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N. 127 - Luglio 2018 (CLVIII)

Le prime tappe del generale più famoso

Cesare fra intrighi politici e amori

Alessandro Craviotto

  

“Non si può dire se sia positivo per la Repubblica che lui sia nato o invece se sarebbe meglio che non fosse nato”: questo è il dilemma che Seneca – filosofo e consigliere dell’imperatore Nerone – pone a se stesso.

 

Cesare sembra essere la "somma" di tanti uomini: generale e politico, condottiero e scrittore, maniaco del controllo eppure incapace di prevedere la congiura che lo avrebbe eliminato.

 

Nasce nel 100 a.C. in una famiglia di nobile origine ma niente affatto florida nel presente. Fa parte della gens Iulia (che discende dal figlio di Enea, Iulo) ed è nipote di Mario. Trascorre l’infanzia in una modesta casa della suburra, il quartiere plebeo di Roma.

 

Svetonio ci informa della spiccata predilezione del giovane Cesare per la letteratura, tanto che, all’età di nove anni, scrive il poemetto In lode di Ercole e la tragedia Edipo. Il ragazzo riceve un’accurata istruzione nelle lettere latine e greche, prima a casa a cura della madre, Aurelia Cotta, poi sotto la guida di precettori privati. Oratore molto apprezzato (Cicerone lo loda più volte), durante gli esercizi al Campo Marzio acquisisce una resistenza fisica che gli sarà molto utile nelle successive campagne militari.

 

Fin da giovanissimo si schiera con i populares, forse sotto l’influenza dello zio Mario. A quindici anni è designato flamen Dialis, sacerdote di Giove. A sedici anni, per assecondare il volere del padre, si fidanza con Cossuzia, di famiglia equestre piuttosto benestante; tuttavia alla morte del genitore – forse causata da un attacco di cuore – ripudia Cossuzia e sposa Cornelia, figlia di Cinna, capo della fazione popolare e quindi avversario di Silla.

 

Quando il dittatore emana le liste di proscrizione, Cesare prima si vede revocare la carica di flamen, successivamente è inserito nelle liste anche a causa del suo rifiuto di ripudiare la moglie: abbandona Roma in tutta fretta vestito da contadino e rimane nascosto qualche mese per sottrarsi ai sicari, cambiando ogni giorno rifugio.

 

Nell’81 si sposta in Asia, dove secondo alcune dicerie diventa amante del Re di Bitinia Nicomede: qui dimostra abilità militari non comuni tanto da meritare la corona civica, un onore che gli permette di accedere al Senato.

 

Nel frattempo a Roma Silla si fa convincere a perdonare Cesare, esclamando a tal riguardo: “Tenetevelo pure! Ma vi accorgerete che costui, che con tanta insistenza volete salvo, sarà un giorno fatale al partito degli ottimati, che insieme abbiamo difeso; in Cesare vi sono infatti molti Marii”. Di lì a poco Silla muore, ma Cesare rimane in Oriente, trasferendosi a Rodi presso la scuola del famoso retore greco Apollonio Molone, già maestro di Cicerone.

 

Prima di giungere a Rodi è protagonista di una vicenda assai significativa, che viene descritta da Plutarco nelle Vite parallele (Vita di Cesare, 2). Catturato da un gruppo di pirati, “passò così trentotto giorni come se fosse circondato non da carcerieri ma da guardie del corpo, giocando e facendo ginnastica insieme con loro, scrivendo versi e discorsi che poi faceva loro ascoltare, e se non lo applaudivano li redarguiva aspramente, chiamandoli barbari e ignoranti. Spesso, scherzando e ridendo, minacciava d’impiccarli, e quelli, attribuendo la sua sfrontatezza all’incoscienza tipica dell’età giovanile, a loro volta gli ridevano dietro. Ma appena giunse da Mileto il denaro del riscatto e pagata la somma fu rilasciato, allestì subito delle navi e salpò alla caccia dei pirati. Li catturò quasi tutti, saccheggiò i frutti delle loro razzie, fece rinchiudere gli uomini nella prigione di Pergamo e si recò dal governatore d’Asia, l’unico che, in qualità di pretore, aveva il compito di punire i prigionieri. Ma quello, messi gli occhi sul bottino (piuttosto cospicuo, in verità), disse che si sarebbe occupato a suo tempo dei prigionieri. Allora Cesare, mandatolo alla malora, tornò di corsa a Pergamo e tratti fuori dal carcere i pirati li impalò tutti quanti, dando esito alla minaccia con lo stesso atteggiamento scherzoso che aveva manifestato quando era prigioniero”.

 

A ventisette anni, torna a Roma dove è nominato prima pontefice e l’anno dopo tribuno militare. La sua popolarità è in crescita: appoggia pubblicamente il ritorno dall’esilio di molti proscritti, tra cui il fratello di sua moglie.

 

Svetonio evidenzia come a colpire di Cesare sia anche il suo aspetto eccentrico: è solito indossare una tunica con frange lunghe fino alle mani e una cintura allentata; inoltre si depila tutto il corpo. A ciò si aggiunge il gusto per il lusso e lo sperpero, che in realtà è comune a molti nobili romani.

 

Dopo un anno in Spagna come questore, sostiene l’assegnazione di poteri straordinari a Pompeo per debellare la minaccia dei pirati. In quel periodo muore – a soli trent’anni – l’amata moglie Cornelia; sposa così Pompea, una ragazza bella e ricca nipote di Silla. Tuttavia il matrimonio dura cinque soli anni, a causa della relazione adulterina di lei con Clodio, che d’ora in avanti diventerà uno strumento nelle mani di Cesare.

 

Mentre Pompeo è in Oriente, Cesare continua la scalata del cursus honorum, fino a diventare pontefice massimo, la più alta carica religiosa. Nel 63 appoggia inizialmente Catilina, abbandonandolo al suo destino quando comprende che la congiura avrà esito nefasto.

 

L’anno successivo è governatore della Spagna Ulteriore, dove attacca i Lusitani; rientrato a Roma nel 59, sceglie di rinunciare al trionfo militare per diventare console. In realtà l’elezione a console fa parte di una strategia più ampia di cui il Triumvirato costituisce solo un aspetto. Il suo primo obiettivo consiste nella limitazione del potere del Senato: con il sostegno dei due triumviri, approva una riforma agraria che favorisce le classi meno abbienti. Inoltre chiede e ottiene il governatorato di Gallia Cisalpina ed Illiria per dimostrare una volta per tutte il proprio valore di comandante militare: sa benissimo che in Gallia potrà accumulare immensi bottini di guerra che serviranno a finanziare le future campagne elettorali.

 

La guerra in Gallia, inizialmente pensata come difensiva, si trasforma quasi subito in guerra offensiva: il generale non riuscirà a conquistare la Britannia, ma in questa regione catturerà comunque migliaia di uomini che rivenderà come schiavi e si impadronirà di ingenti quantità d’oro.

 

Ci avviciniamo così allo scontro finale fra Cesare e Pompeo, ormai non più legati da alcun vincolo parentale: la figlia primogenita di Cesare andata in sposa a Pompeo nel 59 è morta nel 54. Il 12 gennaio del 49 a.C., varca il Rubicone, pronunciando la famosa frase “alea iacta est”: inizia la guerra civile.

 

Appare piuttosto significativo che nel De Bello Civili Cesare precisi come l’esercito abbia varcato il fiume solo in secondo momento, quando lui aveva ordinato di raggiungerlo. È un modo per incolpare Pompeo della guerra civile: costui non ha ascoltato le richieste di Cesare, che si è quindi visto costretto a marciare sulla città.

 

La prima mossa errata di Pompeo nel conflitto sarà quella di allontanarsi da Roma, consentendo al rivale di impadronirsi del tesoro dello stato, fondamentale per pagare le enormi spese di guerra. In secondo luogo, il primo scontro in Oriente, a Durazzo, vede vincitore Pompeo che tuttavia decide di non sferrare il colpo finale: “oggi i pompeiani avrebbero colto la vittoria definitiva se avessero avuto dalla loro parte un generale che sapesse vincere”, scrive lo stesso Cesare. Nella decisiva battaglia di Farsalo del 48, pur in condizioni di netta inferiorità numerica, l’esercito cesariano sbaraglia quello pompeiano.

 

La tanto esaltata clementia Caesaris, ispirata al principio per cui “i Romani non devono uccidere altri Romani”, si rivelerà in seguito un boomerang per la politica del futuro padrone di Roma.

 

Una volta estinti gli ultimi focolai di rivolta e intrapresa la relazione con Cleopatra, Cesare torna a Roma e riceve dal Senato la carica di dittatore per dieci anni con lo scopo di riformare lo Stato: le istituzioni romane appaiono infatti inadeguate per un impero sempre più esteso.

 

L’opera riformatrice di Cesare verrà interrotta bruscamente il 15 marzo del 44 a.C., quando il generale era impegnato a progettare una campagna militare di enormi proporzioni contro il principale nemico di Roma: i Parti.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Svetonio, Vita di Cesare.

Plutarco, Vite parallele.

Augusto Fraschetti, Giulio Cesare, Laterza 2013.



 

 

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