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							storia & sport 
										
										
										
										L’esempio di Jackie Robinson 
										L’America tra baseball e segregazione 
										razziale 
							
							
							di Emanuele Molisso 
							
							
							  
							
							
							Durante i secoli dal XIV al XX, gli Stati Uniti 
							d’America hanno vissuto la separazione e la 
							restrizione dei diritti civili su base razziale. Una 
							vera e propria segregazione. Quest’ultima, 
							precludeva l’accesso a strutture e servizi come 
							alloggi, cure mediche, istruzione, lavoro e 
							trasporti. Il termine veniva usato soprattutto per 
							riferirsi alla discriminazione generale contro le 
							persone nere da parte delle comunità bianche. Non è 
							un caso, che furono proprio le comunità 
							afroamericane a essere le più colpite, soprattutto 
							dopo l’entrata in vigore della dottrina legale nella 
							legge costituzionale degli Stati Uniti d’America, 
							con la dicitura “separati ma uguali” (separate 
							butequal).  
							
							
							  
							
							
							Una legge che di fatto, rese legale la segregazione 
							razziale, reputandola conforme alle linee dettate 
							dal quattordicesimo emendamento della Costituzione 
							americana. Un emendamento che garantiva uguale 
							tutela dei diritti a tutti i cittadini e a tutte le 
							altre leggi federali sui diritti civili. Un pensiero 
							che si basava su un’altra frase emblematica ovvero 
							“uguali ma separati” (equalbut separate). 
							Tutta questa serie di norme permetteva al governo 
							statunitense, di fornire servizi, strutture 
							pubbliche o private, abitazioni, cure mediche, 
							istruzione, lavoro e trasporti separati, soprattutto 
							con una divisione fra bianchi e afroamericani, ma 
							allargata anche ad altre minoranze. 
							
							
							  
							
							
							Uno dei campi dove la segregazione razziale divenne 
							una grande questione nazionale fu lo sport. La 
							segregazione sportiva iniziò nel 1900, a partire 
							dalle corse dei cavalli, dal ciclismo e 
							dall’automobilismo. La pallacanestro, il football 
							americano e il baseball ebbero la stessa 
							sorte e soltanto a partire dal 1940, per tutte e tre 
							le discipline sportive, ci fu un abbattimento delle 
							barriere razziali. Il baseball fu lo sport 
							che maggiormente vide l’unione tra campo e società, 
							tra giocatori e diritti civili. Un traguardo 
							raggiunto grazie al fondamentale lavoro compiuto, 
							dentro e fuori dal diamante, dal seconda base Jack 
							Roosevelt Robinson (conosciuto come Jackie 
							Robinson). 
							
							
							  
							
							
							Egli è stato il primo giocatore afroamericano a 
							militare nella Major League Baseball in epoca 
							moderna. Una novità importantissima visto che i 
							giocatori afroamericani erano costretti a giocare 
							nelle “Negro League” ovvero nelle leghe 
							sportive statunitensi di baseball 
							professionistico, ove le squadre erano composte per 
							la maggior parte da giocatori afroamericani. Queste 
							leghe furono attive dalla fine dell’Ottocento fino 
							al 1966, ovvero quando si esaurirono per via 
							dell’integrazione dei giocatori afroamericani nella
							Major League Baseball. Risultato ottenuto 
							grazie proprio al lavoro da spartiacque compiuto da 
							Jackie Robinson. 
							
							
							  
							
							
							Recentemente, per l’esattezza nel 2013, la storia di 
							Jackie Robinson è stata riportata sotto i riflettori 
							dall’uscita sul grande schermo del film 42, la 
							vera storia di una leggenda americana (con il 
							compianto Chadwick Boseman nei panni di Jackie 
							Robinson). Sia il film, che altri media, veicolano 
							un’immagine troppo legata al “primo giocatore 
							afroamericano della MLB” oppure al “colui che 
							ha rotto le barriere di colore nel baseball 
							professionistico”. Sono fatti inconfutabili e che 
							nessuno può mettere in discussione. Come nessuno 
							mette in discussione il suo talento nel baseball 
							e il suo essere stato uno dei migliori nel suo ruolo 
							(media battute di .311 con 137 fuoricampo in 
							carriera, una World Series vinta con i 
							Brooklyn Dodgers e un titolo di Miglior 
							Giocatore della Stagione) tanto che nel 1997, la 
							MLB decise di istituire il Jackie Robinson 
							Day, ogni 15 aprile, e inoltre fu presa la 
							decisione di ritirare il numero 42 per ogni squadra; 
							un gesto che è risaputo, essere la massima 
							onorificenza nello sport a stelle strisce. 
							 
							
							
							  
							
							
							Il problema di quando si parla di Jackie Robinson 
							riguarda il dimenticarsi della sua importanza come
							leader del movimento per la difesa dei 
							diritti civili, focalizzandosi solo sul campo e mai 
							su quello che era il fuori. Questo lo si nota, 
							soprattutto se si analizza la sua vita, il cui filo 
							conduttore è stata la coscienza politica e sociale 
							accompagnata da un senso di responsabilità nel 
							riuscire a migliorare le condizioni degli 
							afroamericani. Obiettivi sia per l’atleta, che per 
							l’attivista.  
							
							
							  
							
							
							Un esempio della sua importanza nello smuovere 
							coscienze è stato dato da un’intervista che il 
							regista Spike Lee fece a Pee Wee Reese, membro dei
							Brooklyn Dodgers e compagno di squadra dello 
							stesso Jackie Robinson. Il background di 
							Reese era fortemente legato a quella cultura 
							suprematista bianca degli stati del sud dell’America 
							e quindi, appare molto sorprendente quando in questa 
							intervista, Reese affermò di non essere stato lui ad 
							aiutare Robinson, ma che in realtà è stato tutto il 
							contrario: Jackie aiutò Reese a superare il suo 
							bigottismo. Ecco perché non bisogna mai dimenticare 
							la sua importanza fuori dal campo e l’impronta 
							fondamentale che egli ha lasciato in eredità al 
							movimento dei diritti civili. 
							
							
							  
							
							
							Un’impronta che egli iniziò a lasciare fin da subito 
							nella sua vita. Motivato da episodi di razzismo che 
							egli subì una volta trasferitosi a Pasadena, dove 
							visse tutta una serie di esperienze che fecero 
							nascere in lui un forte animo da combattente per la 
							sua gente. Spirito di cui ebbero prova i suoi 
							commilitoni nella base militare in Kansas, dove 
							Jackie si recò per completare il suo addestramento, 
							per poi far richiesta alla Scuola Candidati 
							Ufficiali.  
							
							
							  
							
							
							Una candidatura, quella di Jackie, che fu rifiutata 
							e questo portò a una serie di proteste all’interno 
							del campo militare, guidate dallo stesso Robinson, 
							che portarono la questione all’attenzione del 
							Dipartimento di Guerra. Quest’ultimo avviò delle 
							investigazioni e alla fine Jackie fu accettato alla 
							Scuola Candidati Ufficiali. Ma egli riuscì a 
							ottenere una vittoria anche per i suoi compagni 
							afroamericani, le cui condizioni nel campo militare 
							in Kansas, iniziarono a cambiare e a migliorare. Un 
							cambiamento che però, Jackie non riuscì a portare 
							alla base di Fort Hood in Texas, dove egli 
							venne trasferito dopo il Kansas. A Fort Hood, 
							ben undici anni prima di Rosa Parks, egli decise di 
							non sedersi nei posti riservati agli afroamericani 
							in fondo al bus del campo militare e questo portò a 
							un processo della corte marziale, in cui però Jackie 
							venne assolto dalle accuse ma allo stesso tempo, fu 
							sollevato dal servizio attivo. 
							
							
							Questo suo spirito, ovviamente, Jackie lo portò 
							anche all’interno del mondo del baseball come 
							dimostrò la sua denuncia pubblica contro i New 
							York Yankees, rei di essere prevenuti nei 
							confronti degli afroamericani visto che fino a quel 
							momento, nel 1952, non avevano ancora schierato un 
							giocatore nero in campo. Oppure, un’altra sua 
							denuncia pubblica contro la stessa Major League 
							Baseball, per il non concedere l’uguaglianza non 
							solo tra i giocatori, ma anche nelle posizioni 
							manageriali e nel front office.  
							
							
							  
							
							
							Non solo questi episodi, ma possiamo ricordare anche 
							quello del Chase Hotel di Saint Louis, nel 
							1954. Durante un ritiro al Chase, i giocatori 
							afroamericani potevano pernottare per la notte ma 
							non potevano condividere gli spazi aperti al 
							pubblico come, ad esempio, la sala del ristorante, e 
							quindi erano costretti a essere confinati 
							all’interno delle loro stanze. Per questo motivo, 
							Jackie, esortò i suoi compagni a non andarsene a 
							soggiornare negli hotel riservati agli 
							afroamericani, ma di rimanere e mangiare insieme a 
							tutti gli altri compagni. Episodi che mettono in 
							luce come sia importante sottolineare la sua 
							importanza come pioniere dei diritti civili. 
							
							
							  
							
							
							L’immagine di Jackie Robinson come pioniere dei 
							diritti civili è stata dimenticata per due motivi. 
							Il primo riguarda il suo scontro con l’attore Paul 
							Roberson, un altro importante attivista che era 
							molto amato e apprezzato dalla comunità 
							afroamericana. Il loro scontro nacque in seguito ad 
							alcune dichiarazioni dello stesso Roberson, in cui 
							affermava che gli afroamericani non sarebbero scesi 
							mai in guerra contro l’Unione Sovietica e per questo 
							motivo, essi non tenevano al bene e al destino della 
							patria. Un’affermazione che scatenò le ire del 
							“soldato” Jackie, il quale nel luglio 1949, si 
							presentò davanti alla Camera delle Attività 
							Antiamericane e si lasciò andare a commenti violenti 
							contro Roberson. Subito dopo, arrivarono le scuse di 
							Jackie, affermando che Roberson era un “fratello che 
							combatteva la sua stessa causa, per la quale, aveva 
							sacrificato la sua vita”.  
							
							
							  
							
							
							Il secondo motivo invece, va ricercato nel suo 
							sostegno a Richard Nixon, durante le elezioni del 
							1960. Robinson condivideva la visione economica del 
							partito repubblicano. C’era un motivo più profondo 
							però, dietro alla sua adesione alla campagna 
							elettorale nixoniana. Robinson aveva lavorato a 
							stretto contatto con Hubert Humprey, uno strenuo 
							sostenitore dei diritti civili per la comunità 
							afroamericana, il quale non ottenne la candidatura 
							per il partito democratico, ma non solo, egli si 
							sentì dire da John F. Kennedy, che essendo del 
							New England, non poteva capire i problemi degli 
							afroamericani. Per questo Jackie, diede il suo voto 
							a Nixon. Davvero troppo poco per oscurare il suo 
							spirito e la sua importanza. Basti pensare che il 
							Journal of Sport History, nella primavera del 
							1985, affermò che grazie a Jackie Robinson, 
							l’integrazione razziale nel baseball, fu l’episodio 
							più commentato nei topic dei rapporti tra 
							razze in America. Un dato che ci fa capire che 
							Jackie Robinson ha fatto tanto anche e soprattutto, 
							per l’America bianca. 
							
							
							  
							
							
							Egli è riuscito ad appellarsi alla coscienza 
							nazionale e costrinse gli americani bianchi a 
							confrontarsi con la realtà del pregiudizio nazionale 
							e a ridefinire i loro valori. Tanta strada c’è 
							ancora da fare, nessuno lo può negare. Per questo, 
							bisogna mantenere vivi la memoria e l’esempio di 
							Jackie Robinson, del suo spirito e della sua voglia 
							di cambiare il mondo. Per sé stesso, per la sua 
							gente, per gli altri. 
							
							
							  
							
							
							  
							
							
							Riferimenti bibliografici: 
							
							
							  
							
							
							T. Curry, Preface: the cultural significance of 
							Jackie Robinson in Sociological focus, 
							vol. 30, no. 4, (Ottobre 1997), pp. 307-309. 
							
							
							P. Henry, Jackie Robinson: athlete and american 
							par excellence in The Virginia Quarterly 
							Review vol. 73, no. 2, (Primavera 1997), pp. 
							189-203. 
							
							
							R. Kahn, The Jackie Robinson I remember in 
							The Journal of Blacks in higher educacation, no. 
							14, (Inverno 1996-1997), pp. 88-93. 
							
							
							W. Simons, Jackie Robinson and the American mind: 
							journalistic perceptions of the reintegration of 
							baseball in Journal of Sport History, 
							vol. 12, no.1, (Primavera 1985), pp. 39-64. 
							
							
							J. Vernon, Beyond the box score: Jackie Robinson 
							civil rights crusader in Negro History 
							Bulletin, vol. 58, no. 3-4 (Ottobre-Dicembre 
							1995), pp. 15-22.   |