N. 17 - Ottobre 2006
LA
GUERRA DEI 33 GIORNI
Vicende e analisi
del conflitto
di
Daniel Arbib Tiberi
E’ così che il mondo
giornalistico e gli esperti hanno deciso di denominare
la nuova e drammatica crisi mediorientale. Il sesto
conflitto nell’area, il secondo combattuto nella terra
dei cedri. Sul campo rimangono oggi quasi mille morti
libanesi (tra miliziani e civili) e centinaia di
israeliani.
Certamente per la diplomazia
internazionale sono stati giorni convulsi. Poco tempo
dopo lo scoppio del conflitto, la Conferenza di pace
indetta in pompa magna a Roma dal Ministro degli
Esteri Massimo D’Alema, ha lanciato pubblicamente
l’idea di una forza di interposizione da inviare lungo
la frontiera israelo-libanese. Al di là di questa
importante proposta però l’assise, si è praticamente
risolta in un giro di telecamere pronte a raccogliere,
più le soddisfazioni personali degli organizzatori che
veri risultati concreti.
Materialmente solo dopo
quasi un mese dall’inizio del conflitto, il Consiglio
di Sicurezza dell’Onu è riuscito a far approvare una
risoluzione, precisamente la 1701, che ha permesso
alle due parti di giungere ad un fragile cessate il
fuoco. La risoluzione approvata, ha riconosciuto
esplicitamente le responsabilità di Hezbollah nello
scoppio del conflitto e ha recepito la proposta di
inviare una forza multinazionale lungo le dodici
miglia tra la zona di confine e il fiume Litani.
In questi giorni stiamo
abbiamo quindi assistito alla nascita e alla
composizione di tale contingente internazionale. In
tal senso ci sono duplici considerazioni da fare:
1 - diversi paesi
musulmani hanno chiesto e ottenuto di poter prenderne
parte con le loro brigate. Israele da parte sua ha
espresso alcuni dubbi sulla genuinità della proposta.
Se ovviamente nulla si può eccepire sulle buone
intenzioni della Turchia, delle ragioni di diniego
possono venir riconosciute a Tel Aviv se si prendono
in considerazione le offerte malesi ed indonesiane,
due paesi che non solo non riconoscono Israele ma
che, diverse volte, hanno pronunciato discorsi
aggressivi nei suoi confronti;
2 Italia e Francia si
sono scontrare, nonostante il rifiuto di ammetterlo
pubblicamente, sulla questione del comando della
missione stessa. L’Italia, molto attiva nei giorni del
conflitto e pronta ad inviare sin da subito oltre 2500
soldati, ha avanzato immediatamente la sua candidatura
per la guida della Unifil 2. Da parte sua il
Presidente Chirac si è presto detto pronto ad armare
2000 uomini (dei 500 proposti inizialmente) e a farli
partire in pochi giorni alla volta di Tiro. Risultato
di questo tira e molla è stato l’accordo sul cambio
della guardia tra Francia ed Italia da attuarsi nel
2007, con la conferma a comandante sul campo
dell’attuale generale francese Pellegrini. Nel
complesso rimane comunque triste pensare che, in una
Europa unita che si è data dei propri battaglioni di
circa 60000 uomini proprio per missioni di peace
keeping, non si sia riusciti nuovamente, a mettere da
parte gli interessi particolari in favore di quelli
generali.
Rimane da analizzare infine
chi, tra Israele ed Hezbollah, ha realmente vinto la
guerra.
In questi giorni tanto
si è parlato della disfatta di Gerusalemme e della
pesante sconfitta psicologica subita da Tzhaal. A mio
modo di vedere questa lettura è vera solo in parte.
Sotto il profilo militare Israele, soprattutto negli
ultimi giorni con le avanzate via terra per
distruggere i bunker di armi, ha praticamente
stravinto. In nessun caso c’è stata una battaglia sul
campo in qui le forze del “Partito di Dio” siano
riuscite a resistere a quelle con la stella di David
(e non perché male armate). Piuttosto il ragionamento
da fare è un altro. Come ci insegna Clausewitz la
guerra rappresenta la continuazione della politica con
altri mezzi. Intendiamoci, il generale prussiano era
tutt’altro che guerrafondaio. Egli sottolineava solo
che, senza il comando supremo della politica, l’azione
militare non ha senso.
E’ sotto questo aspetto che
dobbiamo analizzare il recente conflitto, Il premier
israeliano Olmert e il ministro della difesa Amir
Peretz hanno posto come obiettivo per la vittoria la
cancellazione di Hezbollah dalla faccia della terra.
Tale obiettivo, sebbene per alcuni molto auspicabile
(anche per chi scrive), in realtà è apparso sin
dall’inizio impossibile da ottenere. Il conflitto si
combatteva tra forze in divisa e gruppi paramilitari
vestiti come civili e pronti a farsi scudo di donne e
bambini se necessario. Oltre cinquecento sono stati i
miliziani libanesi morti e certamente, questo ha
rappresentato un duro colpo per il movimento sciita.
Ma ucciderli tutti, si doveva capire dall’inizio, era
un obiettivo praticamente impossibile, se non altro
considerando il radicamento nel territorio libanese di
Hezbollah e la protezione concessa ai suoi leaders da
Iran e Siria.
Sempre per Clausewitz sono
tre le componenti che dominano durante il conflitto:
quella razionale (la politica), quella a-razionale
(l’esercito) e quella irrazionale ( il popolo). Se le
tre componenti non si supportano vicendevolmente il
conflitto diventa quantomeno uno stallo. Oggi Israele
si interroga sul perché all’immane sacrificio
sopportato dai ragazzi dell’esercito e dal popolo non
sia corrisposto una lungimirante visione politica. E’
il momento per l’unica democrazia del Medioriente di
fare i conti con se stessa, di analizzare il perché
della drastica riduzione delle spese militari negli
ultimi anni e della scarsa attenzione apposta alla sua
sicurezza esterna (al di fuori del contesto
palestinese). |