.

.

HOME                                                        PROGETTO                                                        redazione                                                        contatti

 

RUBRICHE

.

attualità

.

ambiente

.

ARTE

.

Filosofia, religione

.

Storia & Sport

.

Turismo storico



 

Periodi

.

Contemporanea

.

Moderna

.

Medievale

.

Antica



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

 

.

CONTEMPORANEA


N. 5 - Maggio 2008 (XXXVI)

LA GUERRA DEI TRENTUNO ANNI

LE CONSEGUENZE DELLA PACE - Parte VIII

di Cristiano Zepponi

 

I lavori della conferenza di pace si aprirono il 18 gennaio del 1919 nella reggia di Versailles, presso Parigi, e si protrassero per un anno e mezzo; all’inizio, era opinione diffusa che la sistemazione dell’Europa post-bellica si sarebbe ispirata ai “quattordici punti” indicati da Wilson e che le nuove frontiere avrebbero tenuto conto del principio di nazionalità.

 

In realtà, l’applicazione del programma si rivelò assai problematica, in un’Europa dove i gruppi etnici si trovavano spesso intrecciati e mischiati fra loro; per giunta, restava la primaria necessità di punire gli sconfitti, e premiare i vincitori, con buona pace del principio di autodeterminazione dei popoli.

 

Il trattato di pace con la Germania fu firmato il 28 giugno 1919: si trattò di un vero e proprio diktat, subito sotto la minaccia dell’occupazione militare e del blocco economico, che prevedeva la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, il passaggio alla ricostituita Polonia dell’Alta Slesia, la Posnania più una striscia della Pomerania (il “corridoio polacco”) che permettesse ai polacchi di affacciarsi sul Baltico e di accedere al porto di Danzica, trasformata in “città libera”. La Germania sconfitta perse insomma il 13% del territorio prebellico ed il 10% della popolazione del 1910, il 15% della terra arabile, i tre quarti dei giacimenti di minerale ferroso, quasi tutto lo zinco ed un quarto delle risorse di carbone.

 

Fu inoltre stabilito che la regione carbonifera della Saar, inoltre, fosse occupata per quindici anni dai francesi; in più, la Germania dovette cedere la marina da guerra, grandi quantità di armi e munizioni, la gran parte della flotta mercantile, 5.000 locomotive, 150.000 vagoni ferroviari, 5.000 autocarri a motore e varie altre merci, oltre, naturalmente, all’impero coloniale (spartito tra Francia, Gran Bretagna e Giappone).

 

I tedeschi dovettero accettare l’abolizione del servizio di leva, la riduzione dell’esercito a 100.000 uomini armati alla leggera (senza artiglieria, carri armati o aviazione) e la “smilitarizzazione” della valle del Reno: un duro colpo per l’orgoglio militare dell’ex-impero guglielmino.

Tuttavia, la clausola più umiliante fu costituita dall’articolo 231, che dichiarava che lo stato tedesco accettava “la responsabilità della Germania e dei suoi alleati per le vittime e i danni […] causati dalla guerra”: una giustificazione, in sostanza, delle pretese degli Alleati in tema di “riparazioni monetarie”.

 

Per stabilirne l’entità, dati i forti disaccordi tra i vincitori, fu nominata una Commissione incaricata di presentare un rapporto entro il 1° maggio del 1921;Questa non è la pace, ma un armistizio di vent'anni" ebbe a dire, con rara preveggenza, il maresciallo francese Ferdinand Foch.  

 

John Maynard Keynes, consigliere economico della delegazione britannica alla conferenza di pace, rimase talmente amareggiato da presentare le dimissioni dal suo incarico e dedicarsi ad un testo di grande successo, “Le conseguenze economiche della pace”, in cui prevedeva conseguenze disastrose per tutta l’Europa se le riparazioni non fossero state quantomeno riviste.

 

L’impero asburgico, politicamente anacronistico, fu smembrato con il trattato di Saint-Germain-en-Laye (10 settembre 1919) sulla base del principio di nazionalità: la nuova Repubblica d’Austria si trovò ridotta in un territorio di appena 85.000 km, con sei milioni e mezzo di cittadini (di cui più di un quarto risiedevano a Vienna, la capitale ormai sproporzionata rispetto alle potenzialità del piccolo Stato); e l’indipendenza austriaca (per scongiurare l’ipotesi di un’unificazione con la Germania) fu affidata alla tutela della Società delle nazioni. Anche l’Ungheria (trattato del Trianon, 4 giugno 1920) fu trattata da sconfitta, e perse tutte le regioni slave fin’allora controllate, oltre ad alcune zone prevalentemente magiare: in complesso, dovette rinunciare al 75% del proprio territorio, oltre ad almeno 3 milioni di ungheresi.

 

A trarne vantaggio furono soprattutto l’Italia ed i popoli slavi: i polacchi della Galizia si unirono alla Polonia, i boemi e gli slovacchi confluirono nella Repubblica di Cecoslovacchia, uno stato federale che accoglieva anche tre milioni di tedeschi (Sudeti), gli abitanti di Croazia, Slovenia e Bosnia-Erzegovina si unirono a Serbia e Montenegro formando la Jugoslavia.

 

Alla fine della guerra l'Impero Ottomano, come quello Austro-Ungarico, cessò di esistere (trasformandosi in Stato nazionale turco) e venne in massima parte suddiviso (trattato di Sèvres, 11 agosto 1920) tra le potenze vittoriose: Francia e Regno Unito ottennero gran parte del Medio Oriente (Siria, Libano, Giordania, Iraq), e ai britannici venne concesso il mandato sulla Palestina sotto l'egida della Lega delle Nazioni, mentre la Grecia ottenne la regione di Smirne.

 

La Bulgaria (con il trattato di Neuilly, firmato il 27 novembre del 1919) venne privata dell'accesso al mar Egeo (a vantaggio della Grecia), della Dobrugia (assegnata alla Romania)e della Macedonia settentrionale (divenuta parte della Jugoslavia).

 

L’Italia acquisì il Trentino-Alto Adige, Trieste e l'Istria (territori complessivamente solo per metà etnicamente italiani: a maggioranza non italiana stando al censimento austriaco del 1910-1911, a maggioranza italiana secondo quello italiano del 1921), ma manifestò da subito le proprie recriminazioni di fronte a quello che sembrava un tradimento del Patto di Londra, in base al quale il Paese era entrato in guerra.

 

Le potenze occidentali, com’è naturale, imposero l’annullamento del trattato di Brest-Litovsk tra Germania e Russia, ma non riconobbero la Repubblica Socialista (InStoria - La rivoluzione russa) - che non partecipò alla conferenza - ed anzi cercarono di sostenere le forze controrivoluzionarie. Riconobbero e protessero invece le nuove repubbliche indipendenti formatesi con l’appoggio tedesco nei territori baltici perduti dalla Russia: Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania.

 

La Russia, come la Germania, si trovò così circondata da una cintura di Stati-cuscinetto fortemente ostili, che facevano da “cordone sanitario” contro un eventuale diffusione del contagio rivoluzionario; ma questi “nani”, in previsione futura, avrebbero potuto trasformarsi in altrettante prede per i “giganti” dell’area.

Agli otto nuovi Stati sorti dalle rovine della guerra si aggiunse, nel 1921, lo Stato libero d’Irlanda (in realtà semi-indipendente), creato per concessione della Gran Bretagna.

 

I trattati, si sa, valgono ben poco se abbandonati a se stessi; per questo, nelle intenzioni dei vincitori, il rispetto e la salvaguardia dei patti (e della pace) furono affidati all’opera della sopracitata Società delle Nazioni, già proposta da Wilson nei “quattordici punti” ed ufficialmente accettata da tutti i partecipanti alla conferenza di pace: il nuovo organismo sopranazionale prevedeva la rinuncia da parte dei membri alla guerra come mezzo di risoluzione dei contrasti, il ricorso all’arbitrato ed a sanzioni contro gli aggressori.

Tuttavia, nacque già fortemente debilitato da due fondamentali esclusioni, oltre a quelle dei Paesi sconfitti: quella della Russia Sovietica e, ancor più grave, degli Stati Uniti – che ne erano stati promotori. Nel marzo 1920 il Senato americano, interpretando gli umori dell’opinione pubblica – che ritornava a sostenere una politica isolazionistica – respinse l’adesione alla Società delle Nazioni ed anche l’impegno di garanzia assunto da Wilson sui nuovi confini franco-tedeschi. Così facendo, quello che poteva essere uno strumento d’equilibrio fu consegnato alla decadente egemonia di Francia e Gran Bretagna, e non riuscì a svolgere il compito per cui era stato creato.

 

Ancora più gravi furono le conseguenze economiche, di cui – semplicemente – i vincitori non tennero conto. I nuovi Stati sorti nell’Europa orientale, gelosi uno dell’altro e timorosi dell’egemonia delle grandi potenze, affermarono il carattere nazionale delle loro economie con il blocco dei trasporti e l’obiettivo dell’autosufficienza, manifestamente irraggiungibile. La Gran Bretagna, un tempo campione e paladina del libero commercio, imposero dalla guerra una serie di dazi poi trasformatisi in una politica protezionistica ufficiale, gli Stati Uniti, già dotati di dazi pre-bellici, approvarono l’Emergency Tariff Act nel 1921 ed il Fordney McCumber Tariff Act l’anno seguente, imponendo severe restrizioni alle importazioni da un’Europa bisognosa di aiuti.

Il nazionalismo economico si andò insomma ad aggiungere ai disordini monetari e finanziari provocati dalla guerra (tra cui la sospensione della convertibilità della moneta in oro – o “gold standard” – che era stata la base dell’equilibrio monetario dei decenni precedenti, ed il passaggio al “corso forzoso”) causando una drastica contrazione degli scambi internazionali. In più, gli States presero da subito ad insistere sulla restituzione totale dei prestiti di guerra, che gli alleati si aspettavano di veder cancellati alla fine del conflitto (anche alla luce del minor impegno diretto degli americani nel conflitto): in totale, il debito di guerra interalleato ammontava ad oltre 20 miliardi di dollari, metà dei quali elargiti dagli Stati Uniti.

A peggiorare la situazione, alla fine dell’aprile 1921, la Commissione per le riparazioni informò i tedeschi che il totale da restituire ammontava a 132 miliardi di marchi oro, equivalenti a 33 miliardi di dollari: più del doppio del reddito nazionale tedesco.

 

Ma la più rilevante tra le modificazioni prodotte dal conflitto fu costituita dal declino tecnico, economico e culturale che dalla Grande Guerra inghiottì la volontà di potenza della “vecchia Europa”, e la guerra “contribuì in maniera assai maggiore di qualsiasi altro singolo evento a consolidare l’impressione della crisi, di forze fuori di ogni controllo, di un mondo perduto per sempre […] il fatto puro e semplice che la guerra ci fosse stata, che i popoli che si consideravano portatori della civiltà moderna si fossero abbandonati a una simile orgia di sangue distruzione, rimetteva in discussione la capacità di questi stessi Stati di ricostruire il mondo che avevano distrutto. L’appello a volare alto, sul terreno morale, lanciato con tanta sicurezza dagli europei prima del 1914, suonava davvero insulso quattro anni dopo. L’idea di progresso come qualcosa in qualche modo inarrestabile e prestabilito fu moralmente annientata”, scrisse Richard J. Overy.

 

Le cupe previsioni di Keynes e di Foch cominciarono, da subito, a realizzarsi; “Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono da queste macerie di pietra? Soltanto un cumulo di immagini infrante”, si rispose il poeta T.S. Eliot nella Terra desolata del 1922.

 

 

 

Collabora con noi

.

Scrivi per InStoria



 

Editoria

.

GB edita e pubblica:

.

- Edizioni d’Arte

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Manoscritti inediti

.

- Tesi di laurea

.

Catalogo

.

PUBBLICA...



 

Links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]

.

.