[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

180 / DICEMBRE 2022 (CCXI)


contemporanea

SUGLI EROI DELLA RESISTENZA
GIORGIO LABÒ E L’ESPERIENZA GAPPISTA
di Andrea Fatticcioni

La scomparsa della “generazione lunga dell’antifascismo”, come l’ha definita Claudio Pavone, riafferma la necessità di studi sulla Resistenza che ricostruiscano con precisione i contributi dei singoli. Nelle analisi “dal basso”, si limita il rischio di interpretazioni viziate da considerazioni ideologiche concentrandosi piuttosto sulle ragioni dei soggetti studiati. Gli avvenimenti del biennio 1943-1945 sono una frattura nella memoria del paese e solo dagli anni Novanta del Novecento, con la cosiddetta “stagione degli armadi”, si è reso disponibile un complesso di fonti coeve adeguato alla formazione di un campo storiografico, che ha ormai raggiunto piena maturità.

Oggi, la distanza temporale dagli eventi favorisce la messa in discussione dell’antifascismo come valore fondante dell’identità nazionale. Èsempre importante quindi raccontare la Resistenza anche a un pubblico di non specialisti, poiché una conoscenza diffusa della dimensione fattuale è necessaria per evitare che pericolosi revisionismi prendano piede.

In questo articolo si intende trattare il contributo di Giorgio Labò, giovane studente di architettura genovese, ai Gruppi di Azione Patriottica (GAP) di Roma. Il comune di Genova gli ha dedicato una piazza e, proprio nel centro storico, il bel palazzo Grimaldi (1322) ospita una fondazione culturale dedicata a lui e a suo padre. Tuttavia, su scala nazionale non è molto noto e spesso non viene menzionato tra i membri del GAP “Pisacane”.

I GAP erano piccoli nuclei di partigiani urbani formati nell’ottobre del 1943 dal Partito Comunista e dal Partito d’Azione. Presenti nelle maggiori città italiane, erano incaricati di sabotaggi e azioni armate, volte a delegittimare l’ordine pacificato imposto dalle autorità nazifasciste. I GAP “centrali” della capitale erano composti da due reti: una diretta da Carlo Salinari, distinta nei due GAP “Antonio Gramsci” e“Carlo Pisacane”, guidati rispettivamente da Mario Fiorentini e Rosario Bentivegna; l’altra diretta da Franco Calamandrei e composta dai GAP “Sozzi” e “Giuseppe Garibaldi”. A capo delle reti fu posto Antonello Trombadori, il quale faceva riferimento a sua volta a Giorgio Amendola. Dall’11 settembre 1943, Roma è “territorio in stato di guerra e quindi soggetto alle leggi militari germaniche”. In città vengono collocate numerose unità in attesa di essere impiegate sul fronte meridionale, che rendono particolarmente ostico il contesto in cui, in ottobre, nascono i GAP.

Nato a Modena il 29 maggio 1919, Giorgio Labò vive a Genova fin dalla primissima infanzia. Il padre Mario è un importante architetto, membro del MIAR e consigliere comunale socialista nel 1920. La madre, Enrica Morpurgo, un’intellettuale ebrea nata nella Trieste austroungarica, autrice con il marito di importanti traduzioni di testi sull’architettura. I pochissimi estratti del diario di Giorgio, tra cui la Pagina di diario per Antonio Sant’Elia, mostrano l’elevatissimo profilo culturale del ragazzo, cresciuto in una casa frequentata da personalità come Attilio Podestà e Lucio Fontana.

Terminato il liceo classico, nel 1938 si iscrive a ingegneria, per spostarsi l’anno successivo al Politecnico di Milano alla Facoltà di Architettura. Ventenne, frequenta gli ambienti artistici e letterari, entrando nel gruppo Corrente. Scrive d’architettura per Il Secolo XIX e Il Resto del Carlino e collabora con Eugenio Treccani. Deve interrompere gli studi allo scoppio della Seconda guerra mondiale, per arruolarsi nel Genio Artificieri dove diventa sergente e acquisisce esperienza con gli esplosivi. Il 10 settembre 1940 scrive sul suo diario: «Ho passato una giornata tremenda. Al pomeriggio stravolto per l’uccisione di un topo».

L’8 settembre 1943 si trova a Rieti presso la trentaseiesima compagnia Minatori, lasciata senza ordini come moltissimi reparti dell’esercito italiano. Vicino alla brigata autonoma D’Ercole-Stalin, opera nella zona di Poggio Mirteto, Montopoli, Passo Corese, con compiti disabotaggio lungo la linea ferroviaria. Le fonti discordano sui molti aspetti, ma sembra che abbia partecipato alla distruzione di un treno e di un ponte ferroviario alla stazione di Poggio Mirteto. Il padre ricorda però, come si trovasse poco a suo agio nella zona e che il suo frequente andirivieni tra le campagne limitrofe e il borgo provocasse la diffidenza dei suoi compagni.

È interessante che Labò, spostandosi a Roma, contribuisca alla peculiare composizione “intellettuale” dei GAP romani, diversa da quella “operaia” di centri industriali come Torino e Milano. Sono gappisti romani, ad esempio, il fisico Giulio Cortini, il matematico Mario Fiorentini, la studentessa di lettere Maria Teresa Regard.

Lamberto (questo il suo nome di battaglia), pur riconoscendosi pienamente come intellettuale, prova disagio verso chi resta chiuso nel suo mondo di “sogni, di sofismi, di illusioni”. È consapevole della difficoltà della scelta resistenziale ma ne avverte la necessità morale: «si è avvertito che l’impegno morale della propria dignità umana da salvare anche a costo della vita soccorre la mancanza di una naturale disposizione fisica [...] Soltanto la perdita di quella dignità potrebbe pesare sulla vita: tanto se impersonata dalla perdita della libertà che dal rifiuto della propria responsabilità».

Diceva: «Molti dei nostri amici tendono al compromesso e lasciano inalterata, per un pregiudizio di superficiale onestà filosofica, per un vano rispetto delle tradizioni cosiddette o dei sacri schemi, quella zona della loro mente in cui hanno sempre coltivato come abitudine fondamentale della loro vita l’amore per l’arte o per la filosofia o per altro. Ma essi non sanno che noi non difenderemo sinceramente e davvero un valore della nostra posizione d’intellettuali altrimenti che scontando l’esperienza viva del popolo nelle sue lotte e nelle sue sconfitte per la rivoluzione, anche a costo di uno sforzo di volontà stridente e difficile [...]».

Labò era un intellettuale che venuto a contatto con le idee progressive del marxismo si era posto chiaramente e senza equivoci il problema del partito. E lo voleva risolvere. E lo ha risolto, senza inutili e retorici schemi, nell’azione.

A novembre incontra a Roma Antonello Trombadori. La sua esperienza con gli esplosivi lo rende adatto ad affiancare il giovane partigiano Gianfranco Mattei nella produzione e conservazione di ordigni, nella piccola “Santabarbara” al secondo piano del 23A di via Giulia. Gianfranco (fratello di Teresa Mattei) è un brillante chimico di ventisei anni. Cresciuto negli ideali di Giustizia e Libertà, era iscritto dal 1942 al Partito Comunista, l’unico secondo lui capace di opporre resistenza al regime.

Grazie a Labò e Mattei la capacità offensiva del nucleo aumenta esponenzialmente, fatto evidente nell’attentato al Tribunale Militare tedesco all’hotel Flora, in cui gli occupanti subiscono un numero imprecisato di perdite. Le competenze di Mattei erano fondamentali nell’ideazione di ordigni con materiali di risulta, Labò invece: «Lavorava attorno ai suoi tubi di ghisa, alle sue cassette di ferro, alacremente, con le sue mani tozze. Poi aiutava a trasportare gli ordigni fabbricati, fino a destinazione. Quante volte qualcuno lo avrà incontrato per una via di Roma, senza sospettare che sotto il suo cappotto a campana egli celasse uno spezzone di dinamite [...]».

Per mesi vivono dividendo le loro giornate cercando al mattino gli obiettivi da colpire, costruendo bombe nell’ombra della piccola officina nel pomeriggio, partecipando spesso alle azioni vere e proprie. Tra dicembre e gennaio gli attacchi a mezzo esplosivo si moltiplicano (28 dicembre, 24 gennaio, 30 gennaio) e la repressione si intensifica: dopo l’attentato al Tribunale, il coprifuoco era stato imposto alle 17.00. Due giorni dopo un reparto di SS e la bandaKoch, violando le norme di diritto internazionale, irrompono nel Collegio Russicum, in quello Orientale e nel Collegio Lombardo, arrestando undici persone. Tra il 27 e il 28 dicembre, il generale Stahel, ritenuto inadatto ad affrontare il problema del partigianato, viene sostituito al comando della città dal generale Mältzer. Il 22 gennaio gli alleati sbarcano ad Anzio e i tedeschi dichiarano l’intera provincia di Roma “zona di operazioni”.

Malgrado la situazione, Labò non smetterà mai di pensare alla sua passione; manterrà contatti con personalità del calibro di Renato Guttuso e Giulio Carlo Argan, senza mai però informarli della sua attività: «Ci troviamo a Ponte Sisto [...] osserva i pilastri jonici, disegnati come sulla tavola di rame di una tavola scolastica [...] è un osservatore sottile. Con Giorgio il discorso cadeva quasi sempre sull’architettura [...]. Si sarebbe detto che passasse le sue giornate in biblioteca, invece faceva le bombe per i GAP. Quando gli fu commissionato un articolo sui rapporti tra comunismo e architettura, Calamandrei ne ricorda la gioia, mista all’amarezza per lalontananza da un ritorno alla normalità: c’era in lui, insomma, l’ansia abbastanza consapevole di riprendere il suo terreno, di sciogliersi dall’avventura, e l’impossibilità di sganciarsi praticamente, e il vano sforzo di farsi una ragione diquesta condizione che gli si era inavvertitamente imposta».

Ricostruire le circostanze del suo arresto non è semplice. Secondo il padre, un delatore di nome Giovanni Amidei riferisce dell’attività di due compagni di Giorgio. Potrebbero essere GuidoRattoppatore e Umberto Scattolini: i due membri del GAP Pisacane vengono arrestatimentre si stavano recando all’albergo Aquila d’oro per un’azione antitedesca il28 gennaio 1944 e sono torturati nel famigerato carcere di via Tasso, che pochi giorni dopo ospiterà Labò e Mattei. L’indicazione dell’appartamento in via Giulia potrebbe provenire da uno dei due, anche perché l’unica altra gappista arrestata a fine gennaio è Maria Teresa Regard. È ragionevole supporre che siano questi i due compagni a cui si riferisce il padre di Giorgio; inoltre, almeno Rattoppatore sapeva sicuramente della “Santabarbara”

L’ingresso della Gestapo, nel pomeriggio del primo febbraio, sorprende Labò e Mattei nell’appartamento. Vengono arrestati e torturati. Mattei, nella notte tra il sei e il sette febbraio, si impicca in cella con la cintura dei pantaloni. Labò resiste oltre un mese alla tortura, secondo il padre: «Le mani strette dietro la schiena; una sull'altra; deve giacere bocconi per evitare che il peso del suo corpo ricada in modo insopportabile sulle mani tumefatte e gonfie per il nodo strettissimo della corda. Le mani sono diventate livide ed enormi per il gonfiore; il difetto di circolazione ha provocato anche sul suo volto gonfiori e rose di sangue. Attorno ai polsi un solco putrido […] infezione, cancrena».

Il 7 marzo, detta una lettera al cappellano: «Labò Giorgio di Mario - nato a Modena il 29 maggio 1919 – studente in architettura. Andare dal Prof. Argan, Via Giacinto Carini 66 - Monteverde, filobus 129– pregarlo di informare la famiglia che lui è passato con la massima serenità».

Quello stesso giorno, è trascinato a braccia a Forte Bravetta dove viene fucilato, all’età di ventiquattro anni.


Riferimenti bibliografici:


AA. VV., Un sabotatore: Giorgio Labò, Gangemi Editore, Roma 2015.
D. Borioli, R. Botta, Sulla moralità nella Resistenza. Conversazione con Claudio Pavone, in Quaderno di Storia Contemporanea, n. 10, 1991.
E. Colotti, Amministrazione tedesca dell’Italia occupata 1943-45, pubblicato nella collana storica dell’Istituto per la storia del movimento di liberazione, Lerici, Milano 1963.
S. Peli, Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza, Einaudi, Torino 2014.
 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]