[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

178 / OTTOBRE 2022 (CCIX)


attualità

LA TEOCRAZIA "SVELATA"
L’IRAN TRA PATRIARCATO E LIBERAZIONE
di Francesca Zamboni

"Tagliare" e "svelare" sono i due verbi carichi di azione attorno ai quali stanno ruotando le proteste e le lotte delle donne iraniane dopo la morte di Mahsa Amini e non solo. Perché dopo il suo decesso altre ragazze hanno perso la vita al grido dello slogan curdo “Donne, Vita, Libertà”: Hadis Najafi, Nika Shakarami, Hananeh Kia e Ghazale Chelave.


Un modo per protestare non è solo scendere in piazza o bruciare l’hijab, ma ce n’è un altro, carico di pathos: il taglio dei capelli, un gesto simbolico, appartenente alla cultura persiana e mediorientale; è utilizzato per esprimere un immenso dolore in caso di lutto o come segno di protesta contro l’oppressore. In alcuni villaggi dell'Iran le giovani vedove sono solite appendere i propri capelli tagliati e intrecciati agli alberi. E nel gesto vi è tutta la rabbia della perdita, della tristezza, ma anche della voglia di combattere contro il lutto e l'oppressione che, nelle rivolte attuali, viaggiano spietatamente all’unisono.


L’unica via di fuga, al momento, resta la protesta così come il taglio, non solo metaforico, con una cultura teocratica, sorda alle richieste di donne piegate, ma non stanche abbastanza per continuare a combattere, svelando i propri desideri; mostrando capelli, volti, sorrisi senza il timore di essere punite dalla polizia morale.


Quindi "svelare" nell’accezione del termine: togliere il velo, ma anche manifestare e rivelare. E questi restano gli obiettivi delle donne iraniane per essere finalmente se stesse, libere da precetti religiosi classici, dalla connotazione politica in base ai quali tutto deve essere giustificato.

 

Per fare alcuni esempi, oltre all’obbligatorietà del velo, le donne iraniane non possono lavorare senza l’autorizzazione del marito; allo stesso modo non possono viaggiare, ottenere il passaporto, scegliere i propri capi di abbigliamento, andare in bicicletta o allo stadio, cantare, ballare e studiare in classi miste. In materia di successione, la loro eredità ammonta alla metà rispetto a quella degli uomini. E per quanto concerne il diritto di famiglia, non possono divorziare se non in casi particolari. Da non molto tempo le donne, inoltre non hanno neanche il diritto di sottoporre a screening il feto durante la gravidanza.


In questa situazione la donna iraniana è praticamente cresciuta e non è più disposta a essere uno strumento politico, l’oggetto di un governo che non ha mai risposto alle sue richieste, oltretutto in un sistema teocratico in cui il patriarcato eccelle. Per di più, come già sottolineato, l’uso del velo non è una pratica musulmana. Le origini del velo risalgono a un’epoca precedente all’Islam. Già nel XII secolo a.C. le donne della Mesopotamia assira erano costrette a indossarlo dopo il matrimonio e nell’antica Grecia Elena, la moglie di Menelao, si serviva di esso ogni volta che si mostrava in pubblico. Ma anche la fede cristiana ci dice che i capelli sono sinonimo di bellezza e per pudore devono essere coperti durante la pratica religiosa. Solo pochi anni fa le donne erano solite indossare il velo durante la funzione della Messa.


Oggi però la religione non può essere più una chiave di lettura univoca per interpretare esigenze personali con l’intento di risolvere problematiche socio-economiche. La teocrazia iraniana dopo 43 anni si è scontrata con un universo composto da donne sempre più preparate e consapevoli del loro mondo interiore e di quello circostante, il tutto al culmine di una crisi economica iniziata nel 2018, anno dell’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano.


Una rivolta che ha unito, coinvolgendo più di ottanta città, uomini, donne, giovani e anziani, superando antiche divisioni etniche all'interno del paese tanto da aver favorito un’apparente distensione tra arabi turchi, curdi e iraniani.


Mahsa Amini è il simbolo del cambiamento, della protesta che unisce e che molto probabilmente porterà l'Iran al centro delle discussioni geopolitiche partendo proprio dalla questione femminile. Tuttavia ciò che spaventa è il tentativo di voler sempre giustificare una morte o una protesta da parte di una forma di governo che non dà risposte, ma solo contraccolpi. Pochi giorni fa il presidente iraniano Ebrahim Raisi aveva promesso l’apertura di un’indagine sulla morte di Mahsa Amini. L’esito autoptico, che avrebbe dovuto rendere giustizia a chi non ha potuto più farlo in un’aula di tribunale, è ancora una volta la conferma dell’attuale condizione della donna in Iran.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]