IL
KURDISTAN, IL CONFEDERALISMO, LE
DONNE
UN MONDO DA COSTRUIRE
/ PARTE II
di Giuseppe
Tramontana
Democrazia, socialismo, ecologismo e
femminismo, sono i concetti-chiave
per comprendere il confederalismo
democratico del movimento di
liberazione curdo.
Questa proposta politica nasce dalla
riflessione di Abdullah Öcalan, il
leader del Pkk ancora in carcere.
Egli esprime le sue idee in
particolare nello scritto
Confederalismo democratico
(2019). Il leader curdo, stimolato
dal pensiero del filosofo socialista
comunitario americano, nonché
teorico dell’ecologia sociale,
Murray Bookchin, intraprese un
percorso che lo portò ad
allontanarsi dal marxismo-leninismo,
riconoscendo la sua incapacità di
affrontare i nuovi problemi posti
dalla società a capitalismo
avanzato, dove il proletariato,
dismessi i panni del soggetto
rivoluzionario, aveva ormai voltato
le spalle alla rivoluzione. Quindi
Confederalismo democratico
rappresenta non solo il punto di
approdo dopo un ungo travaglio
intellettuale, ma anche «una potente
presa di coscienza pratica su alcune
tematiche dell’ecologia sociale e
vuole sancire i diritti inalienabili
della società, avendo come orizzonte
non un progetto economico ma una
società egualitaria in grado di
generare serenità e appagamento» (Romanò
2015: 157). A livello generale le
tre grandi tradizioni
politico-filosofiche a cui
Öcalan
si rifà sono il riferimento
socialista-marxista, la radice
anarchica e quella repubblicana. La
visione economica si ispira alla
interazione tra anarchismo e
socialismo; in campo amministrativo,
educativo ed etico l’ispirazione è
principalmente anarchica; in campo
costituzionale lo sguardo è rivolto
al patrimonio repubblicano con
l’idea di contratto sociale
attraverso le carte costituzionali.
Öcalan
ha fornito un importante contributo
alla critica della modernità
capitalistica. Egli parte dal
prendere atto che, a livello
sociale, l’unità di analisi più nota
e utilizzata è il concetto di Stato
e, più precisamente, quello di
Stato-nazione. Questo modello è
servito per fornire copertura,
giustificazione e strumenti di
potere al capitalismo. Gli spazi di
autonomia culturale, identitaria e
politica vanno monitorati e, se non
è possibile depauperarli e
commercializzarli, distruggerli.
«L’intero
stato-nazione deve essere pensato
come la massima forma di potere.
Nessuno degli altri tipi di stato
hanno una tale capacità di potere.
Una delle maggiori ragioni consiste
nel fatto che le classi più alte
della middle-class sono state
collegate al processo di
monopolizzazione in maniera sempre
crescente. Lo stato-nazione in sé è
la forma di monopolio più completa.
È la più sviluppata unità di
monopoli quali il commercio,
l’industria, la finanza e il potere.
Si dovrebbe anche pensare al
monopolio ideologico come ad una
parte ineludibile del monopolio del
potere» (Öcalan
2019: 3-4).
Inoltre, seguendo Bookchin, Öcalan
sostiene che, così come l’anarchia,
anche la democrazia ha bisogno del
consenso collettivo. Quattro sono le
colonne portanti dello Stato-nazione
come forma di sfruttamento e di
oppressione delle classi più alte
sulla massa del popolo. La prima è
rappresentata dal nazionalismo, là
dove ideologicamente lo Stato viene
presentato come un dio vivente,
onnipotente e onnisciente:
«nonostante
qualche simile positive elemento, lo
stato-nazione ed il nazionalismo
mostrano caratteristiche
metafisiche. In questo contesto, il
profitto capitalista e
l’accumulazione del capitale
appaiono come categorie avvolte nel
mistero. C’è una rete di relazioni
contraddittorie dietro questi
termini che è basata sulla forza e
sullo sfruttamento. La loro lotta
egemonica per il potere serve alla
massimizzazione del profitto. In
questo senso, il nazionalismo appare
come una giustificazione quasi
religiosa»
(Öcalan 2019: 5). Il secondo
elemento fondante è la scienza
positivistica, ossia l’ideologia
giustificatoria dell’hic et nunc,
del mondo attuale come il migliore
dei mondi possibili: «il positivismo
può essere circoscritto come un
approccio filosofico che è
strettamente confinato all’apparenza
delle cose, cosa che equivale alla
realtà stessa» (Ivi: 6) Altra
colonna portante è la religiosità
come instrumentum regni: la sua
missione principale è quella di
correre in soccorso del
nazionalismo. Vi è, infine, il
sessismo.
Il dominio patriarcale dell’uomo
sulla donna è visto come la prima
colonia nella storia dell’umanità.
Il sessismo è una delle prime forme
gerarchiche. «Le donne – scrive il
leader curdo - vengono considerate
una risorsa perché producono prole e
provvedono alla riproduzione. Così
la donna diventa sia un oggetto
sessuale che una utilità. (…) Il
sessismo socialmente radicato è
proprio come il nazionalismo, un
prodotto ideologico dello
stato-nazione e del potere. Esso non
è meno pericoloso del capitalismo.
Il sistema patriarcale, tuttavia,
cerca di nascondere questi fatti.
Ciò si capisce con uno sguardo al
fatto che tutte le relazioni di
potere e le ideologie di stato sono
alimentate da concetti ed
atteggiamenti sessisti. Senza la
repressione delle donne, l’intera
società non è concepibile»
(Ivi). Per Öcalan la questione del
sessismo e del patriarcato non solo
era di fondamentale importanza, ma è
il primo conflitto della storia: è
«l’origine
dei problemi sociali»
poiché «tutti i diversi sistemi di
dominazione nel corso della storia –
schiavitù, feudalesimo, capitalismo
– hanno tutti rafforzato la
schiavitù delle donne e il potere
dell’uomo dominante, e si sono
sviluppati sulla base di questa
oppressione»: si tratta di «uccidere
il maschio dominante»,
considerato «il principio base del
socialismo» giacché «è così che
si uccidono il potere, il governo
liquido, l’ineguaglianza e
l’intolleranza»
(Istituto Andrea Wolff 2020:
290-291). La teoria dell’«uccisione
del maschio dominante» ha portato
con sé quella della cosiddetta
«trasformazione dell’uomo». Insomma,
l’attivismo delle donne può condurre
alla trasformazione non solo delle
donne medesime, ma anche degli
uomini e della società nel suo
complesso.
Il “paradigma confederale” partendo,
come abbiamo accennato, da un
rifiuto del presupposto, proprio dei
socialismi novecenteschi, della
centralità della classe operaia
quale soggetto di liberazione, non
accetta neanche il movente economico
come principale o unico presupposto
della lotta per l’emancipazione.
Qualsiasi Stato, anche quello che si
è presentato nella storia come
rivoluzionario, alla fine non ha
fatto altro che perpetuare lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, o
meglio di una classe su un’altra.
Invece, la nuova forma di società
democratica deve assumere un
carattere femminista per cui «è (…)
di fondamentale importanza mettere
sotto i riflettori la questione
femminile e ridefinire la relazione
di genere, poiché, fino a quando
ogni singolo individuo riprodurrà
questi schemi (sessisti, nda) nel
suo apparentemente innocuo modo di
vivere, nessun non-Stato e nessun
non-potere potranno mai essere
realizzati» (Güneşer: 2017: 125).
Inoltre, la civiltà democratica deve
poggiare su un’industria ecologica,
consapevole del superamento della
dicotomia soggetto/oggetto, ossia
uomo sfruttatore/natura sfruttata, a
favore di una visione olistica dei
rapporti uomo-natura: l’uomo non
solo si trova immerso nella natura,
ma è egli stesso natura e, quindi,
ogni forma di sfruttamento che
eserciterà su di essa la perpetrerà
anche contro sé stesso. Come terzo
momento, la civiltà democratica deve
sviluppare un proprio concetto di
autodifesa. Bisogna espropriare lo
Stato e le sue strutture di potere
del monopolio tradizionale della
forza, usata spesso per reprimere,
ottundere e sopprimere ogni forma di
dissenso democratico. L’autodifesa
deve essere riportata a livello
delle strutture della società
civile, non deve essere
professionalizzata e, quindi, non
deve vivere come un corpo a sé,
separata da ogni controllo politico
ed etico esercitato dalla società.
Infine, la struttura economica deve
essere di tipo comunitario. Finora
«l’economia è stata confiscata e
tutti gli individui dipendono dalle
strutture dello Stato per poter
soddisfare anche i più elementari
bisogni esistenziali. Non è più
possibile avere casa, cibo,
istruzione e qualsiasi altra cosa
venga in mente senza il denaro, e
siamo stati tutti privati delle
conoscenze per poter fare
altrimenti. Dunque, ricreare le
interrelazioni e fornire a ciascun
individuo le basi per soddisfare i
propri bisogni all’interno di una
logica comunitaria darà maggior
potere tanto all’individuo quanto
alla società e al contempo limiterà
il rigenerarsi dei meccanismi
capitalistici» (Güneşer: 2017: 126).
Il confederalismo democratico,
pertanto, è basato su un insieme di
autonome comunità locali che si
associano spontaneamente tra loro.
Ogni comunità si auto-organizza e
possono dar vita a organizzazioni
transfrontaliere. Ogni comunità,
etnia, cultura, gruppo religioso,
movimento intellettuale, unità
economica può configurarsi
autonomamente ed esprimersi come
unità politica: ognuno può svolgere
libere consultazioni e prendere
libere decisioni. Il confederalismo
democratico, per sua natura, è
aperto a istanze e formazioni
differenti: ha una struttura
orizzontale. Una delle principali
preoccupazioni avanzate dai suoi
teorici è l’elemento etico e
politico da far vivere nelle
comunità. La politica del
confederalismo rifiuta di essere
vuoto parlamentarismo al servizio
dell’accumulazione capitalistica.
Per realizzare questa nuova forma di
autogoverno occorre un lavoro
intenso che faccia leva sui doveri
intellettuali e l’istruzione,
l’educazione maschile
anti-patriarcale, una nuova economia
e l’ecologia, la nuova visione della
famiglia e delle relazioni di
genere, l’autodifesa, la cultura,
l’estetica e la tutela della
bellezza e, infine, lo
smantellamento del potere e delle
gerarchie. La strada che ha condotto
all’esperimento del confederalismo
democratico è frutto di un
«cambio di
paradigma», prodotto dal
fallimento del modello ideologico
vigente. Tale mutamento ha
riguardato la modificazione di tre
importanti fondamenti strategici e
ideologici da sempre assi portanti
del movimento rivoluzionario
comunista internazionale e, in
particolare, del Pkk.
La prima trasformazione ha offerto
una nuova visione della guerra e
della violenza rivoluzionaria. La
seconda ha favorito un cambiamento
del modello del partito comunista
classico verso un nuovo tipo di
partito rivoluzionario; la terza ha
portato all’analisi, alla critica e
al rifiuto dello stato. In merito al
primo punto, il fallimento del
socialismo reali dimostrava che
rimpiazzare un potere con un altro
non portava alla creazione di una
società libera. Qui si innestano le
questioni relative alla violenza e
al ruolo del partico rivoluzionario,
il secondo punto di revisione del
paradigma. Il vecchio paradigma era
basato sulle teorie
marxiste-leniniste-maoiste. La sua
analisi proponeva che il Kurdistan
fosse una società rurale e che la
lotta di classe sarebbe avvenuta
attraverso la strategia della guerra
popolare. Per cui, da un lato, era
necessaria la stabilizzazione di un
esercito popolare in grado di
cacciar via le forze di occupazione
e, dall’altro, organizzare le
popolazioni. Ciò contribuiva a
ricreare le stesse strutture
patriarcali, nazionaliste e
capitaliste contro le quali si
lottava. Da queste considerazioni
conseguì l’ultima delle
trasformazioni concernenti il
paradigma: lo Stato. Non si trattava
più di rimpiazzare un governo con un
altro, reiterando le forme classiche
di dominio, ma di dar vita a un
sistema in cui la maggior parte
delle persone, se non tutte,
potessero in qualche modo
rappresentare sé stesse ed essere
parte attiva nella costruzione della
società e delle strutture di
autogoverno (Istituto Andrea Wolff
2020: 316-319). Per dare attuazione
progressiva a tutto ciò nel 2014 le
comunità curde si dotarono della
cosiddetta Carta del contratto
sociale del Rojava.
La Carta o Contratto fa riferimento
alla Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo in merito ai
diritti fondamentali (art. 21), al
ruolo della donna (art. 27) e alle
libertà personali (artt. 20 e ss.).
Sono presenti anche disposizioni non
troppo comuni nell’area del Medio
Oriente e nel mondo musulmano in
generale: la proibizione della pena
di morte (art. 26), l’impossibilità
per un civile di essere giudicato da
una corte militare (art. 70), la
parità tra i sessi (art. 28), il
divieto di contrarre matrimonio tra
bambini e con ragazze minori di 18
anni, la proibizione dei matrimoni
forzati (art. 29), l’abolizione del
delitto d’onore, la messa al bando
della poligamia, e la promozione dei
matrimoni civili.
Val la pena riportare un brano
tratto dal Preambolo alla Carta:
«Noi popoli che viviamo nelle
Regioni Autonome Democratiche di
Afrîn, Cîzire e Kobane , una
confederazione di Curdi, Arabi,
Assiri, Caldei, Turcomanni, Armeni e
Ceceni, liberamente e solennemente
proclamiamo e adottiamo questa
Carta. Con l’intento di perseguire
libertà, giustizia, dignità e
democrazia, nel rispetto del
principio di uguaglianza e nella
ricerca di un equilibrio ecologico,
la Carta proclama un nuovo contratto
sociale, basato sulla reciproca
comprensione e la pacifica
convivenza fra tutti gli strati
della società, nel rispetto dei
diritti umani e delle libertà
fondamentali, riaffermando il
principio di autodeterminazione dei
popoli (...)».
Appare evidente come l’obiettivo
principale della Carta sia quello di
basare la società sul decentramento
politico e amministrativo,
promuovendo il comunitarismo
democratico – ispirato al pensiero
di Murray Bookchin - come forma di
organizzazione del territorio. Esso
presuppone il superamento dei
concetti di stato-nazione, nazione e
democrazia rappresentativa,
sostituiti da assemblee di cittadini
e altre forme di partecipazione
diretta. In questo senso, la Carta
trova ispirazione anche nel saggio
di Abdullah
Öcalan Confederalismo
democratico, pubblicato nel
2004, tradotto in italiano nel 2019.
Egli definisce questo tipo di
governo «una amministrazione
politica non statale o una
democrazia senza stato»,
precisando che, a differenza degli
stati che «sono fondati sul potere;
le democrazie sono basate sul
consenso collettivo». Definisce il
confederalismo democratico come
flessibile, anti-monopolistico,
anti-egemonico, orientato al
consenso con l’ecologismo e il
femminismo, suoi pilastri
insostituibili (Ivi: 18). Ai sensi
dell’art. 1 la Carta rappresenta un
patto sociale per l’autogestione
democratica nelle Regioni di Afrin,
Cizre (Jazeera) e Kobane, i cui
capoluoghi sono, rispettivamente
Afrin, Qamishli e Kobane (art. 5).
La Carta garantisce la separazione
dei poteri in legislativo, esecutivo
e giudiziario (art. 13). L’organo
rappresentativo dei tre cantoni è
l’Assemblea legislativa, eletta
direttamente dal popolo, con voto
segreto, che dura in carica 4 anni
(art. 45). Nessuno può candidarsi
all’Assemblea per più di due mandati
consecutivi (art. 48 comma 1).
’età per l’elettorato è fissata a 18
anni, a 22 quella per l’elettorato
passivo (art. 49). I membri
dell’Assemblea godono dell’immunità
nell’esercizio delle loro funzioni,
ogni richiesta di autorizzazione a
procedere deve essere sottoposta
all’Assemblea, a meno che non si
tratti di flagranza di reato (art.
50). Essa ha il compito di emanare
le leggi e i regolamenti, dichiarare
lo stato di guerra, ratificare i
trattati internazionali, approvare
il bilancio, concedere l’amnistia
ecc. (art. 53). Il Consiglio
esecutivo rappresenta il governo
cantonale ed è il più alto organo
esecutivo e amministrativo delle
Regioni autonome. È responsabile
dell’attuazione delle leggi, delle
delibere e dei decreti emanati
dall’Assemblea (art. 54, ultimo
comma). Vi sono poi i Consigli
municipali (art. 62), che decidono
su un insieme di questioni locali.
In base al principio del
decentramento, vige l’obbligo della
co-presidenza uomo-donna. In ogni
caso, ex art. 87, in nessun organo
uno dei due sessi può essere
rappresentato per una quota
inferiore al 40%. Nel testo della
Carta non vi è nessun riferimento a
uno Stato curdo. E ciò in nome di
un’idea transnazionale capace di
abbattere i confini per fondare una
società multiculturale, multietnica,
antirazzista, antisessista,
ecologica e solidale.
La tendenza alla transnazionalità si
evidenzia anche nel nome che le
diverse comunità hanno voluto
attribuire alla Federazione nata nel
Nord della Siria: non si chiama,
infatti, “Rojava”, che significa
Kurdistan dell’Ovest (cosa che le
avrebbe dato un’identità
territoriale ed etnica specifica),
ma “Federazione Democratica del Nord
della Siria”. Nel 2018 il nome
ufficiale della Federazione cambiò
nuovamente. Venne fatto al fine di
includere le zone conquistate di
Raqqa, Tabqa e Deir Ezzor, strappate
all’Isis. Il nuovo nome scelto fu
“Auto-Amministrazione Democratica
del Nord e dell’Est della Siria”.
Concetto indispensabile del
confederalismo democratico è il
decentramento:
«lo
Stato – scrive sempre il leader
curdo - orienta continuamente sé
stesso verso il centralismo per
poter perseguire gli interessi dei
poteri monopolistici. Proprio il
contrario è vero per il
confederalismo. Non i monopoli ma la
società è al centro del focus
politico. La struttura eterogenea
della società è in contraddizione
con tutte le forme di centralismo»
(Ivi: 19). Oltre che per motivi
ideologici, la struttura decentrata
si è resa necessaria anche per un
motivo pratico: tentare di tenere
insieme e valorizzare la vasta gamma
di popoli, comunità, gruppi etnici
che convivono su quel territorio,
appunto per evitare che qualche
gruppo possa rivendicare per sé il
governo centrale e dare il via a
un’operazione di frantumazione e
potenziale belligeranza. L’autonomia
democratica appare essere una forma
di organizzazione sociale che deve
abbracciare tutti gli ambiti della
vita (economia, politica, società,
salute, educazione, religione,
autodifesa, diplomazia).
La magistratura, ai sensi dell’art.
63 della Carta, è indipendente da
ogni altro potere, mentre gli
imputati si considerano innocenti
fino alla condanna definitiva (art.
64). Anche nella magistratura la
quota di appartenenza a un genere
non può inferiore al 40% (art. 65).
Sono garantiti i giudizi imparziali
(art. 72), il diritto alla difesa
(art. 66), i risarcimenti in caso di
errore giudiziario o di detenzione
illegale (art. 74). Oltre all’Alta
commissione per le elezioni
(art.76), che si occupa della
regolarità delle procedure
elettorali, vi è la Suprema corte
costituzionale, formata da 7 membri,
che dura in carica 4 anni (art. 77).
Le sue funzioni riguardano la
verifica della costituzionalità
delle leggi, dei decreti e dei
regolamenti, l’interpretazione delle
norme della Carta e i giudizi
sull’operato del Governatore
cantonale, dei membri dell’Assemblea
e del Consiglio esecutivo (artt. 78
e 80). Per quanto riguarda l’ambito
economico, le ricchezze del
sottosuolo e le risorse naturali
sono beni pubblici, mentre i termini
per il loro sfruttamento e gestione
sono stabiliti dalla legge (art.
39). Le terre e le proprietà delle
Regioni autonome sono di proprietà
pubblica (art. 40). È ammessa la
proprietà privata, tutelata dalla
legge. Può essere limitata solo per
ragioni di pubblica utilità o
interesse e dietro giusto indennizzo
(art. 41). In generale il sistema
economico nelle Regioni è volto a
garantire il pubblico benessere, a
provvedere ai fondi per la ricerca
scientifica e tecnologica e far
fronte ai bisogni fondamentali del
popolo per fornire un tenore di vita
dignitoso (art. 42).
Alla tutela del sistema contro i
nemici esterni provvedono le Unità
di difesa del popolo (Ypg), che sono
le uniche forze armate dei cantoni,
che si conformano al diritto di
autodifesa. Le forze denominate
Asaish svolgono compiti di polizia
interna (art. 15).
È soprattutto per salvaguardare le
conquiste del Confederalismo che lo
scorso 27 febbraio Öcalan ha
invitato il Pkk a deporre le armi e
a sciogliersi. L’appello, accolto
dal Pkk, ha portato l’11 luglio
2025, in una valle del Kurdistan
iracheno presso Sulaymaniyya, alla
distruzione delle armi usate per 40
anni contro la Turchia.