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[ISSN 1974-028X]

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N. 21 - Febbraio 2007

IBN KHALDUN

L’uomo del Mediterraneo

di Arturo Capasso

 

Premessa

 

Ibn Khaldùn... Siamo di fronte ad un personaggio particolare. Si è mosso per quasi tutta la sua vita fra Tunisi, Fez, Granada, Bugia, II Cairo.

 

Le sue intuizioni hanno anticipato di secoli il cammino della Sociologia.

L'Uomo del Mediterraneo ha però subito anche le sorti di tanti illustri scrittori, scienziati e pensatori nati nei Paesi sottoposti a re­gimi coloniali e diventati delle Cenerentole da tenere ben chiuse. Proprio per nascondere la loro bellezza.

 

«Quanto a noi, Dio ci ha favorito con la Sua ispirazione. Ci ha fatto scoprire una scienza di cui ci ha fatto l'interprete sincero ed esatto. Se io ho potuto esporre tutti gli aspetti di questa scienza e distinguere i suoi punti di vista e gli scopi da tutte le discipline, è grazie all'aiuto e all'ispirazione di Dio.

 

Se io ho omesso un qualsiasi punto o introdotto per errore dei problemi che non dovevano essere trattati, spetta al critico rigoroso riparare questi errori; ma mi si riconoscerà un merito: quello di avere aperto la strada ed indicato la direzione da seguire»  Muqaddima, I/33 1-335 (I.K. Peuples et nations... p. 112).

 

Dal marzo del 1375 al novembre del 1378 Ibn Khaldùn è in ri­tiro a Qal'at Ibn Salàma presso Frenda e inizia a scrivere la Muqad­dima (che completerà nel novembre del 1377) ed una parte del Kit ab al-Ibar.

 

Poco prima aveva cercato di stabilirsi con la sua famiglia presso il santuario d'al 'Ubbàd a Hunyn, porto di Tlemcen.

 

Voleva dedicarsi completamente alla scienza e all'insegnamento. Fu costretto ad andarsene, perché il sovrano Abù Hammù voleva affidargli una nuova missione presso gli Arabi Dawàwida.

 

Ibn Khaldùn nasce a Tunisi il 1° Ramadan 732, e cioè il 27 mag­gio 1332.

La sua vita è un susseguirsi di trionfi e fughe, di cambi di città e sovrani, descritti molto bene  nella lunga Autobiografia, tradotta in­tegralmente da Abdesselam Cheddadi e pubblicata nel 1980 presso Sindbad. La seconda edizione è del 1995.

Ma torniamo al nostro eroe, uomo di grande fede.

«Dio guida con La sua luce chi Gli piace.

 

Andiamo ora ad esporre in questo libro le condizioni della civil­tà come appaiono quando gli uomini vivono in società: il potere, l'acquisizione dei beni, la scienza, le arti...

 

L'uomo si distingue da tutti gli altri animali per un certo numero di caratteristiche. Queste sono: in primo luogo, le scienze e le arti, prodotti del pensiero, che allo stesso tempo lo distinguono dagli animali e lo elevano al di sopra di tutte le creature.

In secondo luogo, il bisogno di un organismo repressivo e di un'autorità coercitiva, senza le quali non si può realizzare l'esisten­za dell'uomo.

 

Fra tutti gli animali, l'uomo è l'unico in questo caso, se non si tiene conto di ciò che si dice delle api e delle cavallette. (nota1)

Ma se fra gl'insetti esiste questa condizione, essi l'hanno per ispi­razione, non come risultato del pensiero e della riflessione.

In terzo luogo, lo sforzo per il sostentamento, la ricerca attiva dei modi e dei mezzi adeguati per assicurarseli.

 

Dio ha voluto che l'uomo, per vivere e sostenersi, fosse nella ne­cessità di nutrirsi e Lui l'ha guidato verso il desiderio e la ricerca di cibo.

In ultimo luogo, la civiltà (al-'unràn), vale a dire il fatto di abitare o d'accamparsi insieme in una città o accampamento, di usufruire della società, di soddisfare i bisogni umani. Giacché la cooperazione per la sopravvivenza è una cosa scritta nella natura degli uomini» (Muqaddima, cit., p. 113). (nota 2)

«.È la fede che rappresenta il principio delle opere ed il grado più alto della felicità, perché essa è la più elevata di tutte le opere interiorì”(I.K.,La Voie et la Loi,p.108).

 

Il Kitab al-'Ibar si compone di tre libri. Il primo, che in genere è chiamato Muqaddima, tratta della storia vista dall'interno e delle cau­se che la determinano; i Libri II e III trattano invece la storia dal­l'esterno, e cioè le condizioni della vita dell'uomo nella società, dal­la Creazione fino ai suoi tempi. Infatti, questi due libri riguardano la storia degli Arabi del Machrek da una parte e degli Arabi del Maghrib e dei Berberi dall'altra.

 

La scienza nuova

 

Nella Muqaddima Ibn Khaldùn dà una definizione della sua «scien­za nuova» e ne indica i principi generali:

 

«Lo storico deve conoscere le regole della politica, la natura delle cose esistenti, le differenze fra le nazioni, le epoche relative ai com­portamenti umani, ai caratteri, alle consuetudini, alle credenze, alle dottrine e a tutte le condizioni che circondano la vita degli uomini. Lui deve fissare tutte queste cose per ciò che riguarda il presente, far risaltare le concordanze e i contrasti col passato e analizzare  le similitudini e le differenze. (nota 3)

 

Lui deve sapere come sono stati formati gli Stati e le religioni, quali sono i motivi che li hanno fatti trionfare, quali sono le cause che li hanno fatti nascere e le ragioni che giustificano la loro esisten­za; infine egli deve conoscere le condizioni degli uomini che li di­rigono e la loro storia. Otterrà così una visione completa sulle cir­costanze di ciascun avvenimento, un perfetto apprendimento della base di ciascuna indagine.

Allora solamente potrà procedere ad un confronto fra i racconti della tradizione e le regole ed  i modelli così costituiti.

 

In caso d'accordo e di conformità questi racconti potranno essere dichiarati autentici. Altrimenti, saranno considerati poco affidabili e quindi scartati».

(Muqaddima, I/320,1.K. Peuples et nations du monde (I) p. 104).

 

Egli è profondamente convinto dell'approccio nuovo che dà al suo lavoro: «Potremmo dire che si tratta d'una scienza indi­pendente, con un fine e dei problemi propri: la civilizzazione e la società umana e l'analisi dei casi e delle condizioni che le minano nella sua essenza» (Muqaddima, I/331-335, in Peuples et nations du monde (I) p. 108).

 

Più avanti ribadisce: «Si potrebbe ben dire che è una scienza che è appena nata. Mai, posso affermarlo, ho trovato alcun autore al mondo che abbia trattato lo stesso argomento. Non so se è man­canza d'essersene interessati - ma non c'è alcun motivo di supporlo - o semplicemente perché le opere che possono essere state scrìt­te su questo argomento e che sono state approfondite non ci sono pervenute.

 

Le scienze sono numerose e c'è una grande quantità di saggi fra le nazioni della specie umana. Le scienze che sono state perdute sono più numerose di quelle che ci sono pervenute. Dove sono le scienze dei Persiani...? Dove sono le scienze dei Caldei, de­gli Assiri, dei Babilonesi? Dove sono le loro opere ed i risultati da essi acquisiti? E ancora: dove sono le scienze dei Copti e quelle dei loro predecessori?» (Ivi, pp. 108-109).

 

In questa ricerca ho ridotto al minimo quello che potrebbe e do­vrebbe essere un commento, dando invece più spazio alle sue parole. Se ne sa così poco che è meglio un approccio diretto.

 

Ho già posto in rilievo (cfr. Arturo Capasso: Ibn Khaldùn, il precursore. Scena illustrata, febbraio 1989, p. 35) l'importanza del grande tunisino e come volasse alto il suo pensiero sociologico. «La storia è fatta dai nomadi, dalla loro forza trascinante. Le lotte fra le tribù portano inesorabilmente ad una supremazia e lo sbocco in un vero impero è inevitabile. Ma questo impero sarà sedentario, crescerà. La sua stessa natura lo renderà decadente, in nuce c'è un mondo destinato a soggiacere. Altre forze da fuori, giovani e cari­cate, distruggeranno il vecchio impero e prenderanno il suo posto».

 

Più avanti aggiungevo: «... pare di vedere, in questa felice sinte­si, un processo di tesi e antitesi che sarà studiato - ma dopo secoli -dal materialismo dialettico» (Ibidem).

 

Andiamo a vedere invece cosa scrisse Giambattista Vico (1668-1744): «Gli uomini prima sentono il necessario, di poi badano all’utile, appresso avvertiscono il comodo, più innanzi si dilettano del piacere, quindi si dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrapazzar le sostanze» (Scienza nuova seconda, 1730). (nota 4)

 

Quando si legge l’Introduzione e poi si passa alla Storia si prova un senso di delusione, perché avremmo desiderato gli approcci ai fatti nel modo in cui lui aveva proposto.

Questo appare ben espresso in Francesco Gabrieli (voce Muqaddima nel Dizionario letterario delle opere e dei personaggi di Bompiani, vol. IV, pp. 844-845).

 

Dà importanza all'introduzione del Kit ab al-Ibar (libro degli esem­pi storici): «Diciamo subito che la costruzione di Ibn Khaldùn, pur con pretese di universalità, si fonda in realtà sulle concrete condi­zioni storiche, geografiche e sociali in cui egli visse, e cioè l'Africa settentrionale musulmana del sec. XIV; a essa, al suo presente e passato, egli applica le sue teorie, e dall'esame della sua storia estrae e formula le sue leggi; teorie e leggi che serbano valore per analogia ovunque si presenti il fenomeno su cui si impernia la sociologia khalduniana il contrasto cioè fra l'elemento be­duino e il sedentario, e il divenire della civiltà nel trapasso da quello a questo. Entro questi limiti, l'acutezza e precisione di sguardo dello storico tunisino sono un fenomeno forse unico nella storia del pensiero arabo-musulmano...».

 

Più avanti il Gabrieli scrive: «II secondo e terzo libro dell'opera di Ibn Khaldùn, seguenti a questi Prolegomeni e dedicati rispetti­vamente alla storia sistematica degli Arabi e dei Berberi, hanno da­to una certa delusione agli studiosi, in quanto non vi appaiono ap­plicate come ci si aspetterebbe le idee audaci e brillanti del primo li­bro e si ha più che altro una cronaca sulla falsariga della comune storiografia arabo-islamica».

 

Mohamed Talbi (Ibn Khaldùn et l'histoire, p. 20) scrive: «Mais il ne pouvait en aller autrement. Aucun homme ne pouvait écrire seul une histoire universelle selon les exigences de la Muqad-dima». Rimane un incomparabile strumento di lavoro, soprattut­to «per i due secoli più vicini al nostro autore, il XIII e XIV» (R. Brunschvig, Hajsides, II, 393).

 

Ibn Khaldùn,questo sconosciuto

 

Ma Ibn Khaldùn era conosciuto in Europa?

Purtroppo no, altri­menti non si potrebbe spiegare la completa ignoranza del suo ap­porto.

 

Ecco cosa scrive il Dizionario di filosofia alla voce Sociologia (p. 605).

 

«È una scienza - per lo meno nella sua autonomia e nella consa­pevolezza dei propri scopi - relativamente recente. Perché potesse sorgere una sociologia come scienza autonoma,  mancavano nell'an­tichità sia l'oggetto specifico, cioè un'esplicita distinzione tra socie­tà in senso lato e società politica o Stato, onde lo studio dell'attivi­tà e dei prodotti dell'uomo associati non oltrepassò i limiti dello studio dello Stato (la politica), sia il metodo, cioè la convinzione che si dovesse e potesse estendere i procedimenti usati per lo studio della natura allo studio dell'uomo. Ciò non toglie che i Greci abbia­no raccolto osservazioni sulle leggi e i costumi, sulla divisione del lavoro e sulla distinzione della società in classi, per quanto non sia­no mai giunti ad una trattazione sistematica.

 

Anche presso i Romani e nell'età medievale non ebbe alcuno sviluppo lo studio esplorativo e ricognitivo della società, perché tra tutti i fenomeni so­ciali solo il diritto fu oggetto costante di studio».

 

C'è - come si vede - un cono d'ombra fino all'Ottocento e questa ombra sembra dissiparsi grazie a Vico e Montesquieu: «Solo nel­l'età moderna... Giambattista Vico prima nella Scienza Nuova (1725) e Montesquieu poi nello Esprìt des lois (1748) avviarono un gruppo importante di ricerche sopra i vari tipi di società, sopra le fasi del­l'evoluzione sociale, sopra l'influsso delle relazioni sociali e dell'am­biente sulla civiltà, che possono essere considerate come il prece­dente storico della moderna sociologia» (Ibidem).

 

Ripeto: una completa ignoranza relativa all'apporto di Ibn Khaldùn.

 

Ho chiesto al professor Abdelkader Djeflat, presidente del Maghtech, il motivo di tale atteggiamento.

 

Mi ha risposto: «Malheureusement, dans sa tentative d'acculturation des PSM, le colonialisme a tenté de mettre entre parenthèses et de minimiser les apports de ces grandes figures de la pensée méditerranéenne... Des grands penseurs occidentaux se sont inspirées de la pensée khaldounienne sans qu'aucune reconnaisance de ses apports ne soit faite. C'est indirectment une tentative de déva-lorisation des apports du Sud de la Mediterranee à la pensée universelle» (Arturo Capasso, Rencontre avec Abdelkader Djeflat. L'area costiera mediterranea. Atti del 1° Convegno Internazionale sulle coste del Mediterraneo a cura di Massimo Rosi e Ferdinando Jannuzzi, p. 231).

 

Il cono d'ombra di cui parlavo prima è ancora più ampio per R.M. Maclver che scrive la voce Sociology nella famosa Encyclopaedia of the Social Sciences^ che da quasi cinquant’ anni mi tiene compagnia nelle mie ricerche.

 

Nel volume 14 a p. 235 l'unico riferimento è per Montesquieu: «With broad insight he showed that laws were an expression of national character and that the spirit which they exhibited was to be explained in the light on the conditions, social and geographical, under which men live».

 

Invece, David S. Margoliouth nella stessa Enciclopedia (vol. 7, p. 564) così presenta l'opera di Ibn Khaldùn: «But even more attention has been attracted by the volume of prolegomena which opens the work. It is primarily a philosophy of history, but touches on sociology and economics and towards the end becomes encyclopaedic in conformity with Ibn Khaldùn's doctrine that history is the study of all social phenomena. The author is justified in regarding his work as starting an original line of inquiry in Arabic literature, in which until quite recent times he found no successors».

Margoliouth chiude con un senso d'amarezza: «Despite the new point of view introduced... and despite the continuous use of his work in the East he had no followers of any importance. In the West little was known of his work until thè nineteenth century» (Ibidem, p. 565).

 

La Grande Enciclopedia Sovietica (Bolshaja Sovetskaja Entsiklopedia) nel volume 40 a p. 202 (voce Sociologia-Sotsiologija) riporta: «Ibn Khaldun (1332-1406) - studioso arabo - asserì che il corso della storia dipende dall'influsso geografico e in primo luogo dal clima . La stessa Enciclopedia al volume 17 dedica tre quarti di colonna al nostro autore. Due sono i maggiori rilievi. Il primo riguarda la sua teoria dei cicli storici.

 

I nomadi s'insediano in paesi con clima temperato dove c'è una maggiore spinta all'operosità. Ma i sedentari saranno poi a loro vol­ta conquistati da altri nomadi. Il ciclo si ripete ogni tre, quattro generazioni.

 

L'altro rilievo riguarda la collocazione del nostro autore da parte degli studiosi «borghesi» dell'Europa occidentale, secondo i quali Ibn Kahldùn è stato «il primo sociologo» per il suo tentativo di stabilire la dipendenza del fiorire e decadenza dello Stato da fattori geografici e di altra natura.

 

G.F. Aleksandrov nella sua Storia delle dottrine sociologiche (Istorija Sotsiologiceskich ucenii) pubblicata a Mosca nel 1959 a cura dell'Accademia delle Scienze dell'URSS, a pagina 19 fa ini­ziare l'approccio geografico nel XVI secolo con lo studioso fran­cese Jean Bodin .

 

Sergio Noja è stato Professore di diritto musulmano all'Univer­sità di Torino e dal 1990 è conservatore della Biblioteca Ambrosia­na. Ha pubblicato negli Oscar Mondadori una ponderosa Storia dei popoli dell'Islam. Nel volume III da p. 168 a p. 173 parla di Ibn Khaldùn. Riporta un ampio passo del nostro Autore. Sono andato a confrontare l'originale e mi pare ci sia qualche differenza:

 

«Dio altissimo, dopo aver popolato questo mondo con gli esseri da Lui creati, volle onorare i figliuoli di Adamo destinandoli a man­tenere sulla terra una continua successione; e, a compimento di quanto Egli decretato aveva, li distribuì nelle varie parti di quella, separando tra popoli e popoli, tra famiglie e famiglie in tale guisa, che manifesti ne risultarono gl'indizii della sua mano operatrice. Questi popoli si distinguono l'uno dall'altro per mezzo delle genea­logie; variano tra loro per mezzo delle lingue e dei colori; sono di­stinti pei costumi, per le istituzioni, per le qualità naturali: e final­mente l'uno dall'altro si discerne per mezzo delle sètte, delle reli­gioni, del clima e delle regioni che abitano. Quindi Arabi, Persiani, Greci, Israeliti, Copti, Berberi (Mauritani), Slavi, Abissini, Etìopi; quindi abitatori dell'India, di Babel, della Cina, dello Yemen, del­l'Egitto e del Maghreb; quindi Musulmani, Cristiani, Ebrei, Sabei, Magi e così via... (Sergio Noja, op. cit., p. 169).

 

Alle pagine 115 e 116 del testo francese tradotto da Abdesselam Cheddadi Peoples et nations du monde (I) - Ibar, II, 1/2-4 - leggo:

 

Sache qu'Allah — qu'il soit glorifié et exalté - a établi (i'tamara) Ses créatures dans ce monde. Il a honoré les fils d'Adam, en faisant d'eux Ses vicaires sur la terre. De par la perfection de Sa sagesse, II les a dispersés dans toutes les directions. Il a mis des différences entre leurs nations et leurs générations (ajyal) afin de manifester Ses signes. Ainsi, ils se connaissent par leurs généalogies, diffèrent par leurs langues et leurs couleurs, se distinguent par leurs facons de vivre, leurs doctrines, leurs morales, se séparent par leurs croyances et leurs religions, leurs climats et leurs contrées. Il y a les Arabes, les Perses, les Rum, les Israélites, les Berbères; il y a les Slaves, les Éthiopiens, les Noirs ; il y a les habitants de l'Inde, de Babylone, de la Chine, du Yemen, de l'Égypte, du Maghrib; - il y a les musulmans, les sabéens, les pa'iens ; il y a les gens du poil, habitants des tentes et des campements, et les gens de la boue, habitants des maisons en terre, des villages et des forteresses; il y a les bédouins, vivant à l'extérieur des villes et les citadins, établis à l'intérieur de celles-ci ; il y a les Arabes, doués de la clarté et de l'éloquence, et les non-Arabes (al-ajam), qui parlent des langues étrangères telles que l'hébreu, le persan, le grec, le latin, le berbere. Dieu a mis des différences entre leurs races (ajnàs), leurs conditions, leurs langues, leurs couleurs, afin que soit accompli Son ordre de les établir su la terre. Ils recoivent ainsi leurs parts de biens et leurs moyens de subsistance selon leurs particularités et leurs coutumes. De cette facon se manifestent la puissance divine, les merveilles de l'art divin et les signes de l'unicité de Dieu. «Certes, il y a en cela des signes pour les mondes».

 

Il Noja (ivi, p. 169) riconosce che in filosofia, e sociologia della storia, I.K. passa quale precursore di Vico. Ma aggiunge: «... è materia ancora non ben definita».

 Caro Ibn Khaldùn, come vedi, devi aspettare ancora un po'. Non avere fretta. Cos'è un secolo di fronte all'eternità?

 

La battaglia d’al Qadisiya

 

Prima di concludere ,vorrei ricordare una battaglia… dei nostri giorni, descritta dal nostro autore.

 

Si tratta della battaglia d'al Qadisiya, svoltasi nel 635 fra i Musul­mani ed i Persiani.

Pochi anni prima - l'otto giugno del 632 - Maometto aveva re­clinato il capo sul grembo della moglie prediletta, A'isha.

Perché è importante questa battaglia?

Per un motivo molto semplice: c'è un'idea guida: La guerra santa e la superiorità di chi ha avuto il messaggio...

Siamo ai preparativi della battaglia.

 

Ci sono dei pour parler fra le parti.

A nome dei compagni parla An Nu'man Ibn Muqarrin:

«Egli (il Profeta) ci ha ordinato di combattere le nazioni che ci stanno vicino e invitarle a convertirsi. Se rifiutate, vi rimane una soluzione più facile, quella di pagare il tributo. Altrimenti bisogna scendere nell'arena».

Da parte persiana risponde il re Yazdajird: «Non so se sulla terra sia mai esistita una nazione più miserabile e numericamente più de­bole, né una comunità peggiore della vostra... Non osate confron­tarvi coi Persiani. Se vi manca il necessario, vi daremo cibo ed abiti».

 

Prende la parola - da parte araba - Qays Ibn Zarara «... Ciò che tu hai detto della nostra povertà è esatto, anzi è ancora più grave».

Ma rinnova l'invito a salvare l'anima e a convertirsi all'Islam..

Il re Yazdajird perde la pazienza. Si fa portare un sacco di terra. Dice che invierà contro di loro il capo Rustùm, che li atterrerà e che subiranno una sconfitta ancora più forte di quella che avvenne a Sapor.

 

Ibn Khaldùn descrive i vari giorni della battaglia, la disposizione dell'esercito persiano con sessantamila uomini e trenta elefanti. Gli arabi erano poche migliaia. Prima di accomiatarsi avevano preso il sacco di terra. Tornati nelle retrovie, lo mostrarono alle proprie truppe gridando: «Dio ci ha dato la loro terra».

 

Ci sono varie scaramucce verbali e gli arabi rispondono in mo­do preciso alle provocazioni: «Se uno di noi muore, andrà in para­diso. Per quelli che restano, Dio manterrà la promessa in loro fa­vore».

 

C'è un impegno continuo a combattere per la giustizia dell'Islam contro l'ingiustizia delle altre religioni.

 

E ancora: «Ciò che hai detto della nostra povertà, dei nostri pro­blemi e della ricerca di cibo noi non lo neghiamo. Ma il mondo è fatto di cambiamenti. Al bisogno segue l'abbondanza».

Vanno alla guerra col grido: «Dio è il più grande”. Ripetono per tre volte e alla quarta aggiungono: «Non c'è altra forza e potenza che in Dio».

 

Gli elefanti sono colpiti agli occhi e fanno cadere i palanchini, in scontri personali gli arabi hanno la meglio. Alla fine Rustùm, che aveva cercato di scappare nel fiume, è preso per una gamba ed ucciso. La guerra santa aveva trionfato.

 

Qual è l'imperativo categorico del musulmano: vivere in pace o conquistare? E che tipo di conquista può fare?

 

Federico Peirone, commentando la sura IX, rileva che la tematica relativa alla guerra santa è difficile e che «non sempre fu vista nella sua giusta luce» (pag. 285, II Corano, Mondadori, 1979).

 

Non dimentichiamo, infine, che per i martiri-kamikaze c'è la cor­sia preferenziale: non si aspetta il giudizio universale, si va subito in paradiso: è un luogo dove scorrono ruscelli d'acqua, latte, vino e miele. E ci sono fanciulle bianche sempre belle e disponibili.

 

Il sasso nello stagno

 

Qui finisce il mio studio su Ibn Khaldùn, con uno sguardo alla sua opera fondamentale.

Ma c'è ancora molto da scrivere.

 

Egli rappresenta una grande risorsa per tutti noi. L’ Autobiografia, II maestro e il purista meritano una lettura approfondita.

 

Spero, con questo mio scritto, d'aver gettato un sasso nello sta­gno. Mi auguro che altri siano presi (e conquistati) dal pensiero del grande tunisino.

 

Per la cultura occidentale si potrebbe dire: meglio tardi che mai.

 

Note al testo:

 

1. Come si sa, Aristotele fu tradotto in arabo dai Cristiani di Siria. Averroé - Ibn Roshd - ne fu il maggior commentatore. Pertanto il pensiero politico di Ibn Khaldùn trova le sue origini in quello aristotelico. Vediamo. L'uomo deve vivere in società. Lo Stato rappresenta la forma perfetta. L'individuo ne fa parte coi suoi diritti e i suoi do­veri. Fine ultimo dello Stato è la felicità dei cittadini. Vi sono riconosciuti la famiglia, la proprietà privata, la giustizia. Le tre forme dello Stato sono: il governo di uno, di po­chi, di molti. Le loro deformazioni: tirannide, oligarchia, demagogia. Bisogna ricor­dare che è adottata la parola democrazia. Stesso termine lo troviamo anche in Tomma-so d'Aquino: «Se poi l'iniquo reggimento è tenuto da molti è detto democrazia cioè poten­tato del popolo in cui la massa dei plebei per potenza di numero opprime i ricchi» (Il pensiero politico, a cura di Umberto Cerroni, p. 198). Sono riportate le stesse divisioni aristoteliche ed è ribadito il concetto che l'uomo è animale sociale: «Ma l'uomo è anima­le politico e socievole che vive in compagnia, anche più degli altri animali, il che dimo­stra ed è conseguenza di una naturale necessità» (Ibidem, p. 196). In Aristotele abbiamo letto: «... l'uomo è animale più socievole di ogni ape e di ogni altro animale che vive in greggi». (Aristotele, Politica, libro I, par. 2).

 

2.  Lucrezio Caro Tito (99-55 a.C.) De rerum natura, Libro V. Gli uomini vissero pri­ma selvaggiamente, ma presto adottarono il matrimonio . Si unirono in gruppi, aiutati dal sorgere del­la lingua (si potrebbe obiettare che esistevano gruppi di scimmie con loro linguag­gi). Poi fu scoperto il fuoco. Man mano si crearono i primi governi e con essi le relative degenerazioni: ambizione, violenza, tirannia. Per vivere meglio si diedero delle re­gole e le affidarono ai magistrati. Sorse la religione. Con gli incendi si scoprirono i me­talli: bronzo e ferro. E quindi l'invenzione del telaio, della semina, la musica, il canto, le arti varie e le scienze. Sono qui abbozzati i vari stadi del sorgere della comunità. Non si parla in modo preciso di due livelli, non si parla di ritorni.

 

3.  Per Ibn Khaldùn ci sono due fasi nello sviluppo della civiltà: la prima è data da una vita primitiva, di sopravvivenza - che si riscontra fra i pastori e i contadini -  la se­conda è un'economia d'abbondanza e di risparmio. Muqaddima, p. 211. In Marx tro­viamo un concetto analogo: c'è l'infrastruttura economica, come si legge nell’Ideologia tedesca: il primo atto è  teso alla produzione di beni economici. Segue la sovrastruttura sociale: la famiglia, l'organizzazione politica, il diritto, l'arte, la morale, la religione.

 

Gaston Bouthoul (Traité de sociologie, p. 23) rileva i seguenti punti nell'opera di Ibn Khaldùn: 1) La vita sociale è un fenomeno naturale, l'uomo non può vivere solo. Le condizioni di vita dipendono soprattutto da fattori naturali, dal clima, dalla produzio­ne e da fenomeni economici; esse (le condizioni) sono molto più costanti dei fenomeni politici, che, in sostanza, sono essenzialmente episodici. 2) L'uomo è l'unico essere vi­vente che ha bisogno di una autorità, senza la quale regnerebbero il disordine e l'anar­chia. 3) L'autorità appartiene ai gruppi che se ne impossessano, grazie al loro coraggio, alla loro coesione e al loro spirito di corpo. 4) Queste qualità, che creano di fatto l'atti­tudine alla presa del potere, sono date dalla vita nomade. 5) Le conquiste più rapide ed ampie sono opera di nomadi o di semi-nomadi. Questa idea poteva sembrare a quei tempi una vera legge della storia. Infatti, dopo la caduta dell'Impero romano, tutte le grandi conquiste militari e il sorgere rapido di grandi imperi ne costituivano una pro­va. Come le conquiste degli Unni, dei Germani, dei Mongoli, degli Arabi, dei Norman­ni e dei Turchi. Le capacità offensive dei nomadi sono dovute alla loro frugalità, alla loro semplicità e soprattutto alla loro coesione psicologica. Ma è evidente che - dopo i tempi di Ibn Khaldùn - i progressi degli armamenti mutarono tale situazione. Ci fu un capovolgimento. Con l'introduzione del cannone le più grandi conquiste sono rea­lizzate dai sedentari. Da quel momento i nomadi non hanno più un ruolo storico. 6) Per motivi psicologici, ogni potere politico di una dinastia, di un partito o di un grup­po, dura mediamente tre generazioni, a volte un secolo. C'è un rilassamento. Si crede che tutto è dovuto, per diritto di nascita e di razza. Mollezza dei costumi, fine. 7) La fine dello Stato avviene con l'indebitamento

.

4.  Benedetto Croce ha scritto la voce Vico, Giovanni Battista, per l’ Encyclopaedia of the Social Sciences, vol. 15, pp. 249/250. È fatto esplicito richiamo al ciclo che finisce con l'indebolimento, la corruzione e che poi riprende una nuova vita: «He was absorbed in the contemplation of the spiritual cycle in history; emergence from the bestial into the barbarian age, subsequent spiritual refinement through intellect and custom, the transition to the era of humanity, gradual enfeeblement in vital energy, corruptìon and relapse and then the resumption of the cycle».

 

 Nel Dictionary of Philosophy edito a Mosca nel 1967 a cura di M. Rosenthal e P. Yudin alla voce Sociology (p. 240) è rilevato l'apporto di Ibn Khaldùn e di Machiavelli contro la visione teologica della storia e della società. Peraltro l'inizio delle dottrine sociologiche lo si fa risalire a Mo-Tzù, Democrito, Platone, Aristotele, Epicureo e Lucrezio.

 

 Confesso di non aver mai sentito parlare di Mo-Tzù ed è stata per me una piacevole scoperta. Nacque nel 479 e morì nel 381 prima di Cristo. Il Dizionario biografico degli autori di Bompiani al vol. II, pp. 811-812 scrive: «Forse la figura più nobile fra tutti i pensatori cinesi, apostolo di carità... fu trascurato da innumeri generazioni, dominate quasi sempre dal confuciane­simo. Riscoperto in questi ultimi tempi, è apparso invece come un genio.,. È anche il pensatore che, sia per la dottrina sia per la vita pratica, si avvicina a Cristo».

 

Come si vede, siamo in presenza di un'altra Cenerentola della storia. Le sue idee fu­rono raccolte dai suoi discepoli in un volume che porta il nome del Maestro. Dopo ben duemila anni è riapparso ad opera di Pi Yuan nel 1783.

 Bisogna attendere un altro se­colo per un commentario a cura di Sun I-jang.

 

Nota aggiuntiva:

 

Il presente articolo è pubblicato negli Atti del 2° Convegno Internazionale sulle Coste del Mediterraneo, a cura di Massimo Rosi e Ferdinando Jannuzzi (Giannini,Napoli 2002)

Il Convegno era stato organizzato dall’Osservatorio Internazionale sulle Coste del Mediterraneo – Università degli Studi di Napoli Federico II – e dal Servizio di Ricerca e Sperimentazione sull’Ambiente del C.N.R.

Contiene anche una mia traduzione parziale dell’opera di Mohamed Talbi, citata nel testo.

L’articolo è stato inoltre pubblicato sull’Esopo, N.95-96, Milano 2003.

C’è anche una versione francese col titolo "Ibn Khaldùn, le Précurseur, une gloire universelle per il Convegno sull’économie du Savoir au Maghreb". Detto Convegno si sarebbe dovuto svolgere il 16-18 aprile 2002 in Marocco, ma non ebbe luogo per motivi politici.



 

 

 

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