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N. 128 - Agosto 2018 (CLIX)

helena gleichen nella grande guerra

metà nobile e metà dottore
di Stefano Coletta

 

"Devo concludere che siamo stati più intelligenti degli inglesi, perché abbiamo impiegato uomini e mezzi utili per i nostri feriti, indipendentemente, dal fatto che indossassero pantaloni o sottovesti": è con quest’affermazione che il Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto, Comandante della 3° Armata, “arruolò” nei servizi sanitari italiani, Helena Gleichen e Nina Hollings.

 

La giovane Helena, confessò, anni dopo, di aver sussurrato all’orecchio dell’amica: «Siamo fortunate che la pensano in questo modo!».

 

Conosciamo dunque queste giovani donne inglesi, inquadrate nell’Esercito Italiano. Partiamo dalla prima, al secolo Lady Helena Gleichen, figlia del Principe Vittorio Ferdinando Francesco Eugenio Gustavo Adolfo Costantino Federico, pretendente al trono del piccolo stato tedesco di Hohenlohe-Langenburg, nipote preferito della Regina Vittoria d’Inghilterra, per mezzo della sorellastra, Margaret, duchessa di Snowdon.

 

Victor decise di sposare, una giovane donna, Laura Williamina Seymour, figlia dell’ammiraglio Sir George Seymour, appartenente a una famiglia aristocratica britannica, ma non degna del suo rango. Per questo motivo, la richiesta di Victor di poter convolare a nozze con Laura incontrò l’opposizione delle due, rispettive, famiglie, inoltre, intervenne l’amata zia Vittoria, tutti opposero un deciso diniego.

 

La sua decisione si scontrò, anche, con le leggi del suo regno, che proibivano a un Re di sposare una donna di rango inferiore, per quanto aristocratica. Il giovane s’ostinò, nonostante le varie opposizioni sposò la giovane, le leggi riconobbero l’unione come “morganatica”, di conseguenza la moglie e i figli non avrebbero potuto aspirare alla successione al trono, inoltre, ai figli era vietato ereditare i titoli del Principe Victor e gli venne attribuito il cognome Gleichen.

 

Tale decisione non venne accettata dal giovane principe, che decise di andare contro le regole di corte e dello stato, per cui assunse il cognome attribuito alla moglie, suscitando un grande scandalo nel suo piccolo regno e l’ira della zia. Ma il tempo riuscì a ricucire lo strappo, questo permise alla coppia di ricevere l’approvazione della zia e, pertanto, l’intera famiglia si recò ad abitare, a Londra, presso il Palazzo Saint James’s. Mentre Victor rinunciò al trono, nel 1885, dedicandosi alla scultura, grande passione che aveva coltivato, fin dalla prima giovinezza.

 

Il principe Victor continuò a scardinare l’etichetta, decidendo che le figlie venissero educate come “se fossero maschi”, questo permise loro di divenire esperte nell’uso delle armi e nella guida delle auto, inoltre, vennero assecondati i loro interessi e le loro aspirazioni, per cui poterono compiere gli studi che vollero.

 

Helena, la più giovane, s’orientò verso la pittura, ma quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale e l’Europa venne scossa dagli scontri degli eserciti, decise di voler contribuire allo sforzo bellico.

 

Agli inizi del 1915, s’offrì come autista di ambulanza, presso un ospedale britannico, in Francia, qui trovò Nina Hollings, madre di un suo caro amico, John ‘Jack’ Herbert Butler Hollings, ucciso in azione, il 30 ottobre 1914, all’età di 26 anni.

 

La donna appresa la notizia della scomparsa del figlio, invece, di lasciarsi abbattere dal dolore, decise di recarsi in Francia e di dare il proprio contributo alla guerra, come traduttrice all’interno dell’ospedale, dov’era stato ricoverato il figlio, convinta che fosse importante, per i feriti, comprendere quello che gli veniva comunicato dai medici o dalle infermiere.

 

Un giorno, alle due donne venne offerta l’opportunità, da parte del dott. L. Hawthorne, divenuto supervisore del reparto di radiologia dell’Ospedale di sole donne, collocato presso l’Abbazia di Royaumont, di apprendere l’uso della macchina per realizzare le radiografie, un’attività che era “maledettamente necessaria negli Ospedali”.

 

La proposta piacque alle due donne, per questa ragione si recarono a Parigi, dove vennero introdotte all’uso delle apparecchiature radiografiche. Al termine del corso, affrontarono un esame e gli venne consegnato un attestato, che le dichiarava tecniche radiologhe, si resero conto che avevano bisogno di fare pratica, per questa ragione, ritornarono in Inghilterra, dove, grazie alla conoscenze di Helena, riuscirono a lavorare presso un noto radiologo, da cui appresero tutti i trucchi del mestiere.

 

Nel frattempo, la guerra continuava e l’appello della scienziata Marie Curie (Premio Nobel per la Fisica nel 1903) le colpì: «I raggi X non hanno avuto che un utilizzo limitato fino allo scoppio della guerra.

 

Diviene così impossibile limitare al tempo di guerra le concezioni che hanno prevalso in modo definitivo. Il diritto all’esame radiologico, o al trattamento con i raggi X è, d’ora in poi, per tutti i malati, un diritto generale e incontestato, e si vedrà nascere dopo la guerra un’organizzazione destinata a rendere questo diritto effettivamente operante».

 

Bisognava assicurare a tutti i feriti la possibilità di avere una radiografia e per questo motivo Helena si mosse per raccogliere i fondi necessari per acquistare un’ambulanza radiologica, che avrebbe permesso di assistere i feriti ovunque, soprattutto, di diminuire gli inconvenienti del trasporto, soprattutto, quando si trattava di casi gravi.

 

L’ambulanza radiologica era frutto di un’idea di Maria Curie, per questo soprannominata “Petit Curie”, e conteneva una macchina a raggi X e un’apparecchiatura fotografica per la camera oscura. Marie Curie risolse il problema dell’alimentazione dei macchinari incorporando un generatore elettrico, alimentato dal motore della macchina. Inoltre collocò una riserva d’acqua utile per la stampa.

 

L’idea piacque e vennero prodotti vari esemplari, nelle nazioni della Triplice Intesa, l’unico neo erano i costi elevati, ma grazie alle somme raccolte, l’ambulanza venne acquistata dalla due donne.

 

Acquistato il mezzo e forti delle competenze necessarie, Helena e Nina si presentarono presso il British War Office, certe di riscuotere successo e apprezzamenti, ma vennero trattate in maniera fredda e liquidate con un secco: «No grazie! Nessuna donna ha mai avuto tali competenze e mai le avrà!».

 

Deluse, non potevano credere alle loro orecchie, avevano presentato gli attestati, le dichiarazioni del medico presso il quale avevano svolto il tirocinio, eppure per il solo motivo che erano delle donne, non potevano essere credute, né tantomeno potevano aver conseguito quelle competenze.

 

Le due donne, non demorsero, decisero di offrire i loro servigi al Comando Francese, che le accolse, apparentemente, con cortesia e disponibilità, chiese che formassero il proprio personale all’uso dei loro macchinari. Helena e Nina erano al settimo cielo, erano riuscite, non solo, a essere aggregate al Corpo di Sanità Francese, ma anche erano state riconosciute le loro conoscenze.

 

Ma la gioia ebbe breve durata, poiché non appena le due donne ebbero terminato la formazione del personale francese, si videro sequestrare il mezzo e furono invitate a lasciare il suolo francese.

 

Neanche questa disavventura bastò a scoraggiare e deprimere le due vulcaniche amiche che si armarono di coraggio e determinazione e si ripresero in maniera rocambolesca le proprie attrezzature. Decisero dunque di tentare con i comandi italiani, che le accolsero a braccia aperte.

 

Nel dicembre 1915, Elena e Nina arrivarono in Italia. Vennero sistemate in una villa veneta, nella zona di Udine, di proprietà di un conte austriaco, fuggito all’arrivo delle truppe italiane.

 

Una notte Helena venne svegliata da rumori d’artiglieria e spari di armi, che sembravano «sospettosamente molto vicini». Si convinse che era normale in una zona di guerra, la mattina scoprì che durante la notte gli austriaci avevano tentato un contrattacco, giungendo a pochi passi dalla villa, a circa due miglia di distanza.

 

L’esercito italiano gli attribuì i gradi di maggiori, vennero aggregate all’unità IV della Croce Rossa britannica, e gli venne affidata una zona, in cui erano presenti ben 11 ospedali da campo da visitare, quasi quotidianamente.

 

Il libro Outposts of Mercy pubblicato per la Società della Croce Rossa, nel 1917, citava: «L’unità IV è composta da due signore intrepide, un’automobile, un soldato e un apparecchio a raggi X mobile, sono: la contessa Helena Gleichen e la signora Nina Hollings. Queste due signore sono passate, rapidamente, dall’ospedale all’ospedale da campo con il loro misericordioso carico di magia, rendendo così possibili operazioni rapide e accurate che, in ogni caso, non sarebbe stato possibile eseguire in altro modo e che non si poteva ritardare».

 

Nel frattempo, l’ambulanza venne studiata dall’ingegnere Felice Perusia, dipendente della ditta Balzarini, che realizzò un modello trasportabile a dorso di mulo, dal momento che le vie erano impervie, soprattutto lungo le zone di montagna.

 

Si sopperiva all’alimentazione collegando, una volta giunte a destinazione, alla batteria dell’auto. Quest’invenzione venne salutata con gioia da Helena, che vide un miglioramento del macchinario, per cui l’adottarono.

 

Di solito, quando giungevano sul posto, collegavano la loro attrezzatura alla batteria dell’auto e quindi iniziavano a eseguire le radiografie, rinviando la stampa delle lastre alla sera, ma a causa dell’enorme numero dei feriti e dell’esigua quantità di lastre, Helena decise di mettere a frutto i suoi studi artistici, compiendo degli schizzi su carta ed evitando di sprecare lastre. Tale metodo ebbe il plauso dei medici, soprattutto, dei chirurghi che riuscirono a operare, come se avessero a disposizione la lastra dei raggi X.

 

Le lastre venivano eseguite solo per i casi gravi, poi venivano sviluppate, nel buio dei loro appartamenti, fino a notte inoltrata. A consegnare le lastre ci pensava un soldato, che inforcava una bici e partiva per le varie destinazioni. In questo modo, entro le prime ore del mattino, i vari avamposti medici, avevano le lastre e i medici potevano in questo modo curare i pazienti.

 

La loro opera fu determinante per salvare vite umane, come quando un giorno venne richiesto il loro intervento, dal momento che un uomo era impazzito, ma non si riusciva a comprendere il motivo del suo atteggiamento: solo grazie ai raggi, le due donne scoprirono che un frammento di shell s’era conficcato nell’area frontale del cranio, causando una pressione che determinava un’alterazione dell’umore e dei comportamenti. Grazie alle lastre i medici furono in grado d’intervenire e operare il paziente, riportandolo alla normalità.

 

Un pericolo che i raggi non potevano vedere erano gli effetti dei gas, di cui, sul fronte italiano, nel 1915 s’era sentito parlare, di riflesso, pur se non ancora sperimentato. Quando vi fu il primo attacco, Helena e Nina giunsero, in un posto di primo soccorso, la scena fu devastante, uomini agonizzanti, apparentemente, senza alcuna ferita. I medici chiesero alle donne di eseguire una radiografia su un moribondo, affinché si potessero rendere conto di com’erano i polmoni di un asfissiato per gas. Videro i polmoni accartocciati e striminziti.

 

Più volte rischiarono la vita, come quando vennero chiamate a recarsi in una postazione nascosta, in una stretta valle, durante l’avvicinamento l’auto venne fatta oggetto, da parte di un aereo di diversi passaggi, e ben due proiettili caddero vicini alla macchina, provocando una nuvola di detriti e polvere, ma fortunatamente, lasciando illese le donne. Nina fu risparmiata grazie all’attrezzatura che era vicina a lei, sul sedile posteriore.

 

Un’altra volta si ritrovarono, nei pressi di Gorizia, subito dopo la sesta battaglia, la città era stata ripresa dagli italiani, le due donne dovevano recarsi all’ospedale sull’altra sponda del fiume, ma giunte nei pressi di un ponte trovarono un posto di blocco dei carabinieri, che l’invitò a percorrere un’altra strada, dal momento che il ponte era stato colpito dalle bombe austriache.

Proprio in quel momento un soldato, attraversò correndo il ponte, gridando: «Sull’altra sponda ci sono degli uomini feriti! Presto chiamate un ambulanza!». Le due donne si guardarono, presero atto che l’unico mezzo di trasporto era la loro macchina, decisero di caricarli, nonostante le proteste dell’autista, che fece notare che l’auto era carica dei loro materiali, ma le donne, senza perdere tempo, iniziarono a scaricare i macchinari e le affidarono alla custodia dei carabinieri.

 

Nel frattempo, Helena aiutò l’autista a manovrare per invertire il senso di marcia dell’auto, Nina, invece, si recò dai feriti, erano otto militari, di due erano gravi. Li condusse in macchina, quindi li stiparono sul retro della macchina, Nina rimase con i macchinari, mentre Helena si pose vicino all’autista e gli ordinò di correre in ospedale.

 

L’auto prese una stradina sterrata, molto vicina alla prima linea, con la conseguenza che fu ripetutamente oggetto di lanci di mortaio da parte degli Austriaci. Nonostante, i colpi cadessero molto vicini e il pericolo di essere colpiti diventava a ogni metro certezza, Helena ordinò all’autista di procedere, riuscendo a giungere a destinazione. Purtroppo, un ferito morì, ma gli altri furono curati e si salvarono.

 

Tale atto venne premiato dalle autorità militari italiane, con una cerimonia, presso il Teatro dell’Opera di Gorizia, durante la quale ricevettero la Medaglia al Valore Militare, e il Generale affermò: «Soldati! Oggi rendiamo omaggio a queste due donne inglesi, qui presenti! Noi le consideriamo non solo come due dei nostri migliori e più valorosi ufficiali, ma anche come membri delle nostre famiglie. Per questo motivo offriamo loro questa medaglia, che chiediamo di indossare sempre, per ricordare lo sforzo profuso nella vittoria di Gorizia!».

 

Il conferimento della medaglia venne riportato dal British Journal of nursing, recante la data del 16 dicembre 1916 : «Un telegramma di Roma afferma che il Bollettino Militare annuncia che la Medaglia per il Valore è stata conferita alla Contessa Helens Gleichen e alla signorina Nina Hollings, entrambe appartenenti alla sezione radiologica britannica sul fronte italiano. Il Bollettino dà il seguente motivo per conferire le decorazioni: Hanno dato il loro utile e prezioso supporto agli italiani feriti sul fronte dell’Isonzo, andando volentieri ovunque venissero chiamate, anche attraversando zone sotto il fuoco dell’artiglieria, ed essendo in diverse occasioni bersaglio del tiro nemico. Hanno mostrato coraggio, intrepidezza e sprezzo del pericolo, compiendo sempre il loro dovere con eguale sacrificio di sé, coraggio e devozione».

 

Non è chiaro il motivo della partenza delle due donne dall’Italia, avvenuto nel 1917, mentre l’esercito continuava a combattere gli austriaci e a soffrire perdite ingenti, soprattutto, in seguito all’uso smodato di gas, divenendo tante “foglie secche”, come ebbe a scrivere Ungaretti.

 

Le due donne tornarono in Gran Bretagna, dove vissero, per un periodo insieme in un grande maniero, ma poi dovettero cambiare residenza, a causa delle ingenti spese che dovevano sostenere e che non si potevano permettere.

La Corona inglese decise d’insignirle con l’Ordine più ambito dell’Impero Britannico: l’OBE.

 

Entrambe le donne ottennero l’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico (The Most Excellent Order of the British Empire) riconoscimento istituito da Re Giorgio V, il 4 giugno 1917, che gli conferì prestigio e anche riconoscimenti.

 

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Helena organizzò un Corpo di Difesa Domestico di 80 persone. Morì nel 1947, pochi giorni prima del suo 74esimo

compleanno. Mentre Nina l’anno successivo, all’età di 86 anni, a Wokingham, nel Berkshire.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Atwood K.J., Women Heroes of World War I, Review Press, Incorporated, Chicago, 2016.

Lo Giudice Sergi L., Donne contro la violenza. Artiste nella Grande Guerra, 2018.



 

 

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