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N. 29 - Ottobre 2007

Genova 2001

La nuova dimensione della protesta nell’era della globalizzazione

di Stefano De Luca

 

19 luglio

Giovedì sfila il primo corteo new global, con la manifestazione dei migranti. La marcia dei 50.000 si snoda per Genova senza problemi di ordine pubblico, ma dal giorno dopo gli scenari ed i commenti cambiano bruscamente.

 

20 luglio

Venerdì all’ora di pranzo il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi riceve i leader a Palazzo Ducale. Negli stessi minuti iniziano in città gli incidenti. A provocarli sono i black block, che si muovono ai margini del movimento pacifico, con l’unico obbiettivo di creare disordini. Non sono moltissimi ma riescono nell’intento: dal primo Bancomat mandato in frantumi Genova non sarà più la stessa. Dentro la ‘zona rossa’ i grandi parlano di economia e lotta all’Aids, fuori è il caos. Le tute bianche e i militanti del Genoa social forum (Gsf) marciano verso la zona rossa (in quattro riusciranno anche ad entrare) lungo le strade, devastate dagli Anarchici. La tensione è alta, la situazione è ormai fuori controllo. La polizia carica con durezza, si scontra con le tute bianche, che accusano di aver avuto un’imboscata. In periferia i black block devastano tutto quello che trovano. Poco prima delle 18 le agenzie battono la notizia: “C’è un ragazzo morto in piazza Alimonia”. La notizia è confermata: il ragazzo morto è Carlo Giuliani 23 anni di Roma ma residente a Genova, figlio di un ex sindacalista della Cgil. A colpirlo a morte un carabiniere di 20 anni, assediato dentro una jeep assieme ad altri militari.

 

21 luglio

Il Gsf decide comunque di scendere in piazza con una manifestazione pacifica, per protestare contro l’oppressione delle forze dell’ordine. L’illusione di un corteo pacifico svanisce presto: i black block ricompaiono, il servizio d’ordine dei militanti di rifondazione e dei centri sociali non riesce ad isolare i violenti. La manifestazione si trova stretta tra le cariche delle forze dell’ordine e la violenza dei black block. La guerriglia si estende per tutta la città il bilancio è pesante: centinaia di feriti e di arrestati. Il leader delle tute bianche, Luca Casarini accusa: “Ci sono infiltrati della polizia nei cortei, abbiamo le foto”. nella notte la polizia fa irruzione in due scuole che ospitano il centro stampa del Gsf e un dormitorio dei contestatori. Il blitz porta a 93 fermati e 66 feriti e porta soprattutto uno scambio di accuse violentissimo tra forze dell'ordine e Gsf. Vittorio Agnoletto e gli altri parlano di “massacro, di pestaggio indiscriminato, di violenze senza senso e distruzioni”. Le forze dell'ordine ribattono che “era una perquisizione per individuare i black bloc, nascosti nella scuola” e che “un agente è stato colpito da una coltellata”. Molti dei fermati sono condotti alla caserma di Bolzaneto, dove si verificano episodi di violenza nei loro confronti da parte di elementi delle forze dell’ordine.

 

22 luglio

Il vertice ufficiale si chiude alle 12 di domenica con la foto ufficiale: i grandi varano un comunicato ufficiale nel quale si impegnano a lottare contro la povertà e l’inquinamento (anche se sul protocollo di Kyoto non c’è accordo). Il premier canadese Jean Chretien annuncia che il prossimo vertice si terrà a Kananaskis, un paesino di montagna nella provincia di Alberta. Il G8 finisce con le accuse del Gsf alla polizia e al governo, che replicano con altre contro-accuse.

 

Questa è una breve cronologia dei principali fatti accaduti durante le mobilitazioni contro il G8, ed è facile intuire l’importanza di Genova nella storia della lotta contro la globalizzazione. Ha rappresentato una delle mobilitazioni più significative contro un vertice internazionale sia per la grande partecipazione a tutte le azioni di protesta, che per la violenza della repressione.

 

Anche al G8 di Genova sono emerse le divergenze e le contraddizioni fra i grandi paesi, che avevano determinato anche il fallimento del Wto a Seattle. A causa dell’insuccesso del vertice, da più parti è stato ribadito come il G8 non sia più la sede adatta per le grandi questioni sulla globalizzazione.

 

Un anno prima del vertice del G8 a Genova, a Porto Alegre, all’incontro del movimento per una globalizzazione dal basso, è stata decisa una mobilitazione internazionale contro la globalizzazione neo-liberista, in vista del G8 che si sarebbe svolto a Genova. La mobilitazione contro il G8 è stata, in buona parte, coordinata dal Gsf, nel quale sono confluiti circa 800 gruppi di diversa consistenza e provenienza eterogenea, tra cui: Attac Italia; Arci; Cobas; tute bianche; Rete noglobale di Napoli; Network per i diritti globali; Giovani comunisti; Rifondazione comunista; Comitati unitari di base; Fiom; Legambiente; rete Lilliput; Carta; Sdebitarsi; Marcia mondiale delle donne.

 

La principale caratteristica del Gsf, infatti, è stata proprio la capacità di mettere in contatto gruppi, associazioni, reti, organizzazioni e individui con storie, forme d’azione, retroterra sociali e culturali molto diversi; ed ha permesso anche l’incontro fra le anime cattoliche del movimento e quelle più radicali vicine ai centri sociali.

 

Ciò che ha consentito di tenere insieme un numero così grande di organizzazioni è stato uno schema interpretativo comune, che ha permesso di creare una coalizione su una serie di considerazioni condivise, senza costruire però un’identità o un’ideologia unificante che avrebbe allontanato dal movimento molti soggetti, desiderosi di mantenere la propria identità. Il Gsf ha rappresentato il punto di arrivo di un lungo processo iniziato dopo le proteste di Seattle, proseguito con il coinvolgimento di molti attori collettivi, che hanno cominciato a lavorare insieme, sviluppando relazioni e rapporti di fiducia. Questo nuovo soggetto è riuscito ad attrarre organizzazioni che precedentemente avevano rifiutato di aderire ad analoghi coordinamenti. L’adesione al principale network della protesta genovese non era così scontata, in quanto non comportava solo la firma di un appello generico, ma anche l’impegno al rispetto di un “patto di lavoro”, cioè di un accordo sulle forme della mobilitazione.

 

Il Gsf è stato concepito come un organismo temporaneo, che aveva il fine di svolgere un ruolo di coordinamento fra diversi  soggetti di diverse nazionalità intenzionati a manifestare a Genova. Ha una organizzativa struttura ‘leggera’, ed utilizza internet per mantenere i contatti tra le organizzazioni che hanno aderito all’iniziativa. Esperienze del genere di coordinamento tra diversi gruppi su specifiche campagne o anche temi generali, erano gia state sperimentate negli anni Settanta dal movimento femminista e più tardi da quello pacifista.

 

Al Gsf hanno aderito l’area di Attac, quella di rete Lilliput e l’area dei centri sociali delle tute bianche e del Network per i diritti globali.

 

Le diverse anime del movimento si sono aggregate nelle piazze tematiche, soprattutto attorno all’associazionismo cattolico e laico di Lilliput, alle organizzazioni della sinistra più tradizionale nelle piazze di Attac e ai centri sociali dell’area delle tute bianche e del Network. Ciascuna di queste aree è poi internamente eterogenea, costituendo reticoli molto aperti, tanto da prevedere anche una compresenza di alcune associazioni in più di una delle aree menzionate. Ognuna di queste organizzazioni ha una propria ideologia, tradizione politica e un repertorio d’azione.

 

L’associazione francese Attac è stata creata nel 1998, per imporre un controllo democratico sulle istituzioni sovra-nazionali che guidano il processo di globalizzazione economica. Lo scopo è quello di modificare le dinamiche del sistema economico vigente attraverso l’utilizzo di alcuni strumenti tecnici come la tobin tax, un’imposta sulle transazioni monetarie. Questa proposta è in seguito divenuta una delle richieste del movimento per una globalizzazione dal basso, ed è recentemente entrata nel dibattito pubblico internazionale.

 

Attac-Italia si costituisce proprio nel 2001: è strutturata in comitati territoriali, comunali e inter-comunali. E’ un’associazione molto articolata, con uno statuto, un rigido elenco di regole e organismi, che richiede un’adesione formale.  Lo statuto permette l’adesione di persone fisiche e soggetti collettivi, ma esclude i partiti e altri movimenti politici organizzati. Attorno ad Attac tende ad aggregarsi un’area ampia di associazionismo tradizionalmente vicino alla sinistra: i Cobas, la Lega italiana per la lotta contro l’Aids e l’Arci.

 

Per quanto riguarda la rete Lilliput c’è da dire che a partire dal 1997, alcune delle organizzazioni che dalla fine degli anni Ottanta si erano coordinate per promuovere campagne comuni sugli squilibri prodotti dalla globalizzazione, decisero di dar vita il ‘tavolo inter-campagne’: cioè un luogo di coordinamento fra organizzazioni impegnate in campagne focalizzate su temi differenti, ma con gli stessi obbiettivi.  Questo ha consentito ai rappresentanti delle varie organizzazioni di incontrarsi, confrontarsi e definire metodi di lavoro basati su un processo decisionale consensuale e percorsi comuni, fino all’emergere nel 1999 della proposta di dare vita a una rete che avesse una diffusione su tutto il territorio nazionale, e che esaltasse il livello dell’agire locale. Quindi un progetto che parte prima della protesta di Seattle, ma è solo dopo il fallimento del Wto che acquisì una certa presenza.

 

Il nome della rete deriva dal romanzo di Jonathan Swift I viaggi di Gulliver: nella metafora Gulliver rappresenta gli 8 “grandi”, oppure i colossi economici delle multinazionali, invece i lillipuziani coloro che li imbrigliano, cioè le varie organizzazioni della rete.

 

La rete Lilliput è costituita da vari nodi locali, che sono a loro volta reti di gruppi, associazioni e singoli, con una struttura organizzativa leggera, non gerarchica e dal basso. Questa di Lilliput può essere definita come l’area eco-pacifista, cattolica, laica, che pone anche una forte enfasi sull’ecologia, la pace e i diritti delle donne. Ed è in questo coordinamento che una parte dei nuovi movimenti sociali (ad esempio, quello femminista e quello ambientalista) si incontra con l’impegno cristiano e cattolico.

 

Per quanto riguarda l’area ambientalista appartengono la rete Lilliput la sezione italiana del Wwf, in più, anche ne nono ne fanno parte integrante, anche Legambiente e la Lega anti-vivisezione, gravitano intorno all’area ambientalista della rete non violenta.

 

Vi è l’area dell’associazionismo cattolico: con Mani tese (nata nel 1964, è un’associazione laica che si occupa di sensibilizzazione e cooperazione allo sviluppo); Pax Christi (movimento internazionale per la pace creato nel 1945); rete Radiè Resch (nata nel 1964, si occupa di intervenire sulle disuguaglianze fra nord e Sud del mondo, attraverso progetti di sviluppo nei paesi poveri.

 

Altra importante componente della rete Lilliput è rappresentata dalle campagne come Multilateral Agreement on Investments, Stop Millennium Round, per la cancellazione del debito estero dei paesi poveri, la campagna per la riforma della Banca Mondiale, e quella per la solidarietà con i popoli africani.

 

Una terza area che ha aderito al Gsf è quella dei centri sociali, caratterizzata da un livello di coordinamento interno estremamente basso. A partire dal 1998  c’è stato un coordinamento, per dare vita ad un’azione congiunta su alcune campagne riguardanti l’amnistia e la depenalizzazione dell’uso di sostanze stupefacenti e il riconoscimento totale dell’autogestione degli spazi sociali. Quest’area dei centri sociali, al cui interno nascono le tute bianche, si caratterizza per l’ingresso di alcuni suoi attivisti nell’istituzione del governo locale; infatti proprio il rapporto con le istituzioni è uno dei principali fattori di differenziazione fra le tute bianche e gli altri centri sociali più radicali. Il repertorio dell’azione è caratterizzato dall’utilizzo delle disobbedienza civile moderata, e per l’adozione di una prospettiva di riforma radicale della società civile.

 

A partire dalle proteste napoletane contro il Global foum del 2001,  una parte consistente dei centri sociali che non ha accettato di unirsi al coordinamento delle tute bianche, si è collegata e coordinata per acquisire maggiore visibilità e abbandonare una condizione di marginalità mediatica e sociale, dando vita al Network per i diritti globali.

 

Novità importante della protesta contro il G8, è l’adesione al Gsf di quest’ala più radicale dei centri sociali, il Network (anche se come si capisce dalla figura una parte ad esso collegata ha rivendicato la propria autonomia).

 

Durante i giorni di Genova le tute bianche hanno deciso di sciogliersi per favorire l’aggregazione di un soggetto più ampio, con lo scopo di coinvolgere gruppi antagonisti e i collettivi studenteschi. Dopo Genova, le ex tute bianche e alcuni soggetti che facevano parte del Network hanno dato vita all’esperienza dei Disobbedienti, all’interno del quale confluiscono anche i Giovani comunisti (organizzazione giovanile di Rifondazione comunista).

 

I gruppi esterni al Gsf sono: il campo antimperialista, gli anarchici contro il G8, i black block e i gruppi cattolici. Il campo antimperialista si è costituito nel 2000, mettendo in rete organizzazioni e movimenti di vari continenti contro quello che viene considerato il nemico comune: l’imperialismo.

 

Criticano il Gsf per aver “eretto una seconda zona rossa”, che emarginava l’area antimperialista nella mobilitazione anti-G8. Scopo degli antimperialista è di costituire un terzo polo all’interno del movimento, per evitare che il movimento si divida tra i moderati che si illudono di poter riformare la globalizzazione e le componenti più radicali (black block), che hanno comune unico scopo quello di spettacolizzare la  protesta con l’uso della violenza. Altro gruppo esterno al Gsf sono gli Anarchici contro il G8, un coordinamento con lo scopo di essere il punto di riferimento per tutti gli anarchici presenti alla protesta di Genova. Non avevano rapporti con il Gsf, e si sono anche distanziati dalle proteste del black block, che anche dagli anarchici avevano criticato per l’ossessiva attenzione alla spettacolarizzazione della protesta, con l’uso di azioni violente.

 

Gli Anarchici contro il G8 ritengono impossibile imprimere una direzione diversa al processo di globalizzazione, cioè ritengono che una globalizzazione dal basso sia irrealizzabile, e anche per questa ragione criticano le organizzazioni aderenti al Gsf.

Esterni al coordinamento, logicamente, erano i gruppi di black block che affermavano di non voler seguire le linee guida del Gsf, per non sentirsi limitati nelle proprie azioni, e anche loro, come gli Anarchici, si contrappongono alla globalizzazione tout court. Affermavano che l’unico cambiamento definito possibile consiste nel disfarsi del capitalismo, criticando tutte quelle forme moderate e riformiste delle organizzazioni che si erano coordinate nel “patto di lavoro”.

 

Per quanto riguarda i gruppi cattolici c’è da premettere che in occasione del giubileo del 2000, si era  instaurata una relazione e una sovrapposizione fra le tematiche portate avanti dal movimento per una globalizzazione dal basso, e quelle su cui si mobilita una componente importante del mondo cattolico. Nonostante questa parziale coincidenza, una parte molto significativa dei gruppi cattolici critici della globalizzazione (Acli, Agisci, Azione cattolica, ecc.), ha preferito non aderire al Gsf per evitare di essere confusi con chi non esclude l’utilizzo di forme di protesta violente. Questi gruppi avevano approvato un Manifesto ai leader del G8, dai contenuti che coincidevano con le richieste di molte delle organizzazioni del Gsf: come la cancellazione del debito estero dei paesi poveri, imposizione di una tobin tax, accessibilità ai medicinali, ratifica del protocollo di Kyoto.

 

I gruppi aderenti al Gsf hanno formulato un ‘patto di lavoro’, che dovevano sottoscrivere tutti coloro che volevano aderire al contro-vertice, cioè un documento dove le uniche forme d’azione accettate erano quelle pacifiche e non violente. Come emerge dalla figure le organizzazioni aderenti al Gsf avevano comunque forme d’azione diverse, ma accomunate da una forte capacità di impatto mediatico.

 

Le organizzazioni del Gsf hanno adottato una divisione delle strade e delle piazze in relazione alle specifiche forme d’azione di ciascun network, sulla base di un ‘patto di mutuo rispetto’.

 

Nelle piazze di Lilluput venivano utilizzate azioni non violente, organizzate dal mondo dell’associazionismo laico e cattolico, e ispirate alle azioni di resistenza pacifica di Gandhi. Per rendere evidente la loro scelta non violenta si sono dipinti le mani di bianco, tenendole alzate davanti alla polizia. La scelta delle mani bianche ha permesso una certa visibilità, anche se Lilliput ha avuto una scarsa copertura mediatica, forse anche a causa della mancanza di un leader carismatico (visto che la rete rifiuta la personalizzazione e la professionalizzazione dell’impegno politico).

 

Anche nelle piazze di Attac, occupate anche da partiti di sinistra e sindacati,  le forme d’azione erano pacifiche con un alto impatto mediatico. Infatti il repertorio d’azione di Attac si ispira alle azioni di protesta spettacolari messe in atto da Greepeace.

 

Le tute bianche hanno utilizzato come forma di protesta la disobbedienza civile. La tattica utilizzata si basa sulle messa in scena del conflitto, attraverso la simulazione dello scontro di piazza. L’azione consiste nel raggiungere i cordoni di polizia (immagine ad alto impatto mediatico), con le mani alzate in segno di non aggressione, sono anche preparati a subire le cariche delle forze dell’ordine senza reagire.

 

Per quanto riguarda il Network, era stato accettato all’interno del Gsf a condizione che venissero moderate le forme d’azione. Infatti pur rifiutando molte delle caratteristiche delle tute bianche, da queste avevano ripreso la tattica della disobbedienza civile. Invece la parte del Network che non ha voluto aderire al Gsf ha utlizzato forme diretta contro obbiettivi simbolici.

 

I black block hanno sia utilizzato forma d’azione diretta, contro quelli che vengono considerati i simboli del capitalismo (banche e imprese multinazionali), ma vi sono state anche azioni contro piccoli negozi e autovetture private, incluse quelle di bassa cilindrate. Ciò ha portato anche all’interno dello stesso schieramento del black block, ad una critica delle azioni ritenute legittime.

 

Nei giorni seguenti i fatti di Genova, tutta la stampa mondiale, disinteressandosi dei mediocri risultati del vertice ufficiale, avrebbe dato enorme rilievo agli incidente avvenuti durante le manifestazioni. Sia l’irruzione nella scuola Diaz, sia le torture di Bolzaneto sono state definite dalla stampa internazionale come episodi degni di una dittatura.

 

Il dopo Genova evidenzia inoltre il carattere transnazioanle non solo del movimento new global ma ormai anche delle risposte ad esso, sia in termini politici che di ordine pubblico. Le manifestazioni di protesta che si sono svolte in tutti, o quasi, gli Stati europei sotto ambasciate e consolati italiani sono state indirizzate in primo luogo contro la repressione a Genova, ma anche, come ad esempio in Germania, contro la polizia del proprio Paese, mettendo al centro della discussione le sue strategie applicate al movimento prima del vertice e la risposta dei propri politici alle domande del movimento.

 

Riferimenti bibliografici

 

http://www.globalizzazione2000.it/G8digenova.htm e http://www.repubblica.it 

Giulietto Chiesa, G8/Genova, Torino Einaudi, 2001

Donatella Della Porta, I new global. Chi sono e cosa vogliono i critici della globalizzazione, Bologna, Il Mulino, 2003

Mizio Ferrarsi, I silenzi della zona rossa: G8 e dintorni, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2001

Aa. Vv., Mappe dei movimenti. Da Porto Alegre al Forum Sociale Europeo, Asterios, Trieste, 2002

Christophe Aguiton, Il mondo ci appartiene. I nuovi movimenti sociali, Feltrinelli, Milano, 2001

http://www.attac.org/italia

http://www.retelilliput.it

Limes, L’Italia dopo Genova, Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, n. 4. 2001

Massimiliano Andreatta, Donatella Della Porta, Lorenzo Mosca, Herbert Reiter, Global, Noglobal, New global. La protesta contro il G8 a Genova, Latreza, Roma-Bari, 2002

Aa. Vv., L’Italia dopo Genova, numero monografico di ‘Limes’,  4 2001

 



 

 

 

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