.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

contemporanea


N. 94 - Ottobre 2015 (CXXV)

L’Avvocato e il Principe irrequieto
Due siciliani nell’Italia dei misteri

di Gaetano Cellura

 

Niente si può immaginare di più diverso e contrastante del loro modo di vivere. Uno era riservatissimo e potente. Forse più potente di quanto si è soliti crederlo. L’altro avventuroso, dandy, amante della bella vita, dei viaggi e di tutto quanto, con una sola parola, può dirsi mondanità.

 

Uno era figlio legittimo; l’altro, figlio naturale, ha dovuto aspettare dodici anni per vedersi riconosciuto. Uno ha vissuto interamente la propria vita ed è morto nel proprio letto; l’altro è precipitato tragicamente, a trentanove anni, da un balcone dell’Hotel Eden di Roma. Omicidio o suicidio?

 

Eppure, questi due siciliani ne avevano di cose in comune. A partire dall’età: appena un anno di differenza. L’avvocato Vito Guarrasi era nato nel 1914 ad Alcamo; il principe Raimondo Lanza di Trabia l’anno dopo – e la Prima guerra mondiale ha avuto una decisiva importanza sulla sua venuta al mondo. Sono stati tutt’e due presidenti della squadra di calcio del Palermo negli anni Cinquanta. Il Principe di Trabia, amico della famiglia Agnelli, voleva farne la Juventus del sud. Tutt’e due si sono occupati di commercio dello zolfo. Hanno avuto amicizie influenti nel mondo della politica, dell’imprenditoria, della finanza, dell’aristocrazia, del cinema. E soprattutto – prima, durante e dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia – hanno goduto della fiducia degli americani.

 

“Don Vito”, come poi l’avrebbero chiamato, era a Cassibile, con il generale Castellano, il 3 settembre del 1943, per trattare l’armistizio del governo Badoglio con gli Alleati. Lui l’ha sempre negato, ma ha ammesso di aver partecipato in quei giorni ad altri importanti incontri per “stabilizzare” la Sicilia ed evitare derive comuniste.

 

Dell’avvocato Guarrasi si sa quasi tutto. La verità, le chiacchiere, i sospetti. Le indagini cui è stato sottoposto e i relativi proscioglimenti. L’iscrizione alla massoneria insieme ai discussi cugini Salvo, le accuse di suoi incontri con i capi dei Servizi e di conoscere molte verità su Sindona e Calvi. Ma a suo carico non c’è mai stato un processo o un’accusa per mafia. Solo una condanna per bancarotta fraudolenta da parte del Tribunale di Roma.

 

Chi era dunque questo “Mister X” siciliano che camminava con le mani incrociate dietro la schiena, come Enrico Cuccia di cui era parente? Un mafioso mai riconosciuto o solo un consulente, la mente giuridica dei veri potenti?

 

Marianna Bartoccelli e Francesco D’Ajala hanno scritto su di lui un libro che non poteva non intitolarsi L’Avvocato dei misteri, affidandone l’introduzione all’ex deputato del Pci Emanuele Macaluso, che lo conosceva dai tempi del variegato governo di Silvio Milazzo di cui don Vito è stato il “cervello economico”.

 

Di assolutamente vero c’è che Guarrasi viveva nell’ombra, sempre lontano (come Cuccia) dalla ribalta e che, già a ventisette anni, era il referente di Eisenhower in Algeria. Troppo, comunque, per un aiutante di campo del generale Castellano, per un semplice comandante del Servizio automobilistico dell’esercito. In Algeria l’accompagnava il tenente Galvano Lanza Branciforti di Trabia, suo amico, fratello di Raimondo, e anche lui figlio naturale del principe Giuseppe e della nobildonna veneta Madda Papadopoli Aldobrandini. L’avvocato Guarrasi gli amministrava il feudo di Trabia.

C’erano dunque rapporti di famiglia e di affari tra i Lanza e i Guarrasi, proprietari dell’azienda vinicola Rapitalà. Il questore Li Donni, in un rapporto riservato inviato nel 1971 alla Commissione Antimafia, scrive che il binomio Lanza-Guarrasi costituiva in Sicilia uno dei più forti gruppi economici di potere.

 

Di vero c’è anche che i consigli, i suggerimenti dell’avvocato di Alcamo sono stati indispensabili per chiunque, dal dopoguerra in avanti, ha deciso di fare affari in Sicilia e nel meridione. Compreso Enrico Mattei.

 

Partito da Palermo per combattere la Prima guerra mondiale, il principe Giuseppe Lanza aveva conosciuto in Veneto una signora aristocratica, Madda Papadopoli, anche lei sposata e con una figlia. Dalla loro relazione nacquero Raimondo e (cinque anni dopo) Galvano, per lungo tempo rimasti figli di nessuno non potendo per legge essere riconosciuti né dal padre né dalla madre al di fuori dai rispettivi matrimoni.

 

È stata la nonna paterna, Giulia Florio, a volerne a tutti i costi il riconoscimento giuridico. Quando il figlio Giuseppe morì nel 1927, lei s’era già recata da Mussolini per chiedergli di cambiare il Codice delle unioni equiparando i figli naturali ai legittimi. Con Madda Papadopoli concordò che il primogenito, Raimondo Lanza, sarebbe andato a vivere a Palermo, con lei; mentre il secondogenito, Galvano Lanza Branciforti, sarebbe rimasto in Veneto con la madre.

 

I palermitani chiamavano Raimondo “u Principi”. La nonna Giulia lo chiamava “Raimonduzzu”. Ma tanto l’ambiente aristocratico in cui viveva quanto la Sicilia si rivelarono presto spazi angusti per il suo fisiologico bisogno di libertà, avventura e fuga.

 

Dopo aver partecipato alla Guerra di Spagna e alla Seconda guerra mondiale (in cui, in una circostanza, fu d’aiuto alla Resistenza romana mentre il Re e Badoglio si mettevano al sicuro dai tedeschi) e dopo aver avuto rapporti d’amicizia con Galeazzo e Edda Ciano, conobbe il magnate greco Onassis, lo scià di Persia, gli Agnelli, tanti personaggi del mondo dello spettacolo. E sposò l’attrice Olga Villi, una delle più belle all’epoca. Da lei ebbe due figlie, Venturella e Raimonda.

 

La squadra di calcio, il rilancio della Targa Florio, l’invenzione del Calcio-mercato all’Hotel Gallia di Milano, gli immensi possedimenti (feudi, zolfare, tonnare) non placavano la sua ansia di viveur, l’irrequietezza e la depressione di cui in fondo forse soffriva. Si spostò così tra Roma e l’America; viaggiò per il mondo. E dilapidò un patrimonio.

 

I problemi veri per lui incominciano con la perdita di competitività delle miniere di zolfo e quando, per l’entrata in vigore della Riforma Agraria e per non essere più taglieggiato dai mafiosi, decide di vendere i grandi feudi. Ed erano i tempi in cui la mafia rurale spadroneggiava nelle campagne siciliane.

 

Su Raimondo Lanza di Trabia, l’uomo in frac della nota canzone di Modugno, sono stati scritti tre libri: Il principe irrequieto di Vincenzo Prestigiacomo; Il grande dandy di Marcello Sorgi; e, l’anno scorso, a quattro mani, Mi toccherà ballare di Raimonda Lanza e Ottavia Casagrande, la sua seconda figlia e la nipote.

 

Raimonda era ancora nel ventre materno quando lui cadde o fu buttato giù dal balcone dell’albergo. Non conobbe suo padre. E quest’ultimo libro parte dalla rivelazione che, prima di morire, lo zio Galvano Lanza fece proprio a lei: “Non si è ucciso”, le disse.

 

Una rivelazione che, insieme al ritrovamento di un atto di vendita delle zolfare di famiglia, di nessuna validità in quanto portava la sola firma del principe Raimondo, e al fatto che quel giorno fatale (30 novembre del 1954) lui avesse per la prima volta cambiato albergo a Roma (solitamente alloggiava al Grand Hotel), propone nuovi inquietanti interrogativi sulla sua tragica fine.

 

Forse chi amministrava i loro beni aveva sconsigliato a Galvano Lanza di venderli. Ingannandolo. Quanto all’albergo in cui il principe alloggiava, e dal quale (stando alla rivelazione della figlia e della nipote) è volato a testa in giù, vi erano presenti quel giorno dei petrolieri. E si sa che Raimondo Lanza di Trabia aveva deciso di abbandonare le tonnare e l’ormai improduttivo commercio dello zolfo per tentare l’avventura del petrolio.

 

Del suo patrimonio non restò nulla agli eredi. Altro fatto strano, le sue miniere di zolfo Trabia-Tallarita, nella provincia di Caltanissetta, la Regione Siciliana le lasciò fallire. Mentre per tutte le altre dell’Isola avviò un piano di salvataggio pubblico istituendo l’EMS (Ente Minerario Siciliano).



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.