[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 155 / NOVEMBRE 2020 (CLXXXVI)


filosofia & religione

SUI CORSI E I RICORSI DELLA STORIA

IL PENSIERO DI VICO

di Giovanni Pellegrino e Mariangela Mangieri

 

La grande crisi della coscienza storica che si manifestava nel periodo che intercorre tra Voltaire e Bousset trova la sua espressione più significativa nella Scienza nuova di Giambattista Vico. La sua opera è un sistema in frammenti, un grandioso abbozzo di storia universale comparata, in cui ogni parte fa riferimento al principio ben definito.

 

Vico inserisce nella sua opera ripetizioni e oscurità, ma si rivela senza alcun dubbio un ricercatore geniale sebbene ai suoi tempi egli fu appena conosciuto. Infatti Vico andava troppo al di là della sua epoca per poter esercitare un’influenza immediata e profonda, cosicché egli condusse una vita povera e modesta.

 

Pensatore sincero cattolico, era egli stesso a malapena consapevole del carattere rivoluzionario della sua opera. Tuttavia egli sapeva di avere creato qualcosa di nuovo e di duraturo: la prima ricostruzione empirica della storia umana basata sul fondamento del principio filosofico di una eterna legge di sviluppo provvidenziale.

 

Premesso ciò prenderemo in considerazione una delle teorie fondamentali elaborate da Vico, ossia la teoria dei corsi e dei ricorsi storici. Seguendo un’antica tradizione egiziana Vico distingue tre età, successive a quella preistorica dei giganti: l’Età degli Dei, l’Età degli Eroi, l’Età degli Uomini.

 

L’Età degli Dei era caratterizzata dal fatto che i pagani vivevano sotto il governo divino e in tutte le loro azioni interrogavano auspici e oracoli, le più antiche istituzioni della storia. A sua volta l’Età degli Eroi era caratterizzata dal fatto che la società era governata da comunità aristocratiche che partivano dal presupposto di essere superiori per loro natura ai plebei. Infine nell’Età degli Uomini tutti erano convinti dell’eguaglianza della natura umana cosicché gli individui vivevano in libere repubbliche e monarchie.

 

Secondo Vico l’età divina è strettamente teocratica, quella eroica è l’età della mitologia mentre quella umana è razionale. Vico in corrispondenza a queste tre età distingue tre tipi di lingua e di scrittura (sacra, simbolica e profana) e così pure tre fasi del Diritto naturale, della comunità politica e della giurisprudenza, fasi connesse tra loro dalla Divina Provvidenza. Questo corso regolare è progressivo in quanto conduce dall’anarchia all’ordine e da costumi selvaggi ed eroici a costumi razionali e civili.

 

Secondo Vico non vi è tuttavia un progresso all’infinito verso stadi sempre più civili. Il thelos reale di tale progresso sono la decadenza e il tramonto, per cui l’intero corso ricomincia da un nuovo stadio barbarico, ovvero in un ricorso che è allo stesso tempo una rinascita.

 

Un tale ricorso si è già verificato a detta di Vico una volta, precisamente dopo il tramonto di Roma, col ritorno dell’epoca barbarica nel medioevo. Vico non dice se alla fine del corso attuale si avrà un nuovo ricorso. Tuttavia ciò si dovrebbe supporre, conformemente al suo principio fondamentale, che tutto ciò che è accaduto nel passato accadrà anche nel futuro, secondo l’eterno schema di sviluppo storico dominato nel suo processo dalla ricorrenza.

 

Secondo Vico la Provvidenza regola e controlla i corsi e i ricorsi storici. Quando un popolo va incontro a un processo di decadenza, la Provvidenza trova un rimedio dalle energie stesse di quel popolo oppure dall’esterno sottomettendo il popolo e rendendolo suddito di un altro, se esso non è più capace di governarsi da solo. Per Vico i corsi e i ricorsi storici, infatti, sono una peculiare struttura della storia guidata dalla Provvidenza. Poiché al corso storico manca la finalità di un continuo progresso, esso deve appellarsi, per così dire, a un’istanza superiore.

 

La legge della Provvidenza richiede che dopo un’età di decadenza definita da Vico “barbarie della riflessione” segua la “barbarie creativa del senso” in modo da poter ricominciare di nuovo. Quando Vico descrive questo rimedio radicale messo in atto dalla Provvidenza ha davanti agli occhi la fine della civiltà romana. Ma egli dà al suo pensiero una formulazione così generale da potersi riferire tanto alla fine della civiltà romana quanto a un altro periodo storico.

 

Vico prende in considerazione nella Scienza Nuova il mondo dell’uomo caduto nel peccato. Il mondo descritto da Vico non ha nessuna relazione con la Civitas Dei della teologia, tranne che per il fatto che la Legge naturale che regge la storia viene chiamata Provvidenza.

 

L’intuizione di Vico è perciò più classica che cristiana. Come gli antichi, egli si interessa particolarmente delle origini e degli antichissimi fondamenti del processo storico, ma non della speranza e della fede in un compimento futuro. La storia si ripete anche se a livelli differenti e il ciclo di “corso”, decadenza “ricorso” per lui non è disperato come per Agostino, ma è la forma naturale e razionale dello sviluppo storico.

 

Tuttavia confrontato con la concezione ciclica di Polibio, il ricorso di Vico è tuttavia molto diverso. Infatti la ricorrenza ciclica è in funzione dell’educazione, anzi della salvezza dell’umanità attraverso la rigenerazione della sua natura sociale. La ciclicità di Vico salva l’uomo in quanto lo conserva dalla decadenza della barbarie della riflessione. Vico non sostituisce alla Provvidenza come Voltaire un progresso promosso dall’uomo. La sua idea fondamentale non è il progresso storico verso un compimento ultimo bensì il processo di “corso e ricorso”: l’estremo rimedio alla corruzione della natura umana messa in atto dalla Provvidenza.

 

La prospettiva di Vico è ancora teologica, ma i mezzi della Provvidenza salvatrice sono storico-naturali. La storia ha un inizio preistorico, ma non ha fine né compimento, anche se è diretta dalla Provvidenza.

 

La teoria di Vico è una “teologia civile ragionata” in quanto riconosce la divina provvidenza, ma la identifica con la storia. Il suo pensiero si situa a metà strada tra la teologia della storia e la filosofia della storia ed è perciò profondamente ambigua. Questa ambiguità apparve subito nella varietà di interpretazioni che furono date di essa.

 

Per fare un esempio i cattolici conservatori italiani attaccarono la Scienza Nuova perché videro che una Provvidenza immanente alla storia dissolve la concezione biblica del potere trascendente di Dio, mettendo in crisi i fondamenti della interpretazione biblica della storia. A loro volta i socialisti italiani anticlericali ristamparono l’opera di Vico considerandola un’arma intellettuale per la loro rivoluzione.

 

Concludiamo il nostro articolo mettendo in evidenza che Giambattista Vico, pur essendo un cattolico convinto, si rese conto a mala pena che la sua dottrina conteneva implicita una critica della concezione biblica della storia.

 

La sua opera è infatti edificata sul principio della teologia civile, è una teologia della storia molto diversa da quella presente nell’opera di Agostino. Infatti in Vico la Provvidenza che regola il processo storico non è altro che l’ordine universale e permanente immanente alla storia, cosicché la Provvidenza secondo Vico, sebbene sia di origine soprannaturale, agisce nella storia in maniera così naturale da identificarsi quasi con le leggi sociali dello sviluppo storico e quindi la Provvidenza vichiana è difficilmente conciliabile con la concezione cristiana della storia.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]