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ANTICA


N. 111 - Marzo 2017 (CXLII)

Giuliano l’Apostata
l’ultimo imperatore pagano

di Paola Scollo

 

Figlio di Giulio Costanzo e fratellastro di Costantino, ad appena sei anni Giuliano fu coinvolto nel dramma di famiglia che si concluse con la strage a Costantinopoli, nell’autunno del 337, in cui persero la vita il padre e gli altri discendenti maschi di Costanzo Cloro. Solo Giuliano e il fratello Costanzo furono risparmiati e per loro ebbe inizio un periodo di relegazione che si protrasse per tutta la prima fase della loro vita.

 

Giuliano visse la propria gioventù in un esilio dorato prima a Nicomedia, poi nella villa imperiale di Macellum in Cappadocia. In quegli anni ebbe modo di maturare un profondo interesse per l’Ellenismo e di approfondire la conoscenza del cristianesimo. Egli divenne anche un ammiratore delle grandi figure storiche dell’antichità, in particolar modo di Cesare, abile e sapiente organizzatore militare.

 

Tra i primi incarichi Giuliano ricevette quello di ripristinare l’ordine in Gallia, in seguito alle rivolte di Magnenzio e Silvano contro Costanzo e alle allarmanti invasioni di Franchi e Alemanni. Giuliano si trovò a combattere su due fronti: quello esterno, contro i barbari, e quello interno. Riguardo al fronte esterno, in tre anni riuscì a respingere oltre il Reno gli invasori.

 

Quando l’imperatore Costanzo pretese il trasferimento dei vari corpi dell’esercito dal fronte del Reno a quello orientale, le truppe rifiutarono in quanto tale richiesta era in conflitto con i patti di arruolamento. Allora i militari radunati a Lutetia, l’attuale Parigi, proclamarono Giuliano imperatore. Benché riluttante, il figlio di Giulio Costanzo accettò. Costanzo si preparò pertanto allo scontro con Giuliano, ma morì improvvisamente in Cilicia nel 361. A distanza di pochi giorni Giuliano fece il suo ingresso a Costantinopoli in qualità di dominus.

 

Divenuto dunque imperatore, Giuliano seguì anzitutto un programma di sgravi fiscali, mirando a eliminare privilegi ed esenzioni, smobilitando la polizia politica e occupandosi personalmente dell’ordinamento giudiziario. All’interno di questo orizzonte “liberale” va poi collocato il desiderio di restaurare la libertà religiosa, quindi di concedere nuovamente il diritto alla libera espressione di fede ai vecchi gruppi pagani.

 

Sotto il profilo politico dell’ordine interno in Oriente, l’adozione della politica religiosa di Giuliano non poteva presentarsi quale elemento positivo in vista della grandiosa campagna persiana che l’imperatore da tempo progettava. Questa, comunque, fu avviata sotto ottimi auspici. Raggiunto il confine mesopotamico, l’imperatore fece dividere l’esercito in due colonne, una da Nord e l’altra da Sud, in modo da attaccare l’avversario su due fronti. Giuliano procedette vittorioso oltre l’Eufrate e il Tigri, raggiunse Ctesifonte e tentò il ricongiungimento con l’altra parte dell’esercito ma durante le operazioni militari fu gravemente ferito e morì poco dopo nella sua tenda il 26 giugno 363.

 

La spedizione di Giuliano in Persia non fu atto di un esaltato, ma evento che completava una storia di minacce per l’impero. Fino a Nisibi era giunto già Lucullo dopo le vittorie su Tigrane, re d’Armenia, e su Mitridate V, re del Ponto, negli anni 74 - 63 a.C. In Oriente il Senato inviò anche Pompeo. Nel 53 a.C. i due Crassi morirono nella catastrofe di Carre. Anche Antonio preparò una grande spedizione contro la Persia, ma non riuscì a superare l’Eufrate a causa delle ostili condizioni climatiche. All’epoca di Nerone, celebri furono le offensive di Corbulone. Fu poi Traiano a fondare province fra Eufrate e Tigri. Nel 118 Adriano rinunciò definitivamente a una politica espansionistica, segnando il confine dell’Impero all’Eufrate. Sulla riva sinistra si mossero prima Lucio Vero (163-166), poi Settimio Severo nel 199. Seguì ancora la catastrofica spedizione di Gordiano III che vi perse la vita; infamante la pace firmata dal primo imperatore cristiano, Filippo l’Arabo (243-244).

 

Negli anni 253-260 l’attacco persiano giunse ad Antiochia fino a catturare nel 260 a Emessa l’imperatore Valeriano. Con l’imperatore Caro i confini non vennero modificati. Queste regioni furono restituite alla Persia con il trattato firmato da Gioviano e i confini restarono in sostanza stabili fino all’invasione araba del 630/640.

 

Della spedizione di Giuliano in Persia importanti testimonianze sono le pagine dello storico Ammiano Marcellino. I racconti offerti da Ammiano ai libri 23 - 25 hanno una base di informazioni comune a quella di Libanio. Le divergenze derivano, con ogni probabilità, dalle diversità caratteriali dei due autori che hanno fatto uso degli appunti stilati da Oribase. Ammiano, testimone dell’impresa e letterato, opera scelte anche estetiche, immettendo ricordi personali e dando straordinario e continuo risalto alle “manifestazioni divine” che preannunciano la malasorte. Di contro, Libanio tende solo a celebrare Giuliano.

 

Nonostante i numerosi impegni politici e militari l’attività letteraria di Giuliano fu varia e vasta. Essa comprende orazioni di carattere encomiastico e adulatorio (A Costanzo, A Eusebia) o di contenuto filosofico (Al cinico Eraclio) o politico (Il governo, sui doveri del principe), una satira di ispirazione lucianesca (I Cesari), un scritto polemico anticristiano (Contro i galilei) e uno contro i suoi detrattori (Misopogon, Contro gli Antiocheni). Di notevole interesse, fra le opere pervenuteci, anche la Lettera agli Ateniesi, una violenta accusa contro Costanzo all’epoca del loro contrasto, e le numerose Lettere, importanti come documento storico. Interamente perduti, invece, i suoi Commentari delle campagne germaniche. Lo stile di Giuliano appare conciso, nervoso, caustico e brillante: abbondanti sono le reminiscenze classiche greche e le citazioni.



 

 

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