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N. 26 - Luglio 2007

E IL GRANDE INVIATO ANDò IN RUSSIA

Parte IV

di Arturo Capasso

 

Enrico Emanuelli   Il pianeta Russia , pp. 280, Mondatori 1952

 

L’astronomia mi è sempre piaciuta; quando frequentavo  l’ultimo anno di liceo, la studiavo con grande impegno e poi, oltretutto,c’era un motivo sentimentale: la ragazza che  allora amavo abitava all’Osservatorio Astronomico

 

Mi recavo spesso su quella collina, nei pomeriggi freddi o nelle tiepide giornate di primavera.

 

Passeggiavamo nel lungo giardino, dove cresceva erba alla rinfusa e le edere aggrovigliate si arrampicavano sui muri antichi.

 

A sera, quando spuntavano le stelle e c’era la luna, si andava sotto le grandi cupole metalliche che si aprivano dall’alto e si puntava il grosso telescopio verso il cielo.

 

Vedevamo Giove e i pianeti medicei, scoperti da Galilei e dedicati ai Medici: Io, Callisto, Europa. E poi c’erano le Paparelle  con milioni di stelle .Una vera magia. Ma il tutto sempre visto dall’esterno, in superficie.

 

Come desideravo entrare nei segreti di quei pianeti e scoprirne l’intima struttura…

 

Enrico Emanuelli scrive del “pianeta Russia”; tutto visto come un astro, e perciò esaminato obiettivamente  Ma  visto rigorosamente solo dall’esterno.

 

Tuttavia, il libro è ricco di episodi  interessanti, pur risentendo del periodo in cui fu scritto .Una specie di mosaico, senza ulteriore rielaborazione.

 

Di rilievo l’ esperienza fatta nei tribunali della Capitale  e le osservazioni  sui rapporti fra  Chiesa Ortodossa e  Stato.

 

Non più di tanto. Il vivo della vita  di quella gente e i loro stati d’animo non sono stati afferrati.

 

L’autore si muove in un clima psicologicamente freddo, volutamente staccato da lui, che è uno straniero.

 

Anche le sue pagine finiscono con l’accusare un tono di poca comunicativa, mettendo il lettore di fronte ad una ulteriore cortina di ferro.

 

In quegli anni c’era – è vero –il culto della personalità : regnava la diffidenza per le continue deportazioni di veri o falsi oppositori.

 

Ma era proprio quello il momento di raccogliere confessioni atte a rivelare il vero nascosto stato d’animo di quella gente.

 

Anche allora c’erano persone disposte a parlare; e avrebbero gettato una viva luce su tutta l’indagine dello scrittore.

 

Visitando una ex tipografia clandestina, incontra dei giovani operai che sembrano interessati a quello che prima era il luogo di attività rivoluzionaria  e che invece adesso è solo un museo: “se avessi raccontato a quei giovani che in Italia come in molti altri Paesi è inutile oggi organizzare tipografie clandestine, perché non si proibisce di stampare a nessuno quel che vuole stampare, non li avrei interessati.

 

Con molta probabilità avrei parlato loro di costumi e di usanze che non soltanto ignorano, ma di cui non sentono nessun desiderio” (pag. 161).

 

E’ vero, ma i limiti dello scrittore sono proprio questi: ha avvicinato persone  con rigida osservanza politica, senza alcuna idea di rottura verso il sistema.

 

Quanti si sono accostati a lui,  hanno tenuto gelosamente nascosti i propri pensieri.

 

Solo se si sta a lungo in Urss e si entra in amicizia con i sovietici si ascoltano cose che non si dicono certo al primo venuto.

 

In verità c’è qualche eccezione, data dal poveretto che ha alzato il gomito e si siede accanto a te sulla panchina del parco. Lui parla. Ma bisogna capirlo.

 

Non svelano  - ad Emanuelli – neppure l’innocente trucco delle fontane.

 

Infatti, in visita a Pietrodvariez scrive : “C’è, per esempio, una panchina che invita al riposo; ma se vi avvicinate il vostro peso metterà in  moto decine di invisibili fontanelle che vi rinchiudono sotto una cupola di acqua” (pag. 226)

 

E così crede la maggior parte dei visitatori; le cose stanno diversamente : proprio su quella panchina sta seduto un uomo che finge di leggere ; col piede aziona  l’apertura delle fontanelle.

 

Non si tratta, quindi, del peso  del visitatore.

 

Ormai  un occidentale non comunista  non è più visto come una rarità; negli ultimi anni si è avuta un’ apertura insperata.

 

Ci sono comitive di occidentali che ogni estate invadono la zona turistica che si spinge fino al Mar Nero.

 

I corrispondenti possono inviare i loro servizi direttamente dal proprio albergo, senza il nihil obstat che a volte arrivava nel cuore della notte e quindi troppo tardi. E possibile comprare giornali stranieri nei chioschi degli alberghi e in alcune edicole del centro.

 

Sono aperture  volute dal nuovo regime, ma ormai imprescindibili; il Festival della gioventù portò milioni di sovietici  - dalle piccole stazioni ferroviarie alle grandi arterie moscovite – a contatto con migliaia di giovani d’oltre cortina.

Quello fu il mio primo viaggio a Mosca. Il treno impiegò cinque giorni e quella esperienza è tuttora  viva nella mia mente.

 

Era fortissimo il desiderio di comunicare con l’Occidente, di sapere.

 

Era necessario , a questo punto , fare delle concessioni.

 

Ma era ancora lontano il tempo di un turismo di massa  dalla Russia; e più lontano il tempo di una libera  informazione, non più terribilmente monocromatica.

 

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