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FILOSOFIA & RELIGIONE


N. 12 - Dicembre 2008 (XLIII)

Juan Linz
analisi concettuale dei regimi autoritari e totalitari

di Massimilano Aloe

 

Il ruolo del totalitarismo sia nelle scienze sociali sia nella discussione politica nel secondo dopoguerra ha acquistato sempre maggior peso, soprattutto in area statunitense.

 

Come concetto storiografico è eminentemente moderno e novecentesco proprio per l’utilizzo volto a comprendere gli avvenimenti del secolo e la lotta vincitrice del liberalismo nei confronti d’ogni regime totalitario.

 

Emanuel Lévinas già nel 1934 a proposito del nazismo affermava, nel breve scritto Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, che esso consisteva in un risveglio di sentimenti elementari, essendo la negazione delle libertà dell’uomo e in definitiva una sorta di determinismo naturalistico e biologistico in grado di richiudere l’uomo in un orizzonte immanente e terrestre. Esiste, pertanto, un orizzonte filosofico del totalitarismo, ma anche uno storico politico.

 

Hannah Arendt, ad esempio, individuava ne Le origini del totalitarismo due aspetti fondamentali: uno storico politico mediante un’analisi della storia dell’Europa dall’età moderna in poi, con particolare attenzione per compreso tra gli anni venti dell’Ottocento fino alla Seconda guerra mondiale, ed un altro filosofico-politico centrato sull’ideal-tipo dei regimi totalitari fascista e stalinista interpretati come fenomeni similari.


Juan Linz nei suoi lavori ma soprattutto nel volume Sistemi totalitari e regimi autoritari testimonia la sua grande esperienza nel campo della politica comparata al mondo, ma soprattutto conferma di essere uno di quegli studiosi della storia politica del Novecento che riesce, attraverso una rigorosa analisi storico-comparativa, a cogliere le peculiarità dei sistemi politici classificandoli in tipi e sottotipi.


Linz basa le proprie analisi sugli studi di quegli studiosi di scienze sociali che hanno tentato di descrivere e spiegare il funzionamento dei diversi sistemi politici e nello stesso tempo tenta una riduzione della complessità ad un numero adeguato di tipi tali da rappresentare sufficientemente la varietà del reale.

 

A Linz non sfugge la complessità di una tale operazione a causa dei mutamenti della realtà politica, della sovrapposizione di termini e di un’onomastica politica e programmatica diffusa da alcuni sistemi politici. Linz partendo da un esame del regime franchista negli anni Sessanta giunse ad una formulazione del concetto di regime autoritario distinto dai sistemi totalitari e dalla forma di governo democratica.

 

L’impegno nell’analisi del concetto di totalitarismo nasce dall’esigenza di « distinguere una particolare forma storica di regime e di società da altri sistemi non democratici » focalizzando, in particolare, la volontà di un regime ad organizzare tutti gli aspetti della vita politica di una società. Tutti gli studi dovrebbero prestare particolare attenzione all’ideal-tipo del totalitarismo che si origina attraverso una più complessa indagine sui regimi non democratici e antiliberali. Per questo il punto di partenza è fornire una definizione della democrazia, per compiere in seguito una disamina dei sistemi politici totalitari.


Per quanto riguarda i regimi totalitari, Linz dichiara apertamente di essere vicino alle posizioni di Furet espresse ne Il passato di un’illusione piuttosto che a quelle di Nolte contenute ne La guerra civile europea. Il fascismo, infatti, interpretato come reazione al comunismo produce l’errore di non dare sufficiente rilievo alla sua componente antiliberale, antidemocratica o d’altro genere, e alla particolare capacità di seduzione che fu in grado di esercitare.

 

Nei suoi studi precedenti aveva classificato il fascismo italiano come totalitarismo interrotto in ragione del numero limitato di vittime e perché, diversamente da Hannah Arendt, non includeva il terrore come elemento distintivo e caratterizzante. L’autore, tuttavia, riconosce il valore di alcuni recenti studi compiuti da diversi ricercatori italiani che mostrano l’impronta marcatamente totalitaria della dittatura, attraverso le modalità operative del regime, della sua strutturazione ideologica, della debolezza delle istituzioni di fronte la forza del Pnf, e del potere sacrale ostentato da Mussolini, che lasciano « intravedere un consenso diffuso su una definizione tipologica del fascismo ».

Emilio Gentile, inoltre, in alcuni lavori che approfondiscono l’intrinseca tendenza totalitaria del regime di cui parlava Renzo De Felice, mostra come il fascismo fosse più totalitario di quanto si pensi comunemente.


Linz rileva l’esigenza di condurre uno studio causale del fallimento dei regimi democratici di fronte ai propri avversari. Il totalitarismo « non fu l’esito ineluttabile della crisi europea all’indomani della prima guerra mondiale o della grande depressione, ma solo uno dei possibili frutti della modernità accanto alla democrazia ». In questo senso, un nuovo spunto riguarda la propensione di alcuni studiosi nell’interpretare il totalitarismo come risultato di particolari eredità storiche.

 

Questa tendenza, ciononostante, deve essere circoscritta in considerazione dell’arbitraria lettura politica basata sul fattore culturale. I nuovi spunti d’indagine sui sistemi politici contemporanei ha spinto molti studiosi ampliare il dibattito attorno alle questioni che richiedono un maggior approfondimento. Ad esempio, rileva i cambiamenti apportati in seguito alla tragedia delle Torri gemelle, eppure, si nota con una certa facilità che essi non hanno portato alla creazione di regimi politici originali, mentre si riscontrano diversi insuccessi nei processi di democratizzazione dei paesi dell’ex Unione Sovietica. Questi ultimi, preferisce indicarli come regimi ibridi, in quanto presentano caratteri comuni a sistemi presenti o passati.

 

Non si possono, però, classificare tra i regimi autoritari per l’assenza di alcuni elementi quali il limitato pluralismo politico, una forte ideologia o un partito unico. Il carattere apparentemente democratico di questi regimi non permette una facile concettualizzazione, perché adottano un sistema istituzionale simile nella forma alle democrazie occidentali ma non nella sostanza. Questo nodo resta da sciogliere, tanto più se si considera il problema della quantificazione della democrazia. Oggi, infatti, è maggiormente complicato, rispetto al passato, identificare i regimi non democratici.

 

Inoltre, per Linz alcuni indicatori o indici utilizzabili per produrre sofisticate analisi statistiche in realtà danno luogo a risultati inattendibili. Le analisi quantitative dei paesi non democratici condotte in forza delle scale di misurazione, infatti, sono state fortemente criticate da autori come L. Munck, J. Verkuilen, e da alcuni commentatori come Coppedge, Marshall e Ward e che lo stesso Linz definisce certamente prive di fondamento teorico.


Le analisi politiche e strategiche sul fenomeno del terrorismo hanno spinto molti studiosi ad individuare l’obiettivo di un movimento come quello di Al Qaeda, nell’edificazione di uno stato autonomo. Per Linz invece non hanno un progetto d’organizzazione dello Stato sia perché il destinatario dei loro atti politici è la comunità etnica, culturale e religiosa e non cittadini o sudditi in particolare.

 

Lucidamente si cerca di comprendere che l’obiettivo principale di queste organizzazioni resti l’identificazione del popolo con le modalità di governo e l’applicazione delle leggi della sharî’ah e dei costumi islamici, piuttosto che l’organizzazione del potere. Alcune leggi estremamente restrittive, inoltre, potrebbero esser adottate anche democraticamente, oppure arbitrariamente da capi etnici o tribali com’è avvenuto in Afghanistan durante il periodo in cui dominavano i talebani e, tuttavia, anche in questi casi, non si configurano sistemi teocratici, poiché non è presente un potere chiaramente ecclesiastico e un clero istituzionalizzato come nel caso iraniano.

 

In virtù di questa considerazione l’autore ritiene che sia la religione, in qualche misura, ad usare la politica e che lo scontro di civiltà di cui parla Huntington non abbia nulla a che vedere con il conflitto tra la democrazia e il fascismo o il comunismo e i regimi che hanno incarnato quelle concezioni dello stato, benché quello che descrive sia in larga misura un conflitto di politica estera internazionale degli Stati Uniti.


Nelle analisi socio-politiche di Linz s’incontrano spesso definizioni concettuali a proposito dei regimi dell’Asia centrale quali democrazie imperfette o delegate, di semidemocrazia, democrazia di facciata o democrazia illiberale, mentre sarebbe più appropriato utilizzare il concetto di autoritarismo elettorale.

 

In alcuni paesi dell’ex Unione Sovietica, per di più, si parla d’autoritarismo debole per quei governi che si appoggiano a strutture sociali quali i clan, piuttosto che sui connotati classici del nazionalismo, della religione o del partito unico. Gli interrogativi e le proposte di ricerca contenute nella postfazione sono numerose ed elencarle tutte sarebbe inopportuno in questa sede.

Si deve segnalare, tuttavia una questione fondamentale: la transizione di alcuni regimi verso la piena democrazia. Innanzi tutto, alcuni paesi del quarto o del quinto mondo confrontandosi con problemi di natura economica e sociale incontrano difficoltà crescenti nel raggiungimento della democrazia. Alcuni regimi possono ridurre le costrizioni antiliberali e aprire una strada verso la transizione democratica, ma forzare il processo riproducendo i successi nell’Europa post bellica e nel Giappone non è possibile in altri luoghi del pianeta per via dell’inesistenza di stati e nazioni con una lunga storia pregressa.

 

Altro elemento è la distinzione tra stato e regime e tra stato e nazione. Senza stato ed istituzioni fondamentali dotate di legittimità la stabilità di un regime democratico o autoritario è quasi inconcepibile, come nel caso dei regimi totalitari sultanistici la cui transizione democratica è particolarmente difficoltosa.


La differenza con i regimi non democratici sorti durante le due guerre e quelli attuali permette considerazioni ulteriori. I primi sorsero dal fallimento della transizione di regimi liberali costituzionali alla democrazia o dal collasso dei regimi democratici. I secondi nacquero da rivoluzioni contro governi autocratici precostituiti o a ridosso della decolonizzazione e dell’indipendenza e, dunque, non fondati su una tradizione democratica.

 

Questa proposta d’indagine esige, però, notevoli progressi nell’approfondimento della politica non democratica. La carenza d’informazioni, di strumenti intellettuali a disposizione, deve produrre nuovi approcci concettuali in grado di affrontare fenomeni che, evidentemente, non sono unidimensionali.

 

In ultimo, alcune considerazioni riportate da Linz a proposito del post-totalitarismo che appaiono interessanti. In primo luogo, il pluralismo istituzionale in seno allo stato e il pluralismo sociale possono sfociare in una seconda cultura o in una cultura parallela che di fronte alle eventuali difficoltà del regime si possono opporre con una notevole forza in virtù di un’opposizione democratica radicata. Le differenze tra un regime autoritario e uno post-totalitario riguardano anche il riferimento storico. Nel secondo caso il sistema politico deve far i conti con tutta l’esperienza del precedente regime totalitario il quale, per definizione, ha eliminato o represso ogni preesistente fonte di pluralismo.

 

I leader post-totalitari spesso tendono a perdere lo status di capi carismatici assumendo il ruolo di tecnocrati o burocrati di stato. Le leadership post-totalitarie, oltretutto, tendono a limitare, quando si presenta l’opportunità, la discrezionalità assoluta del leader. Queste gerarchie sono fondamentalmente costituite da appartenenti al partito, mentre i regimi autoritari tendono a cooptare nella nomenclatura quelle componenti detentrici di un certo potere. Altro elemento è il ruolo dell’ideologia e la realtà.

 

Spesso la distanza tra gli obiettivi proposti dal sistema e le effettive condizioni della realtà spingono diversi settori della società civile, tra i quali si annoverano ex sostenitori del sistema, a muovere crescenti critiche al modello, fino a produrre un certo infiacchimento dei quadri dirigenti rispetto l’impegno ideologico.

 

Tale tendenza, in ultima analisi, orienta un regime post-totalitario ad inseguire una legittimazione secondo criteri di produttività e funzionalità. I regimi post-totalitari esibiscono una debolezza che per l’autore non è stata pienamente capita e analizzata.

 

Ben vengano, allora, quegli studi che approfondendo il tema della comparsa e della trasformazione spieghino le complesse dinamiche che determinano una scelta volontaria delle élites politiche di riformare il sistema, che rendono possibile una spontanea « detotalizzazione per esaurimento » o che portano alla creazione di spazi sociali, economici o culturali in grado di sfuggire al controllo del regime.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

J. Linz, Fascismo, autoritarismo, totalitarismo. Connessione e differenze, Ideazione Editrice, Roma, 2003.
J. Linz, A. Stepan, L'Europa post-comunista, Il Mulino, Bologna, 2000.
J. Linz, Sistemi totalitari e regimi autoritari. Un’analisi storico comparativa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006.
J. Linz, Democrazia e autoritarismo. Problemi e sfide tra XX e XXI secolo, Il mulino, Bologna, 2006.
J. Linz, A. Stepan, Transizione e consolidamento democratico, Il Mulino, Bologna, 2000.



 

 

 

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