico benessere, a provvedere ai fondi per la ricerca scientifica e tecnologica e far fronte ai bisogni fondamentali del popolo per fornire un tenore di vita dignitoso (art. 42).

 

Alla tutela del sistema contro i nemici esterni provvedono le Unità di difesa del popolo (Ypg), che sono le uniche forze armate dei cantoni, che si conformano al diritto di autodifesa. Le forze denominate Asaish svolgono compiti di polizia interna (art. 15).

 

È soprattutto per salvaguardare le conquiste del Confederalismo che lo scorso 27 febbraio Öcalan ha invitato il Pkk a deporre le armi e a sciogliersi. L’appello, accolto dal Pkk, ha portato l’11 luglio 2025, in una valle del Kurdistan iracheno presso Sulaymaniyya, alla distruzione delle armi usate per 40 anni contro la Turchia.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]