[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

169 / GENNAIO 2022 (CC)


ambiente

LA GEOGRAFIA DEL GAS
TRA CRISI INTERNAZIONALE E TRANSIZIONE ECOLOGICA / PARTE I
di Leila Tavi

 

Il forte aumento dei prezzi del gas di questo periodo e le tensioni al confine tra Russia e Ucraina hanno riportato l’energia in cima all’agenda politica dei Paesi occidentali, così come fu nel 2003, nel 2006 e ancora nel 2009. Il 22 febbraio si svolgerà in Qatar, a Doha, il vertice annuale del Gas Exporting Countries Forum (GECF), con i timori degli Stati Uniti e dell’Unione Europea riguardo all'approvvigionamento di gas, se la Russia dovesse invadere l'Ucraina. I membri del Forum sono undici: Algeria, Bolivia, Egitto, Guinea Equatoriale, Iran, Libia, Nigeria, Qatar, Russia, Trinidad e Tobago e Venezuela, mentre sette sono i Paesi osservatori: Angola, Azerbaijan, Emirati Arabi, Iraq, Malesia, Norvegia e Peru. La coalizione rappresenta il 71% delle riserve mondiali di gas naturale, il 43% della sua produzione commercializzata, il 58% delle esportazioni di LNG (gas naturale liquefatto) e il 52% del commercio via pipeline in tutto il mondo. La prima riunione del GECF si tenne a Teheran il 19 e 20 maggio 2001 e vi parteciparono i governi di Algeria, Brunei, Indonesia, Iran, Malesia, Oman, Qatar, Russia e Turkmenistan, con la Norvegia come osservatore.

 

Tra i Paesi occidentali l’Australia e gli Stati Uniti sono due dei principali produttori di gas naturale al mondo, ma non fanno parte del GECF. Nell’ipotesi in cui la crisi tra Russia e Ucraina si inasprisca ancora di più, i Paesi dell’UE, dipendenti per il 40% dal gas russo, sono in cerca di forniture alternative.

 

Il TRTWorld ha riportato la notizia che gli Stati Uniti stanno cercando il supporto del Qatar, uno dei loro principali alleati non-NATO, per garantire forniture di emergenza, nel caso in cui la Russia dovesse chiudere le condutture verso l'Europa occidentale. La partecipazione di Vladimir Putin al meeting di Doha del 22 febbraio non è stata ancora confermata, nel frattempo Joe Biden ha minacciato di intralciare l’avvio del gasdotto Nord Stream 2, i cui lavori sono ormai terminati, se la Russia dovesse invadere l’Ucraina. Già a maggio scorso l’amministrazione Biden aveva rinunciato a tutte le sanzioni contro il Nord Stream 2, per non inasprire le relazioni con la Germania. Il gasdotto Nord Stream 2, che corre sotto il Mar Baltico fino alla costa della Germania e la cui costruzione è stata sostenuta da Berlino. Il gasdotto è già stato completato, ma il gas naturale ancora non è stato pompato verso la Germania. Insieme al suo precedente cugino Nord Stream 1, aperto nel 2011, il nuovo gasdotto ha una capacità di trasporto di 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno. Nord Stream 2 è costato 9,5 miliardi di euro (10,6 miliardi di dollari) e con i suoi 1.230 chilometri di lunghezza, è il più lungo gasdotto sottomarino del mondo. Di proprietà della Gazprom (Газпром) , alla costruzione del gasdotto hanno contribuito con il 50% dell’investimento iniziale OMV dell'Austria, Shell della Gran Bretagna, Engie della Francia, Uniper della Germania e l'unità Wintershall della BASF. Ideato oltre un decennio fa, la sua costruzione iniziò nel maggio 2018, ma in quell’anno l’allora presidente degli USA Donald Trump impose sanzioni a chiunque fosse coinvolto nella costruzione del Nord Stream 2, così circa diciotto aziende europee si ritirarono, tra cui la tedesca Wintershall, per paura di essere colpite da sanzioni finanziarie. Nonostante il ritiro da parte di molte aziende energetiche europee, Gazprom ha ultimato la costruzione del gasdotto a settembre scorso, ma, a causa dei difficili rapporti diplomatici tra la Russia e l’Occidente, il Bundestag tedesco non ha ancora rilasciato l’autorizzazione ufficiale per la messa in funzione. La Casa Bianca ha minacciato di nuovo forti sanzioni contro le aziende che hanno partecipato alla costruzione, se la Russia dovesse attaccare l'Ucraina. 

 

L'infrastruttura energetica sarebbe un bersaglio sensibile in caso di conflitto tra la Russia e l’Ucraina, in quanto le forniture di gas russo transitano in Europa attraverso la Bielorussia e l’Ucraina con i gasdotti Nord Stream 1, Blue Stream e Turk Stream, che rappresentano circa la metà di tutte le importazioni di gas nell'UE. I volumi che arrivano dall'Ucraina non potranno essere completamente sostituiti in caso di danni ai gasdotti ora attivi, neanche con l’aiuto degli Stati Uniti. A un eventuale danno ai gasdotti ucraini potrebbe invece essere fatto fronte, se la Germania autorizzasse l’apertura del gasdotto Nord Stream 2, affinché il deficit di gas in Europa fosse riassorbito, ma ovviamente ciò sarebbe possibile soltanto se una definitiva rottura diplomatica con la Russia fosse scongiurata. La situazione energetica in Europa è così critica che diverse voci hanno chiesto di esentare le relazioni energetiche dalle sanzioni che potrebbero essere imposte alla Russia, se dovesse peggiorare la situazione con l'Ucraina. Soprattutto la Germania ha puntato negli ultimi anni all’approvvigionamento del gas naturale nel quadro della transizione energetica, fintanto che non avrà implementato l’utilizzo di fonti energetiche alternative. Il bisogno di gas è diventato più impellente in Germania con la chiusura di tre delle sei ultime centrali nucleari della Germania il mese scorso. Le ultime tre chiuderanno a dicembre. 

 

L'ex cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, è dal 2005 a capo del consorzio Nord Stream AG, incaricato della costruzione dell'omonimo gasdotto tra la costa russa nella regione di Vyborg e la costa tedesca nella regione di Greifswald, passando per il Mar Baltico. In seguito si è occupato della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 ed è stato nominato presidente di Rosneft (Роснефть), società russa operante nel settore petrolifero e del gas naturale. Schröder è nel board della maggiore industria petrolifera russa dal 2017, è stato eletto per un secondo mandato a giugno 2021, con un compenso di 600 mila euro. Pochi giorni fa Schröder è stato, inoltre, nominato nel Consiglio di sorveglianza di Gazprom, la sua nomina sarà sottoposta all'Assemblea degli azionisti prevista per il 30 giugno a San Pietroburgo. L’ex leader socialdemocratico prenderà il posto di Timur Kulibayev, genero dell'ex presidente kazako Nursultan Nazarbayev, estromesso in seguito ai disordini di gennaio. Schröder ha criticato la richiesta di armi all’Occidente da parte dell'Ucraina, oltre ad aver accusato la Nato per il dispiegamento di truppe russe al confine ucraino. Le esternazioni di Schröder hanno suscitato critiche in patria e all’estero, evidenziando la spaccatura interna tra i socialdemocratici di Olaf Scholz, tra coloro che hanno una posizione interlocutoria nei confronti della Russia e coloro che, invece, nell’SPD, così come nel governo e tra i conservatori della CDU/CSU, sono favorevoli all’uso delle sanzioni. Nonostante il cancelliere Scholz abbia preso pubblicamente le distanze dalle dichiarazioni di Schröder, la Germania è stata fortemente criticata dagli alleati occidentali per essersi rifiutata di inviare armi all’Ucraina. Il governo tedesco si è limitato infatti a promettere a Kyiv elmetti, un ospedale da campo e 350 soldati da inviare in Lituania. Gli interessi, il giro di affari e i legami energetici con la Russia sono enormi per la Germania, inoltre su Scholz pesa una difficile eredità, quella di Angela Merkel, per anni considerata leader incontrastato della diplomazia dell’UE, che ha contribuito anche economicamente alla stabilizzazione della crisi ucraina con l’invio di circa due miliardi di dollari dall’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014. 

 

Nel frattempo l’Unione Europea è alla ricerca di nuove rotte per il gas. Il 4 febbraio il commissario europeo per l’energia Kadri Simson è stata in visita ufficiale in Azerbaigian per sondare la possibilità di forniture di gas. Con l’approvvigionamento energetico utilizzato come arma strategica o leva geopolitica, come sottolineato da James A. Baker nell’introduzione della monografia del 2006 Natural Gas and Geopolitics: From 1970 to 2040, a cura di David G. Victor, Amy M. Jaffe e Mark H. Hayes, il gas naturale giocherà un ruolo critico nel soddisfare le esigenze energetiche del mondo. Una serie di importanti fattori economici, politici e tecnologici, insieme alla crescente domanda globale di energia, l'attuale deregolamentazione dei mercati del gas e dell'elettricità, la preferenza per il gas come fonte di energia più pulita rispetto agli idrocarburi e il calo dei costi di produzione e trasporto del trasporto del gas naturale liquefatto (LNG), hanno posto le basi per un ruolo sempre più strategico del gas naturale nell'economia mondiale.

 

A farsi strada come acquirente privilegiato del gas russo è la Cina, che ha sottoscritto un contratto per una fornitura per un trentennio che prevede CNPC 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno, da erogare attraverso un nuovo gasdotto, che dovrebbe entrare in funzione tra due o tre anni collegando la regione dell'Estremo Oriente russo di Sakhalin attraverso il mar del Giappone con il nord-est della Cina, nella provincia di Heilongjiang. La Russia invia già gas alla Cina attraverso il suo gasdotto di 4.000 km denominato Power of Siberia, che ha iniziato a pompare forniture nel 2019 di gas naturale liquefatto (LNG). La Russia ha esportato 16,5 miliardi di metri cubi (bcm) di gas in Cina nel 2021. Il nuovo accordo, che ha coinciso con una visita del presidente russo Vladimir Putin alle Olimpiadi invernali di Pechino, aggiungerebbe altri 10 bcm, rispetto ai 38 previsti dai precedenti accordi tra i due Paesi. L'affare dovrebbe essere regolato in euro, per slegarsi dal sistema internazionale dell’energia che è regolato in dollari statunitensi e rientra nel progetto che Pechino ha di raggiungere la carbon neutrality nel 2060.

 

Tornando invece alle questioni europee, dopo i dialoghi svolti per telefono tra Biden, Macron e Putin nella giornata del 12 febbraio, che non hanno portato all’auspicata distensione diplomatica, c'è una reale possibilità che il conflitto Russia-Ucraina si intensifichi, aumentando i timori che i flussi di gas Russia-Europa possano essere interrotti. La conseguente tensione nei mercati del gas causata da queste tensioni politiche probabilmente fornirà supporto a tutti i mercati energetici in generale, compresi i prezzi del petrolio. Gli investitori sono rimasti concentrati sulle preoccupazioni di potenziali interruzioni dell'approvvigionamento tra i rischi geopolitici nelle regioni produttrici di gas, ma anche di petrolio.

 

Le preoccupazioni sull'offerta derivanti dalle crescenti tensioni geopolitiche hanno spinto i prezzi del Brent a 90 dollari al barile. Queste preoccupazioni hanno anche fornito il supporto per i prezzi previsti per raggiungere i 100 dollari e oltre tra le basse scorte nell'OCSE, le preoccupazioni per le forniture e la diminuzione della capacità di riserva all'interno dell'OPEC+. Inoltre un forte sell-off è previsto sui mercati azionari, a causa dell’annunciato aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve degli Stati Uniti, che dovrebbe essere applicato a partire da marzo, con un incremento dello 0,5%, in controtendenza rispetto allo 0,25% dell’ultimo biennio. Tale aumento potrebbe influenzare l’andamento del mercato dell’energia e il trend nel breve termine potrebbe essere un aumento del prezzo del greggio. L’aumento dei tassi di interesse di FED aggiunge quindi incertezza al mercato internazionale dell’energia, già sconvolto dalla minacciata riduzione di forniture di gas e petrolio dalla Russia. Gli esperti di finanza internazionale ritengono poco probabile che gli Stati Uniti vietino alle compagnie russe le transazioni in dollari, poiché ciò estrometterebbe la Russia dal mercato internazionale, avendo come conseguenza che i prezzi del greggio salirebbero alle stelle, aggiungendo così un elevato premio di rischio ai prezzi del greggio. Le previsioni di mercato, se la crisi russo-ucraina non dovesse esplodere proprio in questi giorni, non fanno rilevare tuttavia sostanziali cambiamenti nel mese di febbraio, il sistema delle forniture energetiche dovrebbe tenere, ma già a marzo, potrebbe essere necessario mettere mano alle scorte. Il Covid-19 ha rallentato il flusso commerciale e turistico internazionale, ma se la situazione pandemica dovesse migliorare, pur restando nei prossimi mesi elevati i prezzi del gas in Europa e le forniture limitate dalla Russia a causa delle tensioni geopolitiche, il petrolio diverrebbe il naturale sostituto del gas nelle prossime settimane. Un premio di rischio continuerà perciò a essere aggiunto ai prezzi del greggio fino a quando le tensioni USA-Russia rimarranno elevate.

 

L'aumento dei costi dell'energia ha fatto aumentare l'inflazione, soprattutto in Europa, dopo che i prezzi dei combustibili fossili sono quasi raddoppiati nell'ultimo anno. Anche l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari ha contribuito ad aumentare l'inflazione. Nel frattempo, le continue interruzioni della catena di approvvigionamento, i porti intasati, le tensioni logistiche e la forte domanda di merci hanno ampliato queste pressioni sui prezzi, soprattutto negli Stati Uniti. I prezzi più alti delle merci importate hanno contribuito all'inflazione in alcune regioni, tra cui l'America Latina e i Caraibi. È probabile che l'inflazione rimanga elevata. L'aumento dei prezzi quest'anno sarà in media del 3,9% nelle economie avanzate e del 5,9% nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo, prima di diminuire il prossimo anno, secondo il World Economic Outlook di gennaio 2022, uno studio pubblicato semestralmente dall’IMF (International Monetary Fund). Se l’emergenza pandemica dovesse rientrare nei prossimi mesi, l'inflazione dovrebbe diminuire e, a poco a poco, le difficoltà della catena di approvvigionamento dovrebbero di conseguenza attenuarsi, mentre le banche centrali dovrebbero aumentare i tassi di interesse e la domanda dovrebbe di nuovo orientarsi verso i servizi, invece che verso il consumo intensivo di beni. 

 

Nel caso in cui la crisi russo-ucraina dovesse rientrare, i contratti futures sul petrolio indicano che i prezzi del greggio saliranno di circa il 12% quest'anno, mentre i prezzi del gas naturale saliranno di circa il 58%. Tali aumenti per entrambe le materie prime sarebbero considerevolmente inferiori ai loro guadagni dell'anno scorso e sarebbero, probabilmente, seguiti da un calo dei prezzi nel 2023, quando gli squilibri tra domanda e offerta si dovrebbero ulteriormente attenuare. Ovviamente uno scenario di guerra porterebbe invece a un quadro economico internazionale catastrofico.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]