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> Storia Medievale

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N. 15 - Agosto 2006

HASTINGS 1066 A.D.

The battle - Parte VII

di Antonio Montesanti

 

Termina con quest’ultima sezione la storia dell’ultima volta in cui la Regina d’Europa venne presa, conquistata, ghermita nel suo intimo come non lo sarà mai più. Da quel quattordici ottobre 1066 si dà inizio all’Inghilterra come stato sovrano.

 

Era l’alba di quel giorno. I combattenti di ambedue gli eserciti erano consapevoli che di lì a poco sarebbe avvenuto lo scontro, forse per i sassoni doveva essere uno dei tanti scontri ai quali erano ormai abituati a combattere ma non per i normanni che erano saldamente stabiliti nell’allora borgo di Hastings.

 

L’odierna cittadina, allora un minuscolo villaggio di pescatori con un piccolo approdo e alcune case dai tetti di paglia, ha acquistato la sua fama dallo storico scontro divenendo un importante centro portuale e una rinomata stazione balneare sulla Manica.

 

Ormai le truppe erano state allertate da una parte e dall’altra che ambedue erano in avvicinamento reciprocamente: lo scopo era quello d’individuare ed occupare per primi un campo di battaglia sul quale le rispettive truppe avrebbero reso al meglio. Quando la luce fu bastevole per poter scorgere i contorni soffusi dei luoghi circostanti, l’esercito normanno si rimise in marcia verso nord, dopo aver lasciato la cittadella.

 

Questa volta all’esercito continentale venne richiesto il massimo puntiglio nella preparazione e nell’armamento: ogni parte dello stesso doveva essere indossata e pronta all’uso. Lo stesso Guglielmo si preparava al combattimento, un inserviente gli portò una splendida cotta di maglia con cappuccio perché lo proteggesse fin dietro la nuca.

 

Guglielmo di Malmesbury narra che dopo essersi messo la corazza, si accorse che lo scudiero gliel’aveva portata al rovescio e lui se l’era infilata in quel verso. Il servitore, imbarazzato, vedendo un pessimo presagio nel simbolismo, venne rassicurato dallo stesso duca con una risata seguita da una frase vaticinante: 'Il mio ducato sarà trasformato in regno'. Quindi al di sopra dell’armatura calò sulla testa un elmo con nasale tipicamente scandinavo e si fece condurre il cavallo da battaglia, uno splendido stallone spagnolo regalatogli di persona dal re Alfonso d’Aragona.

 

Quindi afferrò lo stendardo, ossia il gonfalone che consentiva alle truppe i riconoscere i capi in mezzo alle mischie e raggiunse il resto della cavalleria, che si trova al riparo in un bosco, ponendosi davanti alle altre bandiere.

Il comandante, nell’altra mano teneva lo scettro del comando, probabilmente una sorta di mazza ferrata che conserverà per l’intera durata del combattimento. Al suo fianco stava il fratellastro, il vescovo Oddone che impugnava la grave mazza a tre teste che sarà testimone di numerose morti tra i combattenti avversari: all’epoca infatti i religiosi non potevano portare armi da taglio per “non versare” sangue, ma potevano solo avere armi che stordissero il nemico!

 

 

 

56.HIC MILITES EXIERUNT DE HESTENGA

(Qui i soldati uscirono da Hastings)

 

57.ET VENERUNT AD PRELIUM CONTRA HAROLDUM REGE(M)

(E andarono a combattere contro il re Aroldo )

 

Durante i preparativi venne inviata una vedetta, il cavaliere Vitale in avanscoperta, con lo scopo di individuare il luogo in cui si era attestato l’esercito sassone. In fretta ritornando dal suo signore segnala, nell’Arazzo, con la torsione del busto e l’indice che punta lontano, la posizione di Arolodo e dei suoi: la collina di Telham è il punto in cui si sarebbe dovuto sfondare per aver ragione dell’esercito nemico.

 

 

58.HIC WILLELM DUX INTERROGAT VITAL SI VIDISSET EXERCITU(M) HAROLDI

(Qui il duca Guglielmo domanda a Vitale se abbia visto l’esercito di Aroldo ).

 

Di contro, dall’altra parte del bosco, anche un soldato d’avanguardia sassone aveva intravisto gli invasori, quindi si rigira e velocemente corre incontro ad Aroldo, che viene invitato ad osservare la posizione dei normanni e per osservare meglio si solleva sulle staffe: i due eserciti ormai sono a circa un miglio di distanza.

 

 

59.ISTE NUNTIAT HAROLDUM REGE(M) DE EXERCITU WILELMI DUCIS

(Questo annuncia al re Aroldo l’esercito del duca Guglielmo)

 

Dalle Cronache di Normandia sappiamo che una volta giunti a vista Guglielmo cercò ancora una volta di evitare la battaglia pur cercando di far valere i suoi diritti: mandò ad Aroldo, per questo motivo, come messo, il monaco Margot dell’abbazia di Fecamp. Il messaggio intimava l’ultimatum al re inglese, ricordandogli nuovamente il giuramento fatto sulle reliquie di fronte a Dio e agli uomini. Ancora, gli proponeva, da buon cavaliere qual’era, rispettoso della vita umana e pregno dei valori della cavalleria, un duello in “singolar tenzone” dove, i due pretendenti, si sarebbero scontrati l’uno contro l’altro. Per l’ennesima volta, Aroldo rifiutò, continuando ad asserire che il regno gli era stato dato in lasciato da Edoardo sul punto di morte.

 

Adesso, solo adesso, non vi era altra scelta che il combattimento in campo aperto: l’esercito normanno schierato ricevette dopo una breve omelia, l’assoluzione e la benedizione divina con una splendida funzione all’aperto, da parte del vescovo Oddone.

 

Quindi “il Bastardo”, pronunciò il discorso, riportato da Guglielmo di Poitiers e Henri de Huntingdon che aveva lo scopo di esortare e fomentare le truppe al combattimento. Ricordava ai suoi uomini di essere coraggiosi e valorosi e soprattutto saggi, ossia, lucidi; rassicurandoli sul fatto che gli angli non avrebbero mai potuto resistere, poiché loro erano assistiti da Dio stesso non solo perché  combattevano tutti per una giusta causa ma anche perché con loro si trovava lo stendardo benedetto ricevuto direttamente dal pontefice, tramite del Signore. “Se fossero stati sconfitti, non ci sarebbero stati per loro né ritirata né speranza; se fossero stati vincitori, gloria ed Inghilterra sarebbero stati al loro cospetto”. Quindi spinse i cavalieri normanni  al galoppo verso la battaglia, intonando la Chanson de Roland perché le nobili gesta dei cavalieri che lo avevano preceduto circa 250 anni prima fossero da esempio e potessero incitare i suoi soldati.

 

 

60.HIC WILLELM DUX ALLOQUITUR SUIS MILITIBUS UT PREPARERENT SE VIRILITER ET SAPIENTER 

(Qui il duca Guglielmo incita con arte oratoria i suoi soldati, affinché si tengano pronti a combattere coraggiosamente e con saggezza)

 

Eserciti ed armamenti

 

La differenza fondamentale tra i due schieramenti ancor prima che tipologica è di tipo concettuale: mentre i sassoni, secondo la più pura tradizione germanica, basavano il proprio esercito sul principio del Volkrieger ("popolo guerriero") che responsabilizzava ogni singolo cittadino al combattimento e quindi ad un esercito di tipo non professionale; i normanni, invece, già imbevuti del concetto di leva professionale basata sul complesso sistema feudale, prevedevano solo uomini specializzati nel combattimento, per lo più nobili o alto borghesi, affiancati da truppe di supporto non esperte.

 

Tuttavia questo non impedì all'esercito anglosassone di poter disporre di truppe specializzate affiancate, chiaramente da uomini che ne costituivano la massa: le prime, di derivazione scandinava erano gli housecarles mentre le seconde erano dette fyrd. I primi o "capifamiglia" furono mutuati dagli scandinavi-danesi e soprattutto norvegesi e dapprincipio rappresentavano le guardie del corpo del re e dei nobili; già a quel tempo costituivano un vero e proprio esercito professionale, seppur di piccole dimensioni, mantenuto dai nobili stessi e dalle casse dell’erario statale, questo nutrito drappello era legato al sovrano dal vincolo del giuramento personale.

 

I Fyrds, invece, erano la milizia popolare, erano i contadini e costituivano la moltitudine delle truppe, il loro reclutamento, basato sulla leva popolare, avveniva secondo gli hides, una misura agraria (1 hide = cinque acri), cinque hides fornivano un uomo, che veniva retribuito con 4 scellini e viveri per due mesi, oppure esclusivamente con 20 scellini.

 

Quanto ai soldati, quelli di Aroldo erano in prevalenza mercenari e le loro armi press’appoco le stesse dei normanni. L’armamento consisteva principalmente di scudi di legno di forma circolare o a mandorla, una lancia utilizzata soprattutto nel lancio e una spada a doppio taglio mentre, soprattutto gli housecarles erano equipaggiati con la temibile scure da battaglia, la battleaxe, di derivazione scandinava (danese), con un manico molto lungo e maneggevole, ma rinomata per la sua manovrabilità nel combattimento contro le cavallerie nemiche e ottima anche come oggetto da lancio.

 

La differenza fondamentale, oltre che nella rinomata ascia, tra fyrds e housecarls stava nel fatto che i secondi disponevano di un apparato difensivo basato sulla cotta di maglia di ferro (byrne) e sui solidi elmi con nasale che i fyrds non potevano permettersi. Tutti portavano spade, lance, asce e perfino fionde, falci e martelli. Gli housecarles prediligevano il combattimento appiedato, nonostante avessero a loro disposizione i cavalli che usavano quasi esclusivamente per gli spostamenti: erano in pratica dei cavalieri appiedati.

 

Gli effettivi normanni comprendevano una varietà maggiore di truppe: erano presenti gli arcieri, e i cavalieri oltre che alla fanteria. Secondo alcuni doveva avere più o meno le stesse dimensioni di quello sassone, anche se alcune fonti, inverosimilmente, arrivano a parlare addirittura di 50.000 uomini!

 

La cavalleria pesante era una sorta di evoluzione degli housecarles, dopotutto le origini scandinave erano simili, armata con lance lunghe, spade e aveva la sua forza nel fatto di essere ottimamente difesa da armature di cotta di maglia e da elmi con nasale e scudi.

 

La loro attrezzatura ci è estremamente chiara proprio nell’Arazzo di Bayeux che rappresenta la fonte più completa: in pratica la differenza tra la cavalleria continentale e gli housecarles stava nell’uso o per meglio dire nell’utilizzo del cavallo, infatti se si esclude la lancia lunga, necessaria per sferrare gli attacchi da cavallo, gli armamenti che compongono i due corpi d’elite sono gli stessi: ambedue sono protetti dalla cotta ad anelli di ferro intrecciati che proteggeva capo, tronco e gambe; gli elmi inoltre erano identici, di forma conica, con un nasale fisso, mentre gli scudi avevano la tipica forma arrotondata all'estremità superiore con la parte più bassa appuntita che gli conferisce la tipica forma “a petalo o a mandorla”, assicurati alle braccia dei combattenti a cavallo da un sistema di cinghie ad imbracature che permettevano una presa salda, che invece era piuttosto mobile per quanto riguarda i sassoni che ne dovevano fare un uso molteplice.


Le armi offensive dei fanti normanni si componevano di una spada a doppio taglio lunga circa 90 cm, con l’elsa che poteva avere una forma ricurva, la lancia e la scure, formata da un ferro di discrete dimensioni montato su un manico piuttosto lungo, impugnabile, a differenza della battleaxe, con una sola mano piuttosto che con due. Gli arcieri, per la loro funzione di “lanciatori” sono privi di qualsiasi protezione o armatura e con le faretre piene di frecce dietro la schiena ed altre di riserva poggiate al suolo.


Le differenze principali, dunque, tra i due schieramenti consistono nelle assenze tra le file anglosassoni, di arcieri e vista la non-partecipazione dell’alta nobiltà al combattimento, non vi era neanche la presenza di una cavalleria pesante tra le loro file.

 

Gli schieramenti

 

Il giorno della battaglia Guglielmo era andato incontro alle truppe Anglosassoni nel sito che oggi si chiama appunto Battle (circa 10 km a nord-ovest di Hastings). Avanti stavano gli arcieri normanni, seguiti dalla fanteria e infine dai cavalieri.

 

Si fronteggiavano i combattenti di Aroldo II e le truppe di Ruggero, in numero press'a poco uguale, ma in ben differenti condizioni fisiche e di spirito. Quella anglia era  una  truppa  stanca per la  lunghissima marcia dal nord, tra l’altro si trattava di una forza nemmeno interamente concentrata a Hastings, ma ancora in attesa di una parte di soldati rimasti lungo la strada. Peggio, gente sbalordita di trovarsi davanti agli occhi, improvvisamente, un nemico che, riteneva, doveva essere in fase di ritirata per la loro presenza. Erano uomini logorati da una durissima battaglia appena combattuta e vinta di Stamford Bridge, terminata la quale — quando gli animi si dispongono istintivamente alla festa e al godimento del trionfo — stavano per affrontarne un'altra, ancora più difficile e decisiva per il loro destino.

 

Aroldo era un ottimo combattente ed un valente generale, aveva ben presente: che il suo esercito si componeva esclusivamente di fanti armati con la tipica ascia di guerra anglosassone e di grandi e robusti scudi e che le sue truppe erano estremamente logore dopo una marcia estenuante di centinaia di chilometri. Per questo motivo, aveva necessità di occupare una posizione strettamente difensiva, si era attestato in cima alla collinetta di Senlac, a sommo della quale cresceva allora un albero di mele, a sud dell’odierno centro di Battle.

 

Anche se i normanni potevano si schierare una potente cavalleria, ma il punto dove si erano posti i sassoni era veramente difficile da prendere: era infatti un costone di 500 metri circa con un declivio sul quale la cavalleria poteva anche agire, mentre i fianchi, più scoscesi, risultavano accessibili solo alle fanterie.

 

Qui il sassone aveva concentrato il proprio esercito schierandolo su un’ampiezza di circa 700 metri in ranghi serrati e a forma di semicerchio. L’obbiettivo del re d‘Inghilterra era quello di formare un muro i scudi.

 

In queste due zone si schierarono i fyrds sassoni che formarono un muro di lance e scudi profondo 10-12 file, mentre nella parte centrale, dove ci si aspettava l'attacco principale (soprattutto della cavalleria), vi erano i meglio armati e più fidati housecarles. Questi avevano l’ordine di disporsi con i loro grandi scudi davanti alle reclute raccolte durante la discesa verso sud, con l'incarico, non di attaccare il  nemico, ma di  proteggerle. L’apparato difensivo doveva funzionare come una sorta di falange macedone, sulla quale s’infrangessero gli attacchi avversari. Inoltre, per rinforzare la propria posizione, durante la notte aveva dato l’ordine di fortificare la collina sulla quale si trovavano, ricoprendola di pioli aguzzi, come facevano i romani.

 

Il generale sassone, assistito dai fratelli Gyrth e Leofwin, aveva posto il suo punto di comando al centro dello schieramento della parte piana della sopraelevatura dietro ai suoi housecarles, ai quali era anche assegnata la difesa dello stendardo. Quest’ultimi, in questa evenienza erano stati forniti anche di aste da guerra, ossia lance a scopo prettamente difensivo; alle loro spalle e sulle ali dello schieramento si trovavano i fyrds.

 

I Normanni, chiaramente, si trovavano a dover attaccare il nemico. Se da una parte vi era un atteggiamento preminentemente statico, gli assalitori contavano sul fattore “mobilità”, dovuto alla presenza della cavalleria.

 

Guglielmo, giocoforza si trovava ai piedi della collina di Telham Ill in un fondo piuttosto paludoso o comunque un terreno molto pesante, sul quale di solito rifluiva l’acqua dei rilievi circostanti e anch’egli, si pose nel centro dello schieramento. La disposizione nella semplicità numerica degli effettivi era piuttosto complessa. Difatti aveva ordinato l’intero esercito su tre file, arcieri, fanti e cavalleria e quest’ultima su tre colonne.

 

I fanti presenti avevano l’obbiettivo di coprire gli arcieri assestati sulla fronte dei tre gruppi, forti dei loro archi compositi e della loro doppia scorta di  frecce.

 

Guglielmo era affiancato dal vescovo Oddone e dal fedelissimo Ruggero di Mortain con i quali presidiava il centro circondato dagli uomini provenienti dalla Normandia; quasi come se si trattasse di una “disposizione geografica”: alla sua sinistra, che doveva costituire il settore più “debole”, aveva collocato i contingenti bretoni e del Maine, dell’Angiò abitanti delle città di Le Mans, di Poitiers, di Boulogne comandati dal conte Alano di Bretagna a cui facevano da subalterni Ruggero di Mognommeri e del conte bretone Fugan.

 

Mentre alla sua destra, vennero collocati gli avventurieri provenienti addirittura al di là del Reno, i mercenari fiamminghi e francesi agli ordini di Eustachio di Boulogne, discendente di Carlomagno e fratellastro di Edoardo il Confessore.

Il duca di Normandia aveva anteposto alla fanteria una formazione di arcieri per proteggerne l'avanzata e per coprire le manovre della cavalleria.

 

The Battle

 

Alla vista delle lance e delle armature inglesi che luccicavano tra gli alberi alla luce mattutina, egli dispiegò i suoi uomini con una fretta eccessiva, che già il poema latino intitolato “Il canto della battaglia di Hastings”, composto a pochi anni dall'avvenimento, individua come causa di una vittoria non schiacciante e causa di numerosi problemi durante il combattimento.

 

Il suo ben informato autore, probabilmente il vescovo Guido di Amiens, ritrae vivacemente l'improvvisa apparizione delle colonne inglesi ammassate sul crinale; descrive i nobili thegns che smontavano da cavallo, inviavano gli animali nelle retrovie e prendevano posizione a piedi sotto gli stendardi.

 

E altrettanto vivacemente descrive il duca ai piedi del crinale, in atto di schierare cavalieri e arcieri. Guglielmo non fu in grado di dispiegare la fanteria in posizione vantaggiosa, in modo che i suoi arcieri potessero attaccare le linee inglesi sotto la protezione dei lancieri. Non c'era ne il tempo ne lo spazio per le “compagnie ordinate e ben schierate”, ritenute allora il segno di un buon comando, anche se si può ritenere o che il generale normanno fu carpito dallo spasimo al combattimento o che sottovalutò a priori la battaglia.

 

Aroldo, dall’alto del crinale, era in posizione vantaggiosa. Al contrario, le forze di Guglielmo, stavano in posizione precaria: prima di scontrarsi con le avanguardie sassoni in salita, avrebbero dovuto risalire la collina.

 

Inoltre i due fiumiciattoli, due rigagnoli che sfociavano nella piana sottostante, ai lati della collina avrebbero costretto le linee ad un percorso obbligato verso il nemico, con il pericolo, in caso di rotta, di essere facilmente circondati e annientati.

 

Alle 6 del mattino del 14 ottobre il rombo delle trombe di guerra squarciò l’atmosfera irreale che si crea in un campo prima della battaglia. Guglielmo fece schierare le sue truppe ai piedi del crinale avendo già in mente il suo piano per la vittoria che consisteva in una tattica dalla triplice mossa: il tiro degli arcieri, l’assalto della fanteria pesante e l’attacco finale della cavalleria con la quale spettava fare breccia sulle linee con la sua notevole forza d’urto.
 

Quando i due schieramenti furono pronti, intorno alle 9 del mattino, “il Bastardo” condusse il suo attacco, impartendo gli ordini da dietro il suo stendardo papale. Il suo obbiettivo era quello di sfoltire le file nemiche attraverso un fittissimo lancio di frecce da parte degli arcieri posti in prima fila e diede l’ordine agli arcieri di iniziare a lanciare.

 

Inviò parte degli arcieri su per il pendio per sferrare ripetuti attacchi contro le linee inglesi e al contempo mandò squadroni di cavalleria per perlustrare le estremità della posizione: Bretoni a sinistra e Francesi non normanni a destra.

 

Benché le frecce ad essere lanciate furono miriadi, purtroppo, la distanza e soprattutto la pendenza  elevata, di circa 8 gradi, oltre al muro di scudi richiedevano ai sagittatori uno sforzo notevole, ossia di scoccare le frecce dal basso verso l’alto: i dardi lanciati con questa traiettoria perdevano molto in velocità, tanto che questo primo attacco provocò danni quasi nulli nelle linee nemiche. Le frecce avrebbero dovuto “spianare” la strada la strada ad un primo assalto della fanteria e quindi della cavalleria combinate.

 

Ciononostante, Guglielmo, decise di lanciare ugualmente l’attacco ed ordinò di assaltare i difendenti sulle estremità, evitando uno sfondamento centrale, laddove sembravano essere più deboli.

 

Gli scudi inglesi, che continuavano a presentarsi in un ininterrotto muro lungo il crinale, attendevano con ansia la massa degli avversari, l’obbiettivo era quello di uccidere gli assalitori appiedati che non avrebbero passato il muro di scudi e lance, mentre tramite l’uccisione dei cavalli con le battleaxes, disarcionare i cavalieri normanni e ammazzarli quando, a terra e stretti nelle corazze, diventavano dei burattini incapaci di muoversi.

 

Il Duca di Normandia dispose la cavalleria a semicerchio concavo con l’allargamento delle due ali per aggirare il nemico, quindi dopo aver richiamato gli arcieri ordinò l’attacco della fanteria costretta però a caricare in salita supportata dalla cavalleria che doveva fungere da grimaldello con funzione di sfondamento all’interno della quale si sarebbe poi dovuta inserire la fanteria che avrebbe dovuto allargare la breccia.

Quando diede il via all'attacco, anche questa mossa, vista la pesantezza del terreno, risultò troppo lenta, e gli assalitori appiedati si trovarono ad operare su una salita breve ma ripida e soprattutto esposti ai contrattacchi di coloro che occupavano la sommità. Anche la cavalleria, però, dovendo operare in salita, si ritrovò subito in difficoltà. Vano risultava il tentativo dei cavalieri di penetrare attraverso magari uno sfondamento operato a cuneo. La ripidezza del pendio su tutto il fronte non permetteva di caricare di slancio o di avere campo di manovra davanti alle linee nemiche.

 

 

61.AD PRELIUM CONTRA ANGLORUM EXERCITU(M)

(in battaglia contro l’esercito degli Inglesi)

 

Oltre al muro di scudi, al groviglio di lance contro cui si sarebbero dovuti infrangere cavalli e cavalieri, pesantemente affannati per la pendenza del percorso, furono fatti oggetto durante l’assalto della collina del lancio scomposto di ogni oggetto che andava dalle pietre alle asce: la posizione sopraelevata conferiva agli oggetti un’accelerazione maggiore che sfondava gli scudi di legno e penetrava le cotte di maglia. I normanni furono accolti da una terribile grandinata di strali e non riuscirono a fare braccia nella linea inglese la quale ebbe modo di provocare molte perdite grazie alle asce degli housecarles.

 

L’assalto alla collina si dimostrava un’impresa di proporzioni notevoli. Dopo una fase di attacco violento da parte degli invasori, vedendo che i risultati di un possibile sfondamento non arrivano, il morale e gli attacchi dei cavalieri iniziano lentamente ad affievolirsi.

 

Per i fanti sembra che un minimo obbiettivo era addirittura impossibile da raggiungere: respinti da tutte le parti, le asperità del terreno non consentivano di agire su un fronte più ampio, alcuni di loro iniziarono un lento ma inesorabile ripiegamento.

 

Comunque il fronte francese sembrava cedere, rientrando nei ranghi, solamente sul settore più debole, quello bretone sulla sinistra che aveva tentato un aggiramento delle linee.

Lo stesso Guglielmo di Poitiers deve ammettere che l'armata del duca, impossibilitata a compiere alcun avanzamento, iniziò a scoraggiarsi e ritirarsi. Questa sorta di ritirata, un indietreggiamento contenuto, coinvolse maggiormente l’ala sinistra, la fanteria bretone, che tra l’altro era in una posizione della collina meno scoscesa, indietreggiando in maniera confusa e precipitosa verso la valle costringendo la loro cavalleria a seguirli.

 

In quel momento i soldati di Aroldo iniziarono ad avere il sopravvento e cominciarono a sfondare inesorabilmente il fronte continentale e addirittura ad inseguire giù per l'altura i nemici in fuga il combattimento ormai imperversava sulla parte piana alle pendici della collina di Senlac; l’impeto ed un continuo arretramento nemico, portarono con ordine ad inseguire giù per la collina i nemici in fuga.

 

Gli inglesi ne profittarono per incalzare e i normanni, che intanto si videro scoperti sulla sinistra, subendo le prime gravi perdite. Lo sgomento sembrava avere la meglio sul coraggio. Il combattimento imperversava furiosamente e il pericolo di rotta per le truppe del “Bastardo” era imminente.

Tuttavia anche i sassoni subirono delle perdite, i morti erano numerosi anche tra loro e sembra che in questa fase vennero uccisi i due fratelli di Aroldo. L’Arazzo mostra un numero di caduti impressionanti da ambo le parti, le cornici raffigurano il campo di battaglia cosparso di cadaveri e uomini fatti a pezzi.

 

La battaglia non fu lunghissima: si stima da un minimo di due ore a un massimo di sei.

Aroldo dall’alto osservava la situazione e, visto che il centro la sinistra sassone reggevano bene, indusse probabilmente gli housecarles delle prime file del settore destro, ad iniziare un contrattacco controllato e coperto, teso a massacrare l'ala bretone.

A questo punto sorge uno dei più grandi enigmi che riguardano la battaglia, poiché questo, ossia il contrattacco anglosassone, è la chiave dell’intero combattimento:

A quel punto, se gli Inglesi fossero avanzati in massa giù per la collina, avrebbero probabilmente vinto la battaglia. Il perché non lo fecero è una questione che ha appassionato numerosi storici, sebbene possa trovare risposte solo ipotetiche. La spiegazione migliore è che gli Inglesi, in effetti, si misero in moto, ma i loro capi, i fratelli di Aroldo, Gyrth e Leofwine, vennero uccisi mentre guidavano la carica e la loro caduta gettò nello scompiglio tutta l'avanzata inglese.

 

 

62.HIC CECIDERUNT LEWINE ET GYRED FRATRES HAROLDI REGIS

(Qui vengono uccisi Lefwin e Gyrth fratelli del re Aroldo)

 

Inoltre in realtà non sappiamo se le mosse che contraddistinguono la fase che ci apprestiamo a narrare, siano state volute, decise e programmate dal generale Guglielmo o se siano state frutto di pura casualità e di una risposta impetuosa.

Lo svolgimento degli scontri in pratica non cambia ma cambia l’intenzionalità.

La ritirata dei bretoni aveva fornito a Guglielmo la chiave della battaglia: il Duca aveva avuto modo, nascosto nella mischia, di osservare l’andamento della battaglia, aveva notato che gli housecarles, in seguito all’arretramento bretone, erano scesi dal loro campo trincerato per inseguire i nemici, seguiti dai fryds, comunque in maniera composta.

 

 

63.HIC CECIDERUNT SIMUL ANGLI ET FRANCI IN PR(O)ELIO

(Qui si uccidono in battaglia reciprocamente Inglesi e Francesi)

 

Fu proprio in questo momento che il Normanno, secondo alcuni, attuò l'idea che diede la svolta alla battaglia: ordinò ai suoi di continuare ad arretrare, questa volta simulando la fuga, attuando una finta ritirata della fanteria già in fase di arretramento, indusse i sassoni ad inseguirle, di modo che nello spostamento, questi ultimi perdessero il loro più grande vantaggio, la collina, sulla quale non potevano sembravano inattaccabili.

 

Secondo alcuni, questa ritirata che inscenava prede di panico, non fu voluta né tanto meno ordinata secondo una tattica voluta in seguito all’osservazione ma si trattò di una rotta disordinata vera e propria, reale.

 

La battaglia comunque si svolse allo stesso modo, indipendentemente dall’intenzionalità delle mosse e delle decisioni.

L’ala sinistra iniziò una ritirata disordinata e precipitosa, la fanteria precedette la cavalleria, quasi in preda al panico, mettendo in crisi l'intero esercito normanno, costretto a cedere terreno su tutto il fronte di centro-sinistra.

Aroldo  diede ordine di attaccare, sempre dalle pendici dell’altura, la cavalleria avversaria che già in fase di arretramento, ormai di spalle, era stata falcidiata e fatta oggetto dal lancio di oggetti attraverso un attacco cruento ma comunque limitato ad un raggio d’azione controllato.

 

Il ripiegamento dell’ala bretone coinvolse l’intero esercito invasore. I cavalli, inoltre, s’impantanarono nelle paludi, vista la velocità acquisita nella ripida discesa verso valle. In preda alla rotta, i cavalli si ribaltavano in discesa, schiacciando gli uomini che li cavalcavano o gli effettivi di fanteria. Alle pendici della collina di Senlac, ancora oggi, la sanguinosa fossa che fu testimone di innumerevoli morti da parte francese, conserva il nome di Malafossa.

 

Questo è il momento chiave in qui la volontarietà di un piano lascia il dubbio dell’eventualità del caso: secondo alcuni, i filonormanni, ovviamente, Guglielmo diede l’ordine di arretrare ancora fino alla piana sottostante la collina, ma le cronache più obbiettive parlano di una crisi di panico generale che investì l’intera ala sinistra e che coinvolse l’animo degli invasori e scadendo nella disperazione più totale quando una freccia colpì il cavallo di Guglielmo che stramazzò a terra con tutto il peso dell’armatura. Terrore e angoscia e un fremito che riconduceva ad una sconfitta cocente imperversò nel campo: girò, tra le urla, la voce che Guglielmo era stato colpito a morte.

 

La voce che lo stesso Duca fosse stato colpito a morte, le gravi perdite e l’imperversare dei sassoni, disunirono le forze di Guglielmo che arretravano confusamente.

Di fronte a questa scena le poco disciplinate reclute di Aroldo si fecero prendere dall’entusiasmo e non solo rompono le righe dietro al campo trincerato per massacrare gli avversari, ma tutta l’ala destra, nonostante Aroldo si sforzasse di gridare il contrario si precipitò a valle rompendo la formazione per inseguire il nemico e disarcionare i pesanti cavalieri impantanati e massacrarne il più possibile.

 

Alla vista di un tale massacro e della ritirata anche il centro incominciò a cedere a sua volta: i Normanni si lasciano prendere dal panico.

In questo momento, conscio del pericolo, o per ordine del fratello, si eleva tra tutti la figura del carismatico Oddone, il quale sollevando il bastone del comando di Guglielmo, assume le sue veci. Quest’intervento consentì che i cavalieri in fuga non si disperdessero e che rioccupassero le posizioni almeno di tipo difensivo.

Tuttavia, una volta raggruppatisi, non scorgendo più lo stendardo, il loro generale e vedendo che il bastone del comando era impugnato dal vescovo di Bayeux, portano gli uomini a ritenere che il vociare sul fatto che Guglielmo fosse morto, dovesse essere attendibile.

 

 

64.HIC ODO EP(ISCOPU)S BACULU(M) TENENS CONFORTAT PUEROS

(Qui il vescovo Oddone, brandendo il bastone, anima i ragazzi)

 

La falsa notizia si diffuse velocemente, i cavalieri ormai raggruppati nuovamente dall’intervento di Oddone, si iniziarono a guardare intorno spauriti: il disordine nelle file normanne regnava sovrano e quando tutti ormai stavano per perdere le speranze, nel momento più difficile, Guglielmo, dopo essersi rimesso su un altro cavallo (sembra che ne abbia persi ben tre nello steso giorno) si sollevò immediatamente sulle staffe, riprese lo stendardo benedetto e quindi si tolse immediatamente l’elmo, tirando dietro alla nuca anche la cotta di maglia, per farsi riconoscere dalle sue truppe che intanto si davano alla fuga.

 

Il modo migliore in cui si può immaginarlo è la statua presente a Falaise in Francia che lo ritrae proprio in questo momento, che rappresenta l’attimo cruciale della sua esistenza: il Bastardo usciva dalla mischia mostrandosi nel modo più evidente a tutti, facendosi così riconoscere dai suoi e dai nemici, urlando: “State gettando via la vittoria! Guardatemi bene, sono ancora vivo, e per grazia di Dio sarò vincitore!”.

 

65.HIC EST WILEL(MUS)-CIVS

(Qui è Guglielmo)

 

Questa mossa, ripetiamo ancora voluta o casuale, rassicurò i normanni del fatto che il loro capo era sano e salvo, e ricondusse dentro di loro coraggio e riprendendo a combattere con rinnovato vigore.

Ma Guglielmo era un comandante ben conscio che, dinanzi a un avversario trincerato, cedere il passo poteva essere la soluzione migliore. Era una tattica che Guglielmo aveva usato contro Enrico re di Francia a St-Aubin-sur-Scie, vicino ad Arques, dodici anni prima, all'epoca della sua giovanile esuberanza bellica. Dopo aver osservato una parte dell'esercito di Aroldo che iniziava a inseguire i suoi cavalieri in fuga, il duca fu in grado di guidare al contrattacco le compagnie che aveva radunato.

 

Guglielmo ordinò all’ala destra di fermare l’attacco ancora inutile alle posizioni sassoni ancora sulla collina, quindi di riorganizzarsi, formare una sorta di sacca e circondare gli inseguitori inglesi che incalzavano le truppe bretoni. Queste a loro volta si riorganizzarono, militarmente grazie ad Oddone e moralmente alla vista del loro Generale e si rigirarono su loro stessi coadiuvati dalla cavalleria normanna che entrò in azione a sorpresa quando la compagine anglosassone si era smembrata per inseguire i falsi fuggiaschi.

La cavalleria del duca dovette avanzare il più in fretta possibile per respingere una possibile carica inglese contro le linee della fanteria leggera francese.

 

Sulla piana, grazie all’azione coadiuvata delle due cavallerie,  bretone e normanna che si voltarono bruscamente piombando sui soldati anglosassoni sparpagliati "scesi" all'inseguimento della fanteria, grazie alla superiore mobilità, circondarono rapidamente gli isolati plotoni inglesi e  li  fecero  a  pezzi. Ne seguì un massacro che indebolì gravemente la fanteria sassone.

 

66.HIC FRANCI PUGNANT

(Qui i francesi combattono)

 

Tuttavia la situazione rimaneva critica, gli invasori erano ormai posti in formazioni molto disordinate e sparpagliate, mentre i sassoni erano forti della loro posizione sopraelevata e mantenevano la piena compattezza e solidità dei ranghi.

In tal modo annientò completamente gli Inglesi che avevano raggiunto la base della collina. Una volta indebolite le pur sempre temibili linee inglesi,l'impresa di Guglielmo si fece meno disperata.

La cavalleria caricava a fondo, falciando la fanteria sassone che tentò un nuovo ripiegamento verso la collina c’era il rischio che se l’ala destra sassone avesse rioccupato le posizioni, lo sforzo sarebbe stato vano e tutto il piano sarebbe sfumato.

Si era ormai a metà mattina e probabilmente vi fu una lunga pausa nei combattimenti: verso le 12 si decise per una tregua in modo da riorganizzare gli schieramenti, ma Guglielmo aveva fretta e gli uomini di Aroldo pare che fossero ormai esausti e scoraggiati.

 

 

67.ET CECIDERUNT QUI ERANT CUM HAROLDO

(e uccidono coloro i quali si trovavano con Aroldo)

 

A questo punto il genio militare di Guglielmo ebbe il sopravvento: quelli che tentano la ritirata vennero fatti oggetto dell’intervento degli arcieri, i quali avevano ancora con una faretra di scorta come aveva richiesto loro il duca di premunirsi. Ordinò di tirare alle spalle di coloro che si ritiravano i quali non avendo più la protezione degli scudi vennero colpiti senza scampo. Il secondo attacco degli arcieri normanni risultò questa volta fatale. Le forze congiunte della fanteria e della cavalleria fecero il resto. Gli inglesi si trovarono circondati e le loro fila sfondate.

 

L'armata normanna ora riorganizzata e radunata poteva mettere in pratica il piano originario, poteva scontrarsi contro le  ormai assottigliate file inglesi.

Nell'assalto finale, Guglielmo ordinava agli arcieri e ai balestrieri di tirare alto affinché le frecce superassero 'il muro di scudi' e col trascorrere del mezzogiorno e del pomeriggio, il logoramento causato dai loro tiri aprì dei vuoti nella linea di scudi, finché Guglielmo non giudicò fosse talmente indebolita da poter lanciare la cavalleria.

 

Guglielmo di Poitiers, sottintende che i cavalieri vennero respinti in alcuni punti, ma che riuscirono a penetrarne altri, inoltre afferma che il duca era sempre in prima linea dove perse la seconda cavalcatura,rimpiazzandola dopo aver scagliato in terra un cavaliere del Maine in atto di ritirarsi e prendendone il cavallo. Nessuno mette in dubbio la sua energia e il suo valore, ma è inverosimile (come invece afferma il Canto) che egli abbia guidato le truppe che rovesciarono Aroldo.

 

A questo punto, il lato destro dei fyrd, venne fatto oggetto di una pioggia di frecce, e oramai fortemente indebolita dai dardi e dal contrattacco bretone, era in balia dei nemici, quando in soccorso dei fanti sassoni arrivò proprio Aroldo, che sembrava aver portato nuovo vigore tra le truppe.

 

Queste continuarono a battersi finché una fortunosa freccia normanna, stoccata da un arciere sconosciuto, di cui la storia ignorerà il nome per sempre, colpì Aroldo nell’occhio. Questi barcollò nel vano tentativo di togliersela ma venne falciato dalla spada di un cavaliere normanno accorso tempestivamente.

 

 

68.HIC HAROLD REX INTERFECTUS EST

(Qui il re Aroldo è ferito)

 

Il re Aroldo era morto.

 

La morte del loro capo ebbe come conseguenza la rotta dei Fyrd. I sassoni,ormai rimasti senza comandanti, vennero annientati, gli ultimi a resistere fino alla fine sulla cima alla collina saranno i valenti Housecarles, asserragliati in quadrato attorno allo stendardo con il drago  rosso, simbolo del Wessex e il "Combattente" (Fighting Man), vessillo personale di Aroldo.

 

Le truppe semplici, alla funesta notizia, invasate dal terrore si diedero ad una fuga pazza verso il bosco di Andresweald dove furono raggiunte dai normanni e decimate. L’Arazzo illustra perfettamente questa fase: nella striscia più in basso i vinti gettano a terra le armi. Molti vengono spogliati delle maglie di ferro.

 

 

69.ET FUGA VERTERUNT ANGLI

(e gli Inglesi si ritirano)

 

Il cadavere di Aroldo venne denudato dell’armatura e massacrato di colpi tanto da essere divenuto irriconoscibile, una sorte che a quanto pare era toccata a tutti i sassoni uccisi, come mostra l'Arazzo, che raffigurando questa parte della battaglia non è certo privo di scene raccapriccianti come la spogliazione e mutilazione di cadaveri.

 

Queste sono le immagini con cui, per noi, si conclude l’arazzo.

 

Guglielmo portò il cadavere del comandante sassone al suo campo e più tardi lo fece seppellire sulla spiaggia.

 

A Hastings perì il fior fiore dei combattenti anglosassoni reduci della battaglia di Stamford Bridge; lo stesso re Aroldo e i suoi fratelli, Leofwin e Gyrth, caddero tutti sul campo di battaglia.


Per vari anni, puntualmente ogni 14 ottobre, un anonimo ha continuato, negli scorsi decenni, a inserire nella pagina dei necrologi del Times di Londra quello dedicato al ricordo di Aroldo, l’ultimo re anglosassone d’Inghilterra.


Probabilmente con grande irritazione del duca, la battaglia di Hastings non si svolse così come era stata pianificata. Si tratta di una delle battaglie medievali meglio documentate e l'impressione che forniscono i testi è di una grande mischia.

 

Ma Guglielmo ne usciva vincitore ma la sua vittoria, da parte dei più critici non è da individuarsi nel genio tattico del Normanno, piuttosto sarebbe da individuare nella fretta di Aroldo che, se avesse agito razionalmente e senza la sua consueta fretta, avrebbe potuto certamente ingrossare notevolmente le sua fila e pianificare meglio la difesa. Addirittura alcuni critici segnalano nella posizione “apparentemente sfavorevole”, di attaccare in salita, la base del successo di Guglielmo.

 

Certamente dobbiamo pensare che lo sfondamento iniziale risultò totalmente inefficace con una disfatta inaspettata dei suoi cavalieri, precipitatisi in fuga dopo il primo faticoso attacco. Ma il genio tattico e il carisma di un personaggio che già aveva utilizzato una tattica simile contro il re di Francia, si deve all’osservazione e alla comprensione del momento, quando i sassoni si gettarono all'inseguimento lungo la discesa, e così facendo si sparpagliarono. Vedendoli divisi e disorganizzati, il duca di Normandia poté assalirli a gruppi separati, fingendo di continuare a scappare e togliendoli di mezzo con una autentica carneficina.

 

La sera del 14 ottobre 1066, Guglielmo, il vincitore di Hastings, entra gloriosamente nella storia, divenendo “il Conquistatore”.

 

Dopo la battaglia

La battaglia che decise la svolta e che segnò per sempre le sorti dell'Inghilterra era terminata.. Bastò un solo giorno perché l’antica e gloriosa casata sassone si sciogliesse come neve al sole.
 

La battaglia di Hastings costituì solo l’inizio della conquista normanna dell’Isola: come primo atto Guglielmo stabiliva che sul luogo stesso dello scontro sarebbe sorta un’abbazia, per rendere grazie a Dio della vittoria. Quindi si diresse a Londra e il giorno di Natale del 1066 si fece incoronare re nella nuova cattedrale di Westmister, ottenendo il riconoscimento formale dei conti inglesi e divenendo con la titolatura ufficiale “Guglielmo I il Conquistatore re d’Inghilterra”.

 

Divenuto re, Guglielmo doveva proseguire la sua opera di sottomissione del paese. Quelli che lo avevano avversato erano morti quasi tutti a Hastings cosa che favorirà la manovra anche se gravi furono le difficoltà incontrate durante il percorso di stabilizzazione del nuovo dominio, iniziò e concluse una grandiosa opera di rinnovamento.

 

Si garantì una chiesa moderna e sicuramente a lui favorevole nominando il suo amico e consigliere Lanfranco di Pavia arcivescovo di Canterbury.

Fece costruire centinaia di castelli in pietra, fino ad allora quasi sconosciuti in Inghilterra, tra cui la famigerata torre bianca, che servirà per secoli come prigione dorata per i dissidenti d’alto rango e la Torre di Londra.

 

Con le buone o con le cattive, fece riconoscere la sua autorità nell'intera Inghilterra. Fronteggiò le inevitabili insurrezioni dei malcontenti: tolse la voglia di riprovarci ai turbolenti cittadini di Exeter, ricondusse all'ordine le contee della Mercia e della Northumbria, mostrò la sua inesorabile durezza quando, nell'agosto 1069, i conti Edgard e Waltheof si unirono al re danese Sweyn, il quale era sbarcato con un esercito alla foce dell’Humber, sull'esempio di quanto aveva fatto in precedenza il norvegese Arald Hardraada.

 

Guglielmo, come Aroldo II, marciò su York, la riconquistò, ne fece passare a fil di spada la guarnigione, cacciò i danesi in mare e "pose a ferro e fuoco il territorio tra i fiumi Humber e Tees e massacrò i suoi abitanti, distruggendo ogni traccia di vita; dopo aver traversato i Pennines, egli devastò pure lo Staffordshire, il Derbyshire e il Cheshire".

 

Alla fine ricompensava i suoi baroni per averlo portato alla vittoria. Lo fece distribuendo loro le terre e le ricchezze dei caduti, e sostituì l'aristocrazia normanna a quella sassone sull’intero suolo inglese, assicurandosi un appoggio determinante in caso di rivolte.

 

Progressivamente anche gli apparati amministrativi vennero sostituiti da unità normanne e, espediente assolutamente nuovo, si dichiarò proprietario unico di tutte le proprietà del territorio, svincolandosi così dalle eventuali pretese dei vassalli.

 

Anche se il genio di un uomo si osserva in quello che viene definito “capolavoro”: un’ opera impensabile a quei tempi. Il nuovo sovrano fece compilare il “Domesday Book”, (“Libro del giorno del giudizio”), in cui fece annottare puntigliosamente una cernita di tutti i possedimenti inglesi; un’opera colossale che avrebbe garantito un controllo stretto e un regolare e preciso afflusso delle entrate fiscali.

 

Guglielmo “il Conquistatore” morirà nel 1087 a soli 50 anni, lasciando ai posteri un’eredità immensa: la creazione del nuovo “Stato” d’Inghilterra. Dalla vittoria di Hastings nasceva la moderna nazione inglese e una delle monarchie più stabili del mondo.

 

La battaglia è stato solo un elemento, certo fondamentale, ma culminante di un intero viaggio, fatto perché guidati dall’entusiasmo di vivere quelle coincidenze che nella vita concedono il privilegio di provare emozioni. Il sentimento si svolge all’interno delle persone, così come si trova, proprio perché le persone, una stirpe, delle genti, un gruppo, dimostra di avere dei caratteri differenti dalla realtà circostante.

 

È a questo punto che una popolazione o un singolo individuo sono così avidi ed immodesti da potersi fregiare di titoli che si sono conquistati e ancor più grande è il risultato di un evento quando questo viene condotto non da pari, ma da coloro i quali non partivano, o non partiva, nel caso di Guglielmo, da una situazione che consentisse loro di portare a termine un’impresa.

 

Un piccolo ducato, ed un uomo disprezzato, anche se per le proprie origini, servito e coadiuvato da alleati fedeli e tenaci, ancora oggi si potrebbe vantare di aver compiuto ciò che ancora oggi dopo 940 esatti, nessuno è più riuscito a fare.

 

Ancor più grande, tutto appare se ogni sfumatura di quella mirabile impresa è espressa nella comprensione di quell’evento nel momento in cui esso avvenne ed è imbevuta di ogni forma d’arte, da cui è possibile ancor oggi percepire il sentimento di un evento vissuto come storia e ricordato come mito…

 

 

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