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N. 22 - Marzo 2007

Kadyrov a capo della Cecenia

Una regione dilaniata dalla guerra e dalla mafia del petrolio

di Leila Tavi

 

All’età di soli 30 anni, il minimo consentito dalla costituzione russa, il premier ceceno Ramzan Kadyrov ha sostituito ad interim il dimissionario presidente federale Alu Alkhanov, su mandato di Vladimir Putin.

 

La nomina è giunta il 15 febbraio scorso e ha suscitato preoccupazione tra le associazioni per i diritti dell’uomo che operano in Cecenia, come Memorial HRC e il Danish Refugee Council, i cui rapporti denunciano abusi e violenze nei confronti della popolazione civile da parte dei kadyrovsky  e delle squadre speciali impiegate nella lotta contro i ribelli ceceni.

 

Governatore incontrastato della Cecenia, Kadyrov è il più giovane, il più potente e il più pericoloso presidente federale sul territorio russo. Figlio del ex presidente separatista Akhmat Kadyrov, eletto nel 2003 e ucciso durante un attentato l’anno successivo nello stadio di Grozny, Ramzan è il simbolo della corruzione, del malgoverno e della violenza che hanno messo in ginocchio definitivamente la Cecenia dopo le due guerre per l’indipendenza.

 

Nonostante la situazione attuale nella repubblica sia più stabile rispetto agli anni di guerra, ancora nel 2005, secondo un rapporto di Memorial HRC pubblicato alla fine dello scorso anno, 192 persone sono state uccise, di cui 78 civili, 44 agenti dei servizi di sicurezza, 8 ufficiali e 44 membri dei gruppi armati di ribelli.

 

Sempre nel 2005 il numero di abusi e violenze sui civili era di 151 persone portate via forza dalla propria abitazione, di 127 persone scomparse senza lasciare traccia e 23 corpi ritrovati senza vita e con segni di violenza e torture.

 

Secondo l’Ufficio del Procuratore della Repubblica al 1. aprile 2006 ben 1.949 casi di abusi su civili sono stati denunciati lo scorso anno, di cui solo 31 sono stati archiviati; 1679 casi sono stati sospesi per mancanza di prove.

 

I capi d’accusa nei confronti di ufficiali e agenti di sicurezza sono rarissimi; di solito sono le stesse organizzazioni umanitarie a sconsigliare le vittime o le loro famiglie a sporgere denuncia a causa delle ripercussioni da parte della milizia regolare e non.

 

Soltanto due casi in 15 anni di condanna per violenze e omicidio colposo a carico di ufficiali dell’esercito o agenti di polizia: il caso del colonnello Yurij Budanov, che ha violentato e strangolato la giovane Elza Kheda Kurgayeva; il procedimento non è stato insabbiato grazie agli enormi sforzi compiuti dall’avvocato della vittima, Adula Khamzayev, e il caso del commissario S. V. Lapin, che ha picchiato a sangue fino a farlo morire un innocente cittadino, Zelimkhan Murdalov.

 

Il caso del capitano Eduard Ulman, che ha ucciso cinque ceceni, pur consapevole del fatto che si trattasse solamente di civili, è ancora in corso di svolgimento.

 

Ancora nel primo semestre del 2006 Memorial HRC ha denunciato 125 casi di abusi sui civili e incarcerazioni senza regolare processo, di cui 63 persone sono tornate in libertà dietro pagamento da parte dei familiari di un specie di riscatto; 44 sono scomparse, di cui 8 trovate morte, e 9 ancora detenute irregolarmente.

 

Da gennaio a giugno 2006 47 persone sono state uccise in Cecenia, tra cui 18 civili, 11 agenti della sicurezza e 8 membri della resistenza.

 

Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un processo di “cecenizzazione” del conflitto da parte delle autorità locali: alle truppe regolari inviate dalla Russia si sono via via sostituite milizie di mercenari reclutati tra le fila dei ribelli pentiti.

 

L’appendice di tale cecenizzazione è la politica berbera e sanguinaria di Ramzan Kadyrov, attorno alla cui figura è stato costruito un culto; un tiranno intoccabile, protetto dai suoi kadyrovsky.

 

Oltre alle milizie di Kadyrov sono state spiegate dal Ministero dell’Interno sul campo, per la lotta ai ribelli e il controllo della regione, la squadra di polizia PPSM-2 e i neftpolk, i poliziotti del petrolio.

 

In entrambi i corpi sono stati arruolati ex agenti dei servizi segreti e, mentre il compito dei PPSM-2 è di garantire l’ordine pubblico, la missione dei neftpolk è di vigilare sulle raffinerie petrolifere e gli oleodotti che attraversano il territorio della repubblica.

 

E’ ormai noto alla stampa internazionale che la maggior parte dei neftpolk è in realtà al servizio dalla mafia del petrolio, che quotidianamente sottrae, con la connivenza degli agenti di sicurezza, litri e litri di petrolio abusivamente dagli oleodotti. (Tavi ; 2006a)

 

Ufficialmente i due corpi speciali non hanno compiti di controterrorismo, ma partecipano regolarmente a blitz nei villaggi e a sequestri di persona.

 

Dietro ai cosiddetti sequestri di persona irregolari si nasconde un vero e proprio business del sequestro, che frutta agli agenti corrotti coinvolti cospicui guadagni.

 

I corpi dell’arma ancora presenti sul territorio sono i battaglioni Vostok (Est), comandato da Sulim Yamadayev, e Zapad (Ovest), con a capo Sayid-Magomed Kakiyev; entrambi i battaglioni appartengono alla 42. Divisione della fanteria motorizzata russa e sono stati invischiati in passato in violenze e abusi sui civili.

 

Per i malcapitati che sono prelevati dalle case senza un mandato di arresto non ci sono molte speranze; i blitz, soprannominati zachistkas (operazioni di pulizia), sono condotti per lo più da uomini in borghese a volto coperto e le vittime, solitamente ragazzi tra i 16 e i 28 anni, sono prima brutalmente picchiati con mazze di gomma e bottiglie di plastica piene d’acqua, per non fare segni esterni di lesione, davanti ai familiari e poi sono trascinati semicoscienti in auto senza targa e portati via in luoghi di detenzione dove sono interrogati e torturati ripetutamente.

 

Uno di questi malfamati luoghi è Chernokozovo SIZO, noto per le orribili torture perpetrate ai danni dei detenuti e da cui spesso si esce dopo aver firmato una confessione per crimini mai commessi.

 

Questi sono alcuni dei casi denunciati da Memorial HRC e SOVA Information and Analysis Center.

 

Il 7 luglio del 2006 alle 3 del mattino alcuni ufficiali della SOBR (Forza di reazione rapida della polizia cecena) sono entrati in casa dei Dzhabrailov, nel villaggio di Anyb, nel distretto di Ust-Kulom della  Repubblica di Komi e hanno dapprima picchiato e poi ucciso il figlio maggiore dei Dzhabrailov, Mussa, con l’accusa di aver fatto parte di un gruppo armato clandestino.

Mmesi dopo il fratello minore Lema, che non ha mai partecipato ad azioni di protesta o sovversive, è stato prelevato con la violenza da casa ed è tuttora sconosciuta ai familiari la sorte del giovane.

 

Zaurbek Talkhigov è stato l’unico mediatore dei ribelli nella tragedia del teatro Dubrovka di Mosca. Nonostante abbia collaborato con gli agenti del FSB per il rilascio di alcuni degli ostaggi di nazionalità straniera che si trovavano all’interno del teatro, è stato arrestato dai servizi segreti russi. Dopo anni di detenzione e torture Talkhigov ha adito la Corte europea dei diritti umani e, improvvisamente, nel 2006 si è ammalato di un grave infezione al fegato.

 

Tutto fa pensare che si tratti di un tentativo di avvelenamento, così da dimostrare ad altri eventuali coraggiosi detenuti quanto appellarsi alle corti internazionali per la tutela dei diritti umani possa essere pericoloso e inutile.

 

Il 26 aprile del 2006 Aishat Abdrakhimovna Nalgiyeva, una donna cecena di 40 anni disabile, residente in Inguscezia, si è rivolta al Comitato per l’Assistenza civile per denunciare che suo figlio di 35 anni, Adam Ibragimovich, condannato a tre anni e mezzo di detenzione per un piccolo furto nella colonia penale “OD” n.1-2, nella città di Pokrov, regione del Vladimir, è stato trasferito in un altro penitenziario senza nessuna comunicazione ufficiale.

 

Questi sono solo alcuni dei casi più recenti di una lunga lista di soprusi ed esecuzioni extra-giudiziali pubblicata da Memorial HRC in On the situation of residents of Chechnya in the Russian federation.

 

Per chi rimane in vita l’alternativa è una diaspora attraverso l’intera federazione; si fugge dalla propria terra per paura, perché la propria casa è stata demolita dai bombardamenti durante la guerra, perché in Cecenia non c’è di che guadagnarsi da vivere.

 

Migliaia di profughi si trovano ai confini con la Cecenia, in Dagestan o in Inguscezia, altri si spingono più lontano, fino a Mosca, la capitale, dove fanno una vita da diseredati, senza regolari permessi di soggiorno, senza poter usufruire dell’assistenza sanitaria o poter mandare i figli a scuola.

 

Clandestini nelle periferie di Mosca, con il terrore negli occhi di essere presi dalla polizia durante uno dei soliti controlli alla metropolitana o nei mercati, i profughi ceceni spariscono chissà dove a soffrire ancora dopo gli orrori della guerra delle angherie di qualche ufficiale in vena di divertirsi.

 

Il 17 giugno 2006 un veterano della guerra in Cecenia ha fatto irruzione in uno studentato dell’Università di Tver insieme ad altri poliziotti della SOBR picchiando a sangue degli studenti ceceni e minacciandoli con le parole “Vi ho massacrato lì [in Cecenia] e qui farò lo stesso!”.

 

Molti dei profughi stanno facendo ritorno a casa; finalmente è iniziata la ricostruzione, molti hanno di nuovo un tetto sopra la testa.

 

Ma a chi sono state destinate queste nuove case? A chi ha fatto ammenda, a chi deve urlare al tiranno che nessun è più magnanime e giusto di Kadyrov. Per chi ha un’opinione diversa da quella del padrone della Cecenia non c’è posto, non c’è lavoro.

 

La Commissione europea ha approvato il 21 febbraio lo stanziamento di 17,5 milioni di euro in azioni umanitarie a favore delle vittime del conflitto in Cecenia, ma chi può garantirci che questi soldi non finiranno nelle mani dei politici e degli agenti corrotti?

 

Nel frattempo la resistenza armata si è riorganizzata alle porte della Cecenia, nelle vicine repubbliche del Dagestan e dell’Inguscezia. All’inizio di questo mese ci sono stati scontri mortali tra forze dell’ordine e ribelli che hanno causato la morte di tre poliziotti in Dagestan; quattro ribelli in Inguscezia e undici morti tra guerriglieri e forze dell’ordine in Cecenia.

 

Ma il Cremlino deve temere di più le azioni armate dei ribelli ho l’intraprendenza del tiranno Kadyrov, ora il vero e incontrastato padrone della Cecenia?

 

Potrebbe essere proprio il fedele a Putin ad allontanare ancora di più la Cecenia dall’orbita russa e non per rivendicazioni nazionali, come il movimento d’indipendenza, ma per i biechi interessi legati al petrolio.

 

Ecco la nuova faccia di Kadyrov, che si ricicla da apparatchiki filorusso a custode dei valori musulmani e delle tradizioni cecene.

 

E tutto questo perché? Per poter gestire indisturbato insieme alle sue truppe di mercenari sanguinari il traffico miliardario legato ai due milioni di tonnellate di petrolio ceceno.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Memorial HRC, On the situation of residents of Chechnya in the Russian federation. July 2005-July 2006, edited by Svetlana A. Gannushkina, Mosca, 2006, p. 95

SOVA Information and Analysis Center, http://www.sova-center.ru

Tavi, L. (2005). "I ribelli di Nalchik. La questione cecena." InStoria I(6, novembre), http://www.instoria.it/home/Ribelli_nalchik.htm

Tavi, L. (2006). "La morte di Shamil Basayev. In Cecenia la lotta è tra separatisti e kadyrovtsy." InStoria II(15, agosto), http://www.instoria.it/home/morte_shamil_basayev.htm

Tavi, L. (2006). "La questione cecena. Le ragioni storiche dell'odio." InStoria II(9, febbraio), http://www.instoria.it/home/questione_cecena.htm

 

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