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N. 25 - Giugno 2007

E IL GRANDE INVIATO ANDò IN RUSSIA

Parte III

di Arturo Capasso

 

Carlo Levi: Il futuro ha un cuore antico, pp. 310, Einaudi,1956.

 

Anche lui – come abbiamo visto per gli altri inviati di terza pagina – non si stacca dal  cliché dei visitatori ufficiali, fra i quali ci sono giornalisti e scrittori.

 

C’è la  descrizione della camera d’albergo, del Mausoleo, del Gum, della Piazza Rossa., ma solo in Levi ho riscontrato una ingenuità quasi infantile, inattesa.

 

Appena arriva all’aeroporto, è preso in consegna da un certo Stepàn Gheorghievic, che  chiama affettuosamente Stjopa.

 

Costui gli dice garbatamente  che non bisogna  fare domande di un certo tono. Esempio: “Chiedo a Vania, il bambino, che mestiere  fa suo padre( Stepàn mi fa notare  che è una domanda, a suo avviso, un po’ indiscreta) – Fa l’autista- mi rispose”(pag. 82).

 

Chiede cosa mangia un signore nel ristorante e il nome d’un bacino minerario nei pressi di Rostov; Stjopa dice di non saperlo.

 

L’episodio acquista toni da melodramma: “A questo punto, con mia grande sorpresa e infelicità, e, debbo confessarlo, sgradevole senso di colpa, mi accorsi che Stepàn Gheorghievic Naumov piangeva, e, mentre le lacrime gli scendevano dagli occhi, mi diceva: - Le giuro che non lo so, che non so come si chiama quel bacino, e soprattutto che, in vita mia, non ho mai guardato nel piatto di uno che mangia”.

 

Qual è la sua reazione? Si sente colpevole, molto colpevole: “…dico a Stefano di perdonare  le mie domande indiscrete e cerco di consolarlo” (pag. 173).

 

Cosa sono questi pianti per domande innocenti? E siamo appena all’inizio. Come potrà continuare la sua inchiesta?

 

Io avrei chiesto – con molto garbo ma molta fermezza- la sostituzione della guida accompagnatore controllore. O si sentiva – lo  scrittore – membro dell’esercito della salvezza?

 

Come avrebbe potuto – con quella guida accompagnatore controllore –chiedere ad un semplice “compagno operaio “ se si trovava bene, se era soddisfatto?

 

Si, il povero Stjopa sarebbe svenuto.

 

Seguono incontri ufficiali, con l’onnipresenza dell’ accompagnatore.

 

Tranne qualche eccezione. Quando si tratta d’un personaggio noto super sicuro, si limita ad accompagnarlo e a riprenderlo. Così avviene per la visita  a Ilija Ehrenburg: “Stepàn venne fino al pianerottolo, aspettò con me  che io suonassi il campanello…appena la porta si schiuse, fuggì, per non lasciarsi vedere, a precipizio per le scale” (pag. 87).

 

In verità devo dire che in questo caso l’accompagnatore si comportò bene.

A me, infatti, capitò di sbagliare porta. E invece di trovarmi presso la casa di una ricercatrice dell’Istituto Marxismo Leninismo, dalla quale ero stato gentilmente invitato, capitai in un appartamento definito sistema corridoio:

ogni camera era abitata  da una intera famiglia e i servizi erano comuni a tutti i nuclei familiari.. Il problema della cucina era particolare. Si era costretti ad usare pentole con lucchetti, per evitare che la vicina arrabbiata e vendicativa vi mettesse un topo.

 

Io fui molto polemico con la mia ospite e le feci presente che quel modo di vita non andava bene. Mi rispose che la vita sarebbe cambiata, che ogni nucleo familiare avrebbe avuto un appartamento.

 

Obiettai candidamente: ma lei, professoressa, lei che crede in un futuro migliore per tutti, perché  non dà fino a quel momento un buon esempio e abita come loro, che magari non hanno una fede così incrollabile?

 

Ma torniamo al nostro inviato..

 

A sera, mentre i due scrittori – Ehrenburg  e Levi – stanno conversando, ecco che Stjopa telefona “per chiedermi se può mandarmi l’automobile”.

 

E  lo paragona a “una madre troppo premurosa” (pag. 87).

 

Bisogna notare che la casa di Ehrenburg si trova  all’altezza del monumento a Jurij Dolgoruki, che dista solo cinque minuti di cammino dall’ hotel Metropole,

ma  uno straniero in Russia- soprattutto se si tratta d’un personaggio famoso –

può avere degl’incontri poco raccomandabili. Può ricevere telefonate di anonimi interlocutori che gli chiedono un incontro riservato. E, infine, potrebbe scoprire molti aspetti della vita d’ogni giorno che è meglio tenere nascosti.

 

Questo – piaccia o no – è il compito ingrato dell’accompagnatore guida controllore, sia che l’ospite sia un comunista ortodosso o un giornalista amico.

 

Il Levi non l’ha capito e resta  nella sua ingenuità.

 

Tutto ciò che annota  sulla vita  e la soddisfazione dell’uomo sovietico dipende  da incontri  selezionati, opportunamente scelti.

 

La strategia solita e collaudata è confondere le idee e far apparire positiva una realtà negativa.

 

La vita di quel Paese gli sembra  a volte simile a quella di Torino, a volte simile a quella della Lucania. Malaparte ha ironizzato su questa ricerca di analogie li con  la città natale e con la regione dell’ esilio,che gli diede celebrità.

 

L’autore si muove dal Metropole di Mosca all’Astoria di Leningrado, con un ricco taccuino di visite a monumenti, musei, incontri con esponenti di associazioni di pittori e scrittori.

 

L’Astoria mi ricorda un episodio che mi piace riferire. Anch’io alloggiai in quello albergo, durante  l’anno accademico presso l’Università di Mosca.

 

Ero all’ultimo piano e verso mezzanotte non si riusciva  a dormire, perché c’erano comitive di russi ed americani  che schiamazzavano allegramente, con molta vodka in corpo.

 

Presi un bel secchio d’acqua, e giù, di botto. A modo mio avevo collaborato alla coesistenza dei due sistemi. Si unirono per imprecare a lungo.

 

E i sovietici? Dov’ è descritta  la loro vita di ogni giorno?

 

Ecco, bisognerebbe dargli lo stesso consiglio  che riceve nel colcos Lenin a trenta chilometri da Mosca

 

:-“La vecchia mi chiede se io parlo il russo e mi disapprova, muovendo a rimprovero il dito, quando le dico che non lo so.

-Studi, studi il russo, - mi dice – e torni qui quando lo avrà imparato, così

potremo parlarci direttamente e ci intenderemo” (pag. 295)

 

La babushka in due battute ci ha confermato tutti i limiti di tutti questi  inviati, che non possono avere un filo diretto con l’interlocutore.

 

Il volume è ricco  di discorsi retorici con l’intellighenzia di turno  e gruppi di studenti.

 

Questo è stato – ritengo – il fallimento del viaggio in Urss di Carlo Levi.

 

Lui, che ha scritto di gente umile e povera, facendoci sdegnare profondamente,

se ne è andato in giro fra banchetti e brindisi con  gente della nuova classe.

 

Gente per cui si dice: On sidiet, anà idiòt e cioè lui siede, essa va. Essa si riferisce allo stipendio che arriva puntuale, ogni mese, mentre lui ozia.

 

Il suo è stato un viaggio di riposo, una crociera fatta su una bella nave.

 

 C’è una certa civetteria da madame stagionata:

 

 “chissà se avrò tempo di passare al Gum a comprarmi un cappello di pelliccia?...mi aspetta l’automobile di Ehrenburg per portarmi,in tutt’altra direzione, alla sua casa di campagna”(pag. 296)..”e tornai a sdraiarmi, per l’ultima volta, dietro le tende di damasco, sotto il piumino di pizzo” (pag. 297).

 

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