DAL GUITTONISMO ALLO STILNOVISMO
EVOLUZIONI POETICHE MEDIEVALI
di Riccardo
Renzi
Il Duecento italiano rappresenta una
delle fasi più fervide
dell’evoluzione letteraria europea.
All'interno di questo secolo si
sviluppano correnti poetiche,
filosofiche e religiose che
preparano il terreno all'Umanesimo,
segnando un passaggio cruciale dal
Medioevo più tradizionale a una
nuova concezione dell’arte e della
spiritualità. In questo contesto si
muovono tre figure centrali e
profondamente diverse: Guittone
d’Arezzo, Cecco d’Ascoli e i poeti
dello Stilnovo, rappresentati in
primis da Guido Guinizelli, Guido
Cavalcanti e Dante Alighieri. Non si
tratta solo di una successione
generazionale o di scuole poetiche:
il confronto tra questi
intellettuali rivela una tensione
culturale tra morale religiosa,
ricerca filosofica, scienza e
introspezione lirica, un dialogo
spesso implicito ma ricco di
contrasti, eredità e superamenti.
Guittone d’Arezzo (ca. 1230–1294),
figura centrale della poesia toscana
del XIII secolo, rappresenta la
sintesi tra l’eredità trobadorica
provenzale, la sperimentazione
linguistica e una forte vocazione
morale e politica. Nato in un
ambiente aristocratico e laico,
Guittone abbandona la carriera
civile e la famiglia per entrare
nell’ordine dei Frati Gaudenti,
evento che segna una svolta decisiva
nella sua poetica. Fino a quel
momento, Guittone era stato il più
prolifico continuatore della lirica
d’amore cortese in volgare toscano,
con una produzione vasta (oltre 300
componimenti tra sonetti e canzoni)
che mostrava già una notevole
padronanza stilistica. Ma dopo la
sua conversione religiosa, la sua
poesia cambia radicalmente: si fa
moraleggiante, polemica, pedagogica.
Nell’autocritica feroce della
canzone Ora parrà s’eo saverò
cantare, egli ripudia la poesia
d’amore giovanile, accostandola a
una forma di "follore" (follia).
Guittone, pur con un evidente gusto
per il trobar clus, il
linguaggio oscuro e artificioso, è
l’anello di congiunzione tra la
lirica siciliana e la scuola
toscana, e il caposcuola di quello
che Dante chiamerà con disprezzo il
“guittonismo”: uno stile ampolloso,
retorico, privo della grazia e
dell’intensità spirituale che lo
Stilnovo rivendicherà.
Con Guido Guinizelli e poi con Guido
Cavalcanti e Dante, nasce una nuova
scuola che Dante battezzerà Dolce
Stil Novo. Se Guittone aveva
cercato di coniugare amor cortese e
morale cristiana in modo polemico, i
poeti stilnovisti compiono un atto
rivoluzionario, elevando l’amore da
passione terrena a esperienza
spirituale e intellettuale, fonte di
elevazione morale e specchio della
nobiltà d’animo. Guinizelli, con la
celebre canzone Al cor gentil
rempaira sempre Amore, formula
due assi fondamentali della nuova
poetica: l’identità tra amore e
nobiltà d’animo (non più di sangue);
la donna come figura angelicata,
tramite verso il divino.
In Cavalcanti, tuttavia, il concetto
si fa più drammatico e
intellettuale: l’amore diventa un
fenomeno fisico-psichico, dominato
da forze cosmiche e astrologiche,
una passione feroce e distruttiva,
che si radica nell’anima sensitiva.
Il suo celebre Donna me prega
è un trattato filosofico in versi,
con un impianto scientifico
aristotelico. Dante, infine, nel
De vulgari eloquentia, nel
Convivio e nella Vita Nova,
sintetizza e trascende i due
predecessori: per lui la donna amata
– Beatrice – diventa rivelazione
teologica, manifestazione del divino
nel mondo sensibile, punto
d’incontro tra filosofia, teologia e
poesia. Il Dolce Stil Novo è
dunque nuovo stile e nuova visione
del mondo, in contrasto polemico con
la poesia precedente. Nella celebre
scena del Purgatorio (XXIV),
Dante mette in bocca a Bonagiunta da
Lucca la consapevolezza di essere
stato superato da una nuova
generazione, guidata proprio dal
poeta fiorentino:
“I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro, vo
significando”.
Contemporaneo di Dante, Cecco
d’Ascoli (1269–1327) incarna una
figura unica nella cultura
due-trecentesca: poeta, medico,
filosofo naturale, astronomo e
astrologo, è autore del poema
enciclopedico L’Acerba, che affronta
i più disparati temi – dalla
cosmologia all’amore, dalla scienza
alla morale – in forma allegorica e
dotta. Cecco si colloca fuori e
contro sia Guittone che gli
Stilnovisti. Il suo pensiero,
profondamente razionalista, fondato
su una concezione materialistica e
scientifica della realtà, rifiuta
tanto l’angelicazione della donna
quanto l’intimismo spirituale della
lirica amorosa. Egli ridicolizza il
platonismo dei poeti toscani, e
polemizza direttamente con Dante,
accusandolo di superstizione e
mistificazione. Cecco è
l’anti-stilnovista per eccellenza:
nel suo universo poetico non vi è
spazio per l’amore come elevazione
morale, ma solo per un fenomeno
naturale e regolato dalle stelle,
come ogni altra forza della natura.
In questo si avvicina, per certi
versi, al razionalismo cavalcantiano,
ma lo porta alle estreme
conseguenze: non c’è mistica, non
c’è grazia, solo leggi naturali e
influssi celesti. La sua condanna al
rogo da parte dell’Inquisizione nel
1327 per eresia religiosa non può
prescindere dalla sua personalità
polemica, dalla sua sfida ai dogmi e
dalla sua insistenza sulla
conoscenza scientifica come via alla
verità, in un’epoca in cui il
confine tra scienza e magia era
sottile e pericoloso.
Il dialogo, spesso implicito, tra
Guittone, Cecco e gli Stilnovisti,
può essere sintetizzato come uno
scontro tra tre visioni del mondo:
Guittone d’Arezzo rappresenta
l'intellettuale cristiano medievale
che tenta di moralizzare la poesia,
vedendo nell’amore un pericolo da
governare con la ragione e la
religione; gli Stilnovisti vedono
l’amore come via alla conoscenza e
alla salvezza, recuperando la
lezione trobadorica ma sublimandola
in una dimensione metafisica e
spirituale. La poesia è forma di
rivelazione, e lo stile riflette
l’elevazione dell’anima; Cecco
d’Ascoli, infine, distrugge entrambe
queste illusioni: il suo
materialismo poetico è un grido
solitario contro il sentimentalismo
stilnovista e l’ortodossia
cattolica, e la sua opera è il
frutto di un sapere universale, ma
troppo libero per essere accettato
dalla sua epoca.
Dante, figura centrale di questa
fase storica e letteraria, prende
posizione netta: rifiuta Guittone
come modello poetico e lo presenta
nel Purgatorio come simbolo
di una poesia ormai superata. Ma
respinge anche la radicalità di
Cecco, preferendo integrare nella
sua visione la fede cristiana, la
filosofia e la poesia, in un’armonia
che ambisce all’universale. Eppure,
Dante non ignora la lezione di
Cecco, né quella di Guittone: le
utilizza come termini di confronto,
come fasi necessarie del proprio
percorso poetico e spirituale. La
sua adesione iniziale allo Stilnovo
è solo il primo passo di una
progressiva riflessione sulla
poesia, che culminerà nella
Commedia, dove amore, fede,
scienza e politica trovano un loro
equilibrio superiore.