[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 214 / OTTOBRE 2025 (CCXLV)


arte

DAL GUITTONISMO ALLO STILNOVISMO
EVOLUZIONI POETICHE MEDIEVALI
di Riccardo Renzi

 

Il Duecento italiano rappresenta una delle fasi più fervide dell’evoluzione letteraria europea. All'interno di questo secolo si sviluppano correnti poetiche, filosofiche e religiose che preparano il terreno all'Umanesimo, segnando un passaggio cruciale dal Medioevo più tradizionale a una nuova concezione dell’arte e della spiritualità. In questo contesto si muovono tre figure centrali e profondamente diverse: Guittone d’Arezzo, Cecco d’Ascoli e i poeti dello Stilnovo, rappresentati in primis da Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti e Dante Alighieri. Non si tratta solo di una successione generazionale o di scuole poetiche: il confronto tra questi intellettuali rivela una tensione culturale tra morale religiosa, ricerca filosofica, scienza e introspezione lirica, un dialogo spesso implicito ma ricco di contrasti, eredità e superamenti.

 

Guittone d’Arezzo (ca. 1230–1294), figura centrale della poesia toscana del XIII secolo, rappresenta la sintesi tra l’eredità trobadorica provenzale, la sperimentazione linguistica e una forte vocazione morale e politica. Nato in un ambiente aristocratico e laico, Guittone abbandona la carriera civile e la famiglia per entrare nell’ordine dei Frati Gaudenti, evento che segna una svolta decisiva nella sua poetica. Fino a quel momento, Guittone era stato il più prolifico continuatore della lirica d’amore cortese in volgare toscano, con una produzione vasta (oltre 300 componimenti tra sonetti e canzoni) che mostrava già una notevole padronanza stilistica. Ma dopo la sua conversione religiosa, la sua poesia cambia radicalmente: si fa moraleggiante, polemica, pedagogica. Nell’autocritica feroce della canzone Ora parrà s’eo saverò cantare, egli ripudia la poesia d’amore giovanile, accostandola a una forma di "follore" (follia).

 

Guittone, pur con un evidente gusto per il trobar clus, il linguaggio oscuro e artificioso, è l’anello di congiunzione tra la lirica siciliana e la scuola toscana, e il caposcuola di quello che Dante chiamerà con disprezzo il “guittonismo”: uno stile ampolloso, retorico, privo della grazia e dell’intensità spirituale che lo Stilnovo rivendicherà.

 

Con Guido Guinizelli e poi con Guido Cavalcanti e Dante, nasce una nuova scuola che Dante battezzerà Dolce Stil Novo. Se Guittone aveva cercato di coniugare amor cortese e morale cristiana in modo polemico, i poeti stilnovisti compiono un atto rivoluzionario, elevando l’amore da passione terrena a esperienza spirituale e intellettuale, fonte di elevazione morale e specchio della nobiltà d’animo. Guinizelli, con la celebre canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, formula due assi fondamentali della nuova poetica: l’identità tra amore e nobiltà d’animo (non più di sangue); la donna come figura angelicata, tramite verso il divino.

 

In Cavalcanti, tuttavia, il concetto si fa più drammatico e intellettuale: l’amore diventa un fenomeno fisico-psichico, dominato da forze cosmiche e astrologiche, una passione feroce e distruttiva, che si radica nell’anima sensitiva. Il suo celebre Donna me prega è un trattato filosofico in versi, con un impianto scientifico aristotelico. Dante, infine, nel De vulgari eloquentia, nel Convivio e nella Vita Nova, sintetizza e trascende i due predecessori: per lui la donna amata – Beatrice – diventa rivelazione teologica, manifestazione del divino nel mondo sensibile, punto d’incontro tra filosofia, teologia e poesia. Il Dolce Stil Novo è dunque nuovo stile e nuova visione del mondo, in contrasto polemico con la poesia precedente. Nella celebre scena del Purgatorio (XXIV), Dante mette in bocca a Bonagiunta da Lucca la consapevolezza di essere stato superato da una nuova generazione, guidata proprio dal poeta fiorentino:

 

“I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro, vo significando”.

 

Contemporaneo di Dante, Cecco d’Ascoli (1269–1327) incarna una figura unica nella cultura due-trecentesca: poeta, medico, filosofo naturale, astronomo e astrologo, è autore del poema enciclopedico L’Acerba, che affronta i più disparati temi – dalla cosmologia all’amore, dalla scienza alla morale – in forma allegorica e dotta. Cecco si colloca fuori e contro sia Guittone che gli Stilnovisti. Il suo pensiero, profondamente razionalista, fondato su una concezione materialistica e scientifica della realtà, rifiuta tanto l’angelicazione della donna quanto l’intimismo spirituale della lirica amorosa. Egli ridicolizza il platonismo dei poeti toscani, e polemizza direttamente con Dante, accusandolo di superstizione e mistificazione. Cecco è l’anti-stilnovista per eccellenza: nel suo universo poetico non vi è spazio per l’amore come elevazione morale, ma solo per un fenomeno naturale e regolato dalle stelle, come ogni altra forza della natura. In questo si avvicina, per certi versi, al razionalismo cavalcantiano, ma lo porta alle estreme conseguenze: non c’è mistica, non c’è grazia, solo leggi naturali e influssi celesti. La sua condanna al rogo da parte dell’Inquisizione nel 1327 per eresia religiosa non può prescindere dalla sua personalità polemica, dalla sua sfida ai dogmi e dalla sua insistenza sulla conoscenza scientifica come via alla verità, in un’epoca in cui il confine tra scienza e magia era sottile e pericoloso.

 

Il dialogo, spesso implicito, tra Guittone, Cecco e gli Stilnovisti, può essere sintetizzato come uno scontro tra tre visioni del mondo: Guittone d’Arezzo rappresenta l'intellettuale cristiano medievale che tenta di moralizzare la poesia, vedendo nell’amore un pericolo da governare con la ragione e la religione; gli Stilnovisti vedono l’amore come via alla conoscenza e alla salvezza, recuperando la lezione trobadorica ma sublimandola in una dimensione metafisica e spirituale. La poesia è forma di rivelazione, e lo stile riflette l’elevazione dell’anima; Cecco d’Ascoli, infine, distrugge entrambe queste illusioni: il suo materialismo poetico è un grido solitario contro il sentimentalismo stilnovista e l’ortodossia cattolica, e la sua opera è il frutto di un sapere universale, ma troppo libero per essere accettato dalla sua epoca.

 

Dante, figura centrale di questa fase storica e letteraria, prende posizione netta: rifiuta Guittone come modello poetico e lo presenta nel Purgatorio come simbolo di una poesia ormai superata. Ma respinge anche la radicalità di Cecco, preferendo integrare nella sua visione la fede cristiana, la filosofia e la poesia, in un’armonia che ambisce all’universale. Eppure, Dante non ignora la lezione di Cecco, né quella di Guittone: le utilizza come termini di confronto, come fasi necessarie del proprio percorso poetico e spirituale. La sua adesione iniziale allo Stilnovo è solo il primo passo di una progressiva riflessione sulla poesia, che culminerà nella Commedia, dove amore, fede, scienza e politica trovano un loro equilibrio superiore.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]