N. 71 - Novembre 2013
(CII)
LA GUERRA NELL’ETÀ MODERNA
CONFLITTI ARMATI O SOCIALI?
di Anna Grazia De Mango
La
parola
d’ordine
della
rivoluzione
americana
fu
“no
tax
without
representation!”.
Con
questa
espressione,
letteralmente
tradotta
in
“niente
tasse
senza
rappresentanza”,
le
colonie
americane
chiesero
anzi,
pretesero
una
rappresentanza
sociale
all’interno
del
potere
decisionale
del
parlamento
britannico.
Vista
la
loro
totale
esclusione
e
nell’interesse
della
propria
vita
politica,
economica
e
sociale,
decisero
di
insorgere
brutalmente
con
il
famoso
“tea
boston
party”.
Pochi
anni
più
tardi
si
svolse
in
Europa
un’altra
delle
più
grandi
rivoluzioni
della
storia,
quella
francese.
Anche
in
questa
nazione
la
miccia
del
conflitto
fu
la
mancanza
della
convocazione
degli
Stati
Generali
che
avevano
da
sempre
permesso
ai
vari
strati
sociali
di
esprimere
le
loro
problematiche
e
partecipare
alla
vita
politica
della
nazione.
Proviamo
a
girare
la
lente
d’ingrandimento
storica
non
più
verso
i
grandi
personaggi
i
cui
nomi
sono
pieni
i
libri
di
storia,
ma
verso
coloro
che
affrontarono
umanamente
codesti
conflitti
cioè
il
popolo.
Nel
Settecento
esso
non
si
presenta
più
come
una
massa
indistinta
di
uomini
ma è
capace
di
dar
voce
ai
propri
pensieri,
dapprima
nascosti
all’interno
dei
salotti,
successivamente
resi
pubblici
nei
caffè
o
nelle
prime
gazzette,
cosi
odiate
dai
sovrani
da
impedire
per
secoli
la
libertà
di
stampa.
Il
maggiore
filosofo
vivente
Habermas
colloca
proprio
in
questo
secolo
la
nascita
dell’opinione
pubblica,
una
vera
e
propria
arma
contro
la
volontà
dispotica
dei
sovrani,
infatti
per
la
prima
volta
nella
storia
il
popolo
inizia
ad
avere
un
opinione
di
sé,
a
parlare
dei
suoi
interessi,
dei
suoi
bisogni,
delle
sue
problematiche
e
soprattutto
a
dare
delle
soluzioni,
che
il
più
delle
volte,
erano
cosi
lontane
dai
piani
attuati
dai
sovrani.
Questo
produsse
nel
popolo
enormi
dubbi
sulla
figura
del
re,
sempre
visto
come
espressione
di
Dio
sulla
terra,
ma i
suoi
comportamenti
e le
sue
decisioni
apparivano
cosi
lontane
dal
bene
comune
che
la
gente
non
poté
fare
altro
che
metterlo
alla
gogna.
Tutto
ciò
fu
alimentato
dal
movimento
più
importante
del
secolo,
rappresentato
dall’Illuminismo.
Questa
forte
corrente
letteraria,
pittorica,
musicale,
sociale
e
politica
ha
liberato
l’Europa
dalle
antiche
credenze
medievali
che
ancora
portava
dietro
di
sé,
ed
ha
staccato
in
maniera
netta,
il
cordone
ombelicale
con
gli
antichi
scrittori
classici,
cercando
di
spronare
l’uomo
moderno
a
ricreare
capolavori,
ricercando
quell’ardore
e
quelle
antiche
muse
che
avevano
ispirato
cosi
bene
gli
uomini
antichi.
Con
la
smania
di
studiare
il
passato,
l’uomo
moderno
non
si
accorgeva
delle
potenzialità
che
aveva
intorno
a
sé,
così
svegliato
dal
suo
tepore,
iniziò
a
dedicarsi
il
più
possibile
ad
argomenti
finanziari,
letterari,
sociali
fino
alla
politica,
tutto
diventò
pubblico.
Pubblico,
una
parola
importante,
anche
sminuita
nell’era
contemporanea
ma
nel
suo
significato
originario
tende
a
rappresentare
tutto
ciò
che
riguarda
lo
stato,
i
suoi
funzionari
pubblici,
le
sue
aziende
pubbliche
o i
suoi
servizi
ed
enti
pubblici.
Ma
lo
stato
chi
è?
Il
popolo
è lo
stato,
e
senza
di
esso
non
potrebbe
esistere.
Assimilata
questa
idea,
il
popolo
capì
le
proprie
potenzialità
e si
pose
finalmente
come
padrone
del
suo
futuro.
Lo
dimostrano
infatti
le
continue
richieste
del
popolo
inglese
ad
avere
maggiori
informazioni
sui
dibattici
parlamentari.
Ci
volle
quasi
un
secolo
per
vedere
nel
parlamento
inglese
posti
fissi
dedicati
ai
cronisti.
Quindi
alla
base
dei
malumori
moderni
c’è
sempre
una
problematica
d’identità,
i
conflitti
rappresentano
sicuramente
la
parte
storica
più
importante
ma
dietro
le
battaglie,
le
rivoluzioni
è
presente
un
popolo
che
cerca
di
alzare
la
testa,
di
vedere
ascoltati
i
propri
interessi
e
non
calpestati
da
un
re o
da
una
classe
politica
dedicata
solo
alle
proprie
vicissitudini.
