[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 159 / MARZO 2021 (CXC)


attualità

BELFAST CALLING
LO SCENARIO IRLANDESE NEL POST-BREXIT
di Gian Marco Boellisi

 

Dopo mesi e mesi di ritardi e trattative, alla fine la tanto agognata Brexit ha preso il via. Dal primo gennaio 2021 infatti la Gran Bretagna non fa più parte dell’Unione Europea. Ora essa dovrà seguire un percorso fatto di numerosi iter burocratici e amministrativi, i quali porteranno al completo scioglimento di tutti quei legami creatisi tra Europa e Gran Bretagna all’indomani del Secondo Conflitto Mondiale.

 

Non è un segreto tuttavia che gli accordi hanno richiesto mesi e mesi di negoziazione da parte di entrambe le parti, portando concretamente il rischio del tanto famigerato “no deal”, ovvero il mancato accordo. Uno dei punti più critici delle trattative e che ancora oggi presenta il maggior numero di incognite è la questione irlandese, alla luce soprattutto della tregua stipulata nel 1998 e oggi messa in dubbio dall’uscita inglese fuori dalla UE.

 

Infatti, come svariati analisti avevano previsto, già dopo appena tre mesi dall’inizio della Brexit i rapporti tra Regno Unito e Irlanda stanno incontrando i primi ostacoli e probabilmente non siamo che all’inizio. È interessante quindi analizzare quanto sta succedendo in queste settimane in Irlanda del Nord, Irlanda e Gran Bretagna, così da comprendere a pieno quale sarà il futuro delle relazioni di queste importanti nazioni.

 

In primis è importante partire da una breve analisi storica. I rapporti tra l’Irlanda e l’Inghilterra sono sempre stati particolari, in virtù prevalentemente del forte espansionismo inglese, il quale ha sempre considerato l’isola vicina un vero e proprio giardino di casa. Le attività militari di Londra possono essere fatte risalire all’invasione inglese del 1171 da parte di Enrico II d’Inghilterra. Da qui in avanti la storia delle due nazioni è stata un susseguirsi di invasioni, guerre e successive tregue che hanno portato infine all’indipendenza del 1921, a esclusione delle 6 delle 9 contee dell’Ulster a maggioranza protestante, le quali sono ancora oggi in mano britannica.

 

Questa divisione, sia politica ma anche religiosa tra cattolici e protestanti, portò a quelli che oggi sono noti come i Troubles, ovvero un periodo della durata di circa 30 anni in cui gruppi armati, appartenenti sia alla fazione nazionalista che lottava per un’Irlanda unita sia alla fazione unionista che preferiva la permanenza del’Irlanda del Nord nel Regno Unito (quest’ultima con supporto logistico e militare da parte dell’esercito di sua Maestà), scatenarono una lotta senza quartiere per il raggiungimento dei propri obiettivi. Tutto ciò ebbe termine nel 1998 con gli accordi di pace del Venerdì Santo, ponendo fine a un conflitto che aveva causato svariate migliaia di morti (se ne stimano circa 4.000) durante tutta la sua durata.

 

Uno dei principi cardine degli accordi di pace, sul quale tra l’altro si regge ancora oggi il fragile equilibrio tra le due regioni, è sempre stato un confine aperto e libero tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord. Ciò fu reso possibile solamente dal fatto che sia Gran Bretagna, e quindi Irlanda del Nord, sia l’Irlanda stessa facessero parte dell’Unione Europea, e quindi non vi fu una reale necessità di porre barriere doganali o altre tipologie di controlli a merci o persone nel passaggio da una regione all’altra. Questo status di cose tuttavia ha trovato una sua fine con la Brexit, essendo oggi il confine di 449 km che separa le due Irlande de facto il confine tra uno stato europeo (l’Irlanda) e uno stato extra-europeo (la Gran Bretagna).

 

Non c’è da farsi illusioni: sia per i nazionalisti irlandesi sia per gli unionisti nordirlandesi gli accordi di pace del Venerdì Santo hanno rappresentato solamente una tregua temporanea dalla guerra che tanto aspramente entrambe le parti avevano combattuto. Questo prevalentemente perché nessuna delle due fazioni ha ottenuto gli obiettivi sperati, lasciando un enorme amaro in bocca a entrambe. Infatti la pace portò una libera circolazione all’interno dell’isola irlandese, ovvero il desiderio più recondito delle forze nazionaliste irlandesi, lasciando però una grossa porzione della stessa ancora in mano agli inglesi, il quale era l’obiettivo principale degli unionisti. Risulta quindi fuori discussione che, nonostante gli interessi enormemente differenti in gioco, l’Unione Europea abbia assicurato per più di 20 anni un’isola pacificata e unita, seppure allo stesso tempo profondamente divisa.

 

Ed è in questo contesto estremamente complesso che si inseriscono gli avvenimenti delle ultime settimane. È infatti notizia recente che i rappresentanti delle forze unioniste hanno inviato una lettera al primo ministro britannico Boris Johnson, con notifica in conoscenza al premier irlandese e alla Commissione Europea, di volersi ritirare dagli accordi di pace del Venerdì Santo. Tra i gruppi lealisti vi sono anche alcuni gruppi paramilitari tra cui l’UVF (Ulster Volunteer Force), l’UDA (Ulster Defense Association) e il Red Hand Commando. Non è la prima volta che i gruppi lealisti ritirano il proprio sostegno dagli accordi di pace. Infatti vi fu un caso analogo nel 2001 con il gruppo dell’UFF (Ulster Freedom Fighters), tuttavia in questa occasione la motivazione è stata inerente all’accordo tra Regno Unito e Unione Europea per quanto riguarda la Brexit.

 

Gli accordi della Brexit prevedono che, a seguito del distacco di Londra da Bruxelles, Gran Bretagna e Unione Europea possano commerciare senza tariffe aggiuntive, ma istituisce nuovi controlli doganali e ostacoli burocratici da rispettare affinché gli scambi commerciali possano avere luogo. Ciò riguarda direttamente la questione irlandese poiché in questa maniera è stata evitata la costruzione di una barriera, commerciale o fisica che sia, tra Irlanda del Nord e Irlanda, mantenendo l’isola sia dentro l’unione doganale inglese sia dentro il mercato comune europeo.

 

In questa maniera gli scambi avvengono tra le due parti senza controlli, ma Londra al contrario è costretta a limitare enormemente con controlli e lungaggini di vario genere le merci in entrata e in uscita dall’Irlanda del Nord, facente parte questa della propria unione territoriale. Ciò ha già causato negli scorsi mesi danni economici non di poco conto all’economia nordirlandese e ha messo in crisi la circolazione delle merci all’interno del Regno Unito.

 

Ed è proprio questo che gli unionisti rimproverano al governo inglese, ovvero che nel tentativo di mantenere salda la pace tra le due Irlande esso abbia indebolito de facto il legame tra Irlanda del Nord e Regno Unito. Allo stato attuale il Regno risulta essere “economicamente diviso”, considerando che Londra non ha potuto fare altro che isolare parzialmente la propria provincia in attesa di assestarsi su un nuovo equilibrio commerciale. I gruppi unionisti hanno dichiarato di voler effettuare una pacifica opposizione, senza che quindi questa uscita dagli accordi si traduca in una chiamata alle armi generali per gli irlandesi del nord, fino a quando Londra non prenderà provvedimenti per risolvere la crisi attuale.

 

Gli effetti di questo isolamento tuttavia si stanno già facendo sentire. La prima conseguenza è stata un’iniziale penuria di generi alimentari, visto che la maggior parte dei supermercati nordirlandesi si riforniva fino a qualche mese dalla Gran Bretagna, per poi giungere in queste settimane a un cambiamento generale dei canali e delle rotte commerciali tra le due isole, privilegiando quindi quelle che passano direttamente dall’Unione Europea e in parte dall’Irlanda. E questo è solo l’inizio. Infatti molte misure definitive sono attualmente sospese per poter concedere una transizione più smussata ai nordirlandesi, ma che si tradurrà in una crisi di proporzioni bibliche per l’economia dell’Ulster da qui a pochi mesi quando tutte le nuove norme entreranno in vigore.

 

E inoltre, come se al danno si volesse aggiungere la beffa, il risultato finale è proprio quello auspicato dai nazionalisti irlandesi e tanto temuto dagli unionisti, ovvero con la depauperazione dell’economia nordirlandese alla lunga si rischia di avvicinare Belfast a Dublino e al tempo stesso di allontanarla da Londra.

 

Johnson quindi avrebbe ottenuto, involontariamente, ciò che tanto aveva cercato di evitare con mesi e mesi di estenuanti trattative con la Commissione Europea. Non è un segreto infatti che i colloqui si sono protratti a lungo per trovare una quadra sul mantenimento della pace tra le due Irlande e al tempo stesso impedire alla Gran Bretagna di accedere al mercato europeo, con tutti i benefici che esso comporta, attraverso il confine irlandese. È interessante osservare come al referendum per la Brexit la popolazione dell’Irlanda del Nord abbia votato in larga parte in favore alla permanenza nell’Unione. Forse perché si sapeva con largo anticipo a cosa sarebbero andati incontro in caso di vittoria del “Leave” e lo si è cercato di evitare con tutte le forze.

 

Se da un lato gli unionisti affermano che non rientreranno negli accordi di pace fin quando Londra non tutelerà i diritti commerciali con l’Irlanda del Nord, dall’altro lato i nazionalisti si sono svegliati con rinnovata forza all’indomani della Brexit. Oltre al successo nelle ultime elezioni del partito cattolico Sinn Fein, molti movimenti indipendentisti, più o meno estremi, hanno ripreso vigore, soprattutto all’indomani del progressivo isolamento dell’Ulster. Vi è inoltre la consapevolezza che, secondo gli accordi di pace del Venerdì Santo, nel caso in cui si raggiunga una maggioranza cattolica in Irlanda del Nord, la qual cosa si verificherà verosimilmente entro 15 anni a questa parte, Belfast e tutto l’Ulster avranno diritto a un referendum consultivo inerente all’indipendenza da Londra e all’unione formale con Dublino. Visti i recenti avvenimenti, forse questa eventualità, che nel 1998 sembrava solo una possibilità lontana e remota, potrebbe diventare un fatto concreto.

 

Oltre ai malumori interni, Londra deve affrontare anche le pressioni non indifferenti che provengono da Bruxelles. Infatti inizialmente si sono avute solamente accuse da parte della Commissione di violazione degli accordi internazionali a seguito dell’intenzione di Londra di agire unilateralmente per dare tempo alle aziende nordirlandesi per adattarsi ai cambiamenti commerciali in atto.

 

Inizialmente era stato scelto un periodo di pochi mesi per permettere questo adattamento, tuttavia poi il governo Johnson ha deciso di estendere questo periodo fino a ottobre 2021. A seguito di questa decisione l’Unione Europea ha avviato una vera e propria procedura legale nei confronti del Regno Unito per aver violato gli accordi comuni sulla questione irlandese. Nonostante questa sia la prima contesa tra le due parti inerente alla Brexit, di sicuro non sarà l’ultima.

 

In conclusione, la Brexit sta già portando alla luce le prime difficoltà di quella che è stata sempre una questione estremamente delicata nonché uno dei conflitti che ha insanguinato maggiormente il Vecchio Continente dalla fine della Secondo Guerra Mondiale in poi. Gli attuali provvedimenti e le conseguenti reazioni da parte della popolazione irlandese devono essere presi come un avvertimento sia da parte di Gran Bretagna sia dall’Europa, entrambe parti con grandi interessi affinché la pace perduri tra le due Irlande.

 

Qualora una situazione tanto delicata venisse ignorata o trascurata ulteriormente, il rischio di avere una ripresa della stagione delle ostilità sarebbe drammaticamente concreta. Allo stato attuale nessuna delle parti contraenti l’accordo sulla Brexit sembra voler revisionare il trattato e forse solo un forte scossone proveniente dalle terre d’Irlanda potrebbe rendere necessaria una simile decisione.

 

Una considerazione finale la merita in particolare il premier inglese Boris Johnson, il quale è passato dal “lasciamo l’Europa per rimanere uniti” al cercare di trovare un cavillo giuridico per allungare una transizione commerciale necessaria a tenere insieme l’unione politica della Gran Bretagna. È il caso di dire che forse Johnson qualche anno fa la Brexit non se la immaginava propriamente così.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]