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N. 113 - Maggio 2017 (CXLIV)

le insurrezioni antifrancesi in italia durante il triennio giacobino
riflessioni sui protagonisti delle rivolte italiane

di Davide Galluzzi

 

Il 1796 fu un anno di svolta per l’Italia. I soldati francesi, inviati a combattere sul territorio della nostra penisola come diversivo (è noto, infatti, che il Direttivo considerava più importante il fronte del Reno, sul quale si aspettava vittorie decisive), portavano con sé, oltre al furore delle armi, anche idee nuove e un nuovo tipo di società: la società borghese che, con le sue rivoluzioni e le sue guerre, si apprestava a distruggere l’arcaica società d’Antico regime.

 

Come già accennato questo nuovo ordine si affermò in Italia con l’aiuto delle armi francesi (per tutta una serie di motivi che non è il caso di enunciare in questo breve articolo, altresì non è il caso di ripercorrere le tappe di quella guerra) e con la conseguente occupazione militare. A sua volta questa occupazione scatenò reazioni violente nelle popolazioni rurali, appoggiate e fomentate dagli elementi reazionari della nobiltà e del clero. Fu solo la presenza francese, con i suoi eccessi, a scatenare queste rivolte? E quali furono i personaggi in campo e le motivazioni?

 

Nobiltà, borghesia, clero e masse popolari davanti al turbine napoleonico

 

Analizzando sommariamente le componenti sociali protagoniste (ossia l’aristocrazia, la borghesia, il clero e le masse popolari/contadine) si ha l’idea del fermento che la Rivoluzione francese e la seguente invasione avevano portato con sé.

 

Questi attori e le classi a cui appartengono appaiono spezzate al loro interno tra chi sostiene il nuovo ordine (la piccola e media borghesia e settori del basso clero), tra chi guardava tiepidamente ad esso (settori della grande borghesia e anche dell’aristocrazia che finiranno, poi, per avere ruoli all’interno della Repubblica cisalpina e delle sue seguenti trasformazioni) e chi, con spirito reazionario, era fermamente contrario alle novità rivoluzionarie e giacobine (settori dell’aristocrazia e dell’alto clero).

 

E le masse popolari/contadine? È questo, il raggruppamento più vasto nell’Italia dell’epoca, classe (ancora senza coscienza) protagonista delle insurrezioni antifrancesi e, quindi, di questo breve articoletto.

 

La prima caratteristica di queste ingenti masse, l’abbiamo già detto, è proprio la mancanza di coscienza di classe. I contadini ed i lavoratori dell’ambiente rurale (insomma, gli ultimi, gli oppressi) non si percepivano come classe e non avevano coscienza né del proprio ruolo né della propria forza. Non si sentivano, o almeno questo valeva per la maggior parte di essi, partecipi del grande cambiamento sociale che si stava verificando, non comprendevano e non appoggiavano il movimento borghese che lottava contro l’Antico regime, anzi, lo osteggiavano.

 

Insomma, in Italia non si formò un movimento di tipo sanculotto come quello che fu tra i motori principali della Rivoluzione francese. Si ravvisava anche in questo una delle differenze tra la città, più aperta ai cambiamenti e alle nuove idee, e la campagna, più chiusa in sé stessa e incapace di accettare e assimilare il cambiamento in atto. Le masse contadine apparivano, per citare Zaghi, “attaccate al presente” e incapaci di concepire “una condizione di vita diversa da quella miserabile e grama che vivevano”.

 

Erano, insomma, oppresse dalla nobiltà e dal clero, ma non si rendevano conto della situazione in cui vivevano e, anzi, esprimevano un attaccamento fortissimo, viscerale, a questi due istituti. Da qui al loro utilizzo strumentale durante le insurrezioni antifrancesi e antigiacobine del Triennio (complicità attiva ottenuta, è bene ricordarlo, dall’aristocrazia reazionaria e dal clero facendo leva sul sentimento religioso che questi individui vivevano intensamente) il passo fu breve.

 

Le rivolte: movimento patriottico o strumento della reazione?

 

Da più parti si sentiva (e si sente) sostenere la tesi secondo la quale le insurrezioni antifrancesi ed antigiacobine durante il Triennio furono un movimento di popolo contro l’occupazione straniera, contro l’oppressione nazionale, arrivando addirittura a dire che questi episodi furono un’anticipazione del Risorgimento. Questa tesi risulta insostenibile.

 

Essa viene non solo smentita dalla semplice cronologia delle rivolte (che non iniziarono dopo il consolidamento del nuovo ordine, bensì nei momenti seguenti l’invasione, ossia quando, con le requisizioni e le spoliazioni, si toccò il sentimento religioso delle popolazioni), ma anche dal carattere che queste insurrezioni assunsero.

 

Le masse contadine, chiuse in una mentalità estremamente reazionaria, vennero utilizzate, come già detto, dall’aristocrazia e dal clero in funzione antiborghese. Le rivolte avevano un carattere essenzialmente politico, cui si univa la componente religiosa utilizzata per stimolare le reazioni contadine.

 

Mancano, insomma, rivendicazioni di qualsivoglia genere da parte di queste masse, strumento utilizzato dagli elementi reazionari nella loro lotta contro le nuove classi emergenti. E per ottenere tale scopo questi elementi retrivi della società fecero leva sul sentimento religioso (offeso dalle già citate requisizioni e aizzato dalla propaganda clericale tesa a dipingere francesi e giacobini come senzadio assetati di sangue) e sul malcontento popolare che, in realtà, aveva radici ben più lontane, risalenti alle riforme iniziate nel corso del XVIII secolo (riforme che, è bene ricordarlo, avevano già iniziato a far traballare il mondo d’Antico regime) e al peggioramento delle condizioni di vita dei contadini.

 

Furono quindi la difesa della religione, del mondo antico cui erano attaccati (messo in pericolo sia dalle riforme avvenute durante il secolo, sia dalla marea rivoluzionaria) e, anche, del proprio interesse privato (come dimostrato dalle proteste contro la coscrizione o contro le tasse) a garantire le basi per le insurrezioni e non inesistenti rivendicazioni sociali o lotta contro l’oppressione nazionale.

 

La reazione francese

 

Davanti a queste insurrezioni, fomentate, lo ricordiamo, dalla nobiltà reazionaria e dal clero (che partecipava ad esse in modo indiretto, come prova il lungo elenco proposto da Zaghi nel suo ben noto volume “L’Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno”), la reazione francese fu spietata. Diversi sacerdoti, identificati come capi o ispiratori delle sommosse, furono fucilati o incarcerati o condannati in contumacia. Chiara era la posizione del Bonaparte, sia sulla questione dei rapporti tra la Chiesa e la politica, sia su come trattare i capi delle rivolte (posizione, questa, testimoniata anche dai messaggi inviati ai generali Rusca e Vaubois).

 

La stessa sorte, in misura forse maggiore, toccò anche ai civili. Oltre alle fucilazioni essi furono colpiti anche dai saccheggi, dalle requisizioni, dalle distruzioni e dalle violenze (famosissimo il caso di Binasco, attaccato e distrutto dalle truppe francesi, ma si potrebbero fare numerosi altri esempi).

 

Fu questa terribile reazione da parte francese, questo pugno di ferro utilizzato dal giovane Bonaparte nel reprimere le insurrezioni contadine e nel colpire i loro ispiratori a garantire alla futura Repubblica Cisalpina una relativa stabilità nei brevi anni della sua esistenza. Questa tregua sociale sarà tuttavia destinata a rompersi tragicamente all’indomani della riapertura delle ostilità con l’Austria.  



 

 

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