[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 211 / LUGLIO 2025 (CCXLII)


moderna

SULLE Guerre "legittime"
Mutamenti dell'ideologia bellica nell’Europa moderna

di Francesco Biscardi

 

In questi ultimi mesi stiamo assistendo a martellanti dibattiti sulla liceità/necessità o meno di aumentare, un po’ in tutti i Paesi europei, le spese militari a un 5% dei Pil nazionali, a causa di presunte minacce alla sicurezza e all’indipendenza di tali Stati. Non pochi politologi, intellettuali ed esperti di geopolitica lamentano come simile politica di “riarmo” non sia altro che un escamotage per investire in industrie meccaniche e manifatturiere in crisi o per sostenere apparati bellici e mercati delle armi, adombrando interessi economici dietro simili timori.

In siffatti momenti di incertezza riflettere sulla guerra in un arco cronologico che si suole definire “preindustriale” offre vari spunti per tentare di comprendere talune caratteristiche proprie anche della contemporaneità: i legami fra guerra e politica, fra guerra e tecnologia, fra guerra e consenso, fra guerra ed economia... Non a caso, è durante l’Età moderna che si scorge la costruzione del moderno concetto di “Stato”, proprio quando, nel contempo, furono introdotte importanti innovazioni sia nelle tecniche che nel modo di condurre i conflitti.

 

In tale periodo, infatti, l’Europa cambiò modo di combattere: le armi da fuoco diventarono più efficienti, si passò dall’archibugio al moschetto e alla baionetta, le fortificazioni furono perfezionate e irrobustite, gli eserciti crebbero in dimensioni, passando da prevalenti milizie mercenarie a reparti allineati e disciplinati, mentre sul mare le galee lasciarono il posto a velieri e vascelli con centinaia di cannoni. Ovunque servirono uomini addestrati, materiali di qualità e ogni apparato bellico richiesto dai tempi, saldando così il legame fra guerra, economia e politica, assurgendo la prima ad “affare di Stato”, e spingendo alla stesura di notevoli testi sull’argomento: trattati, carteggi, testimonianze autobiografiche e riflessioni di vario genere.

 

Sorvolando sui progressi bellici, è qui interessante soffermarsi su un momento in cui qualcosa iniziò a cambiare nel modo di vedere i conflitti. Infatti, grossomodo fra Sei e Settecento, prese corpo l’idea di concepire la necessaria esistenza di un diritto internazionale comunemente accettato e di guerre “legittime” solo se combattute fra “pari”, ovvero fra Stati sovrani.

 

Mentre durante il Medioevo, fino alle soglie del XVII secolo, aveva dominato la giustificazione della necessità bellica con il concetto di “guerra giusta”, risalente a Sant’Agostino, secondo cui alcuni conflitti potevano essere ritenuti necessari per volere divino (come quelli presenti nelle Sacre Scritture per il bene del popolo ebraico). In aggiunta, sin dai tempi del primo cristianesimo, era stata usata l’espressione “milites Christi” per designare i martiri e chi rifuggiva il mondo per chiudersi in contemplazione ascetica, come i monaci, dopodiché, a iniziare dal pontificato di Gregorio VII nell’XI secolo, furono aggiunte locuzioni quali “militia Christi” per indicare coloro che combattevano per una “giusta causa” individuata dalla Chiesa, e l’idea di una “guerra giusta” trovò piena attuazione nelle crociate e nelle guerre condotte contro non solo gli “infedeli”, ma in generale contro ogni nemico additato come tale dalla Santa Sede.

 

A completare il quadro, le guerre che susseguirono alla Riforma protestante e alle scissioni che si ebbero nella Cristianità, comportarono una giustificazione in chiave religiosa, in pratica, di quasi tutti i conflitti che imperversarono in Occidente fino alla Guerra dei trent’anni (1618-48), sovente salutata come l’ultimo degli scontri religiosi. Certo è sempre opportuno relativizzare i motivi “sacri” quando si parla di guerre, in quanto gli stessi sono perlopiù pretestuosi e celanti più importanti interessi politici, strategici ed economici. Tuttavia, è fuori di dubbio che la religione sia anche uno “strumento di governo” e che in passato, come del resto anche in talune circostanze contemporanee, anche la fede sia stata protagonista di vari conflitti.

 

Fu comunque nel periodo susseguente la pace di Westfalia del 1648, a chiusura della sopraccitata Guerra dei trent’anni, che la guerra divenne compiutamente un “affare di Stato”. Già Machiavelli e Guicciardini avevano confinato la guerra ad una dimensione prettamente “laica”, poi Alberico Gentili, nel De Jure Belli del 1588, aveva ragguagliato su come essa fosse da considerarsi giusta e legittima non se portata avanti in nome di Dio, bensì se condotta fra Stati sovrani, legittimando un “recursus ad arma” per una propria necessità di difesa o per ristabilire una pace interna precedentemente negata.

 

Successivamente teorici come Samuel von Pufendorf, Cornelis van Bynkershoek, Hugo Grozio, Emerich de Vattel e Raimondo Montecuccoli, seppur affrontando diverse questioni e, ciascuno, con sfumature di ragionamento differenti, perfezionarono tale visione della guerra come laica e legittima quando condotta da autorità sovrane, da organi politici egualmente indipendenti. Furono, di contro, considerate illegittime e criminose le azioni belliche di pirati, briganti, ribelli e gruppi di privati.

 

Ad accomunare la gran parte dei teorici dell’arte della guerra secenteschi e primo settecenteschi fu proprio l’idea che l’etica e la religione non dovevano trovare spazio negli affari bellici, sulla linea dell’esistenza di una “ragion di Stato” il cui teorico fondatore è generalmente considerato Machiavelli.

 

In particolare, Grozio (1583-1645), nel De Iure Belli ac Pacis del 1625, contribuì ad una sistematizzazione teorica che può essere presa a fondamento del nascente diritto internazionale quale insieme di regolamenti accettati da tutti gli Stati cristiano-occidentali. Nell’opera, fra le asserzioni più importanti, vi sono princìpi come la condanna dell’attacco preventivo fra Stati sovrani solo dietro pretesto di minaccia di aggressione o di crescita in potenza del rivale, mentre si reputa legittima una guerra, dopo aver tentato ogni via pacifica, resasi necessaria per respingere un attacco, una violazione del diritto internazionale, o se condotta in risposta ad una grave violazione. Il giurista fu altresì conscio dell’importanza della neutralità, e sottolineò come fosse opportuno astenersi dal sostenere una fazione, se non coinvolti direttamente.

 

Maggior concretezza e lucidità fu poi espressa da Carl von Clausewitz (1780-1831), forse il più importante teorico dell’arte militare d’epoca moderna, il quale magistralmente concettualizzò il nesso guerra-politica, evidenziando come la prima sia la prosecuzione della seconda “con altri mezzi”: si arriva al confronto bellico quando non vi risulta essere più spazio per la diplomazia. Nel più importante libro della sua opera Sulla guerra, l’VIII, scrisse penetranti parole che dovrebbero far riflettere ancora oggi: "Nella moltitudine degli staterelli medievali, l’interesse immediato e naturale, la prossimità, il contatto, i vincoli di parentela, le reciproche conoscenze personali avevano impedito a ciascun individuo di ingrandirsi rapidamente[...]. Gli interessi politici, le simpatie e le antipatie avevano finito [nei secoli] con lo svilupparsi a sistema raffinato, si che non si poteva più sparare un colpo di cannone senza la partecipazione di tutti i Gabinetti".

In poche parole, la guerra, argomentava Clausewitz, da faccenda interessante pochi individui e regni di piccole dimensioni, si era trasformata in un grande affare di Stato, coinvolgente ogni Gabinetto, ogni ministero di governi sempre più complessi, mentre era sempre più strettamente interrelata all’economia.

 

Anche se, nel dettaglio, alcune idee dei pensatori moderni possono apparire contraddittorie e non esenti da rilievi, sono comunque importanti per capire come la guerra sia, per quanto possa essere triste dirlo, una normalità: è una delle prime industrie della società, sempre presente nella lunga storia umana, una costante, sempre in grado di assorbire immense risorse finanziarie, materiali e umane.

I caratteri e le modalità dei conflitti, intrecciandosi con le ragioni del commercio e della politica economica degli Stati, si sono rivelati così complessi da spiegare come mai, sia ieri che oggi, appaia difficile scindere l’idea di una guerra ingiusta e illegittima da una giusta e legittima, ammesso che davvero ci possa essere una “ragione” in guerra e che l’unica verità non sia sintetizzabile nel principio espresso nel Cinquecento da Erasmo da Rotterdam: “dulce bellum inexpertis”, ovvero “la guerra è piacevole solo per chi non la conosce”.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bianchi P., Del Negro P. (a cura di), Guerre ed eserciti nell’età moderna, Il Mulino, Bologna, 2018.

Brunelli G., La guerra in età moderna, Laterza, Bari, 2021.

Cardini F., Quell’antica festa crudele. Guerra e cultura della guerra dal Medioevo alla Rivoluzione francese, Il Mulino, Bologna, 2013.

Di Rienzo E., Il diritto delle armi. Guerra e politica nell’Europa moderna, FrancoAngeli, Milano, 2005.

Von Clausewitz C., Della guerra, a cura di Rusconi G.E., Einaudi, Torino, 2000.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]