SULLA GENESI DEL SIONISMO
Dal protosionismo a Theodor
Herzl
di Emanuele
Molisso
Il dualismo tra pratica e fede, le
tensioni tra una visione laica del
tema del ritorno del popolo ebraico
in Terra Santa e il misticismo e le
aspirazioni messianiche portate
avanti dall’ebraismo tradizionale,
sono stati degli elementi sempre
presenti nella storia della
formazione del movimento sionista.
Una formazione che ha avuto
inizio con l’Haskalah (illuminismo
ebraico), una corrente che nacque e
si sviluppò alla fine del XVIII
secolo in Germania, nel momento
storico precedente all’emancipazione
e al riconoscimento dell’uguaglianza
politica e sociale degli ebrei. Il
fondatore fu il filosofo tedesco di
origini ebraiche, Moses Mendelssohn,
il quale è stato il primo
rappresentante dei “maskilim”
(illuministi ebrei), i quali
tentarono di coniugare la ragione
dei Lumi (Aukflarung tedesca) con
l’ebraismo per prepararsi
all’incontro con le società europee.
Gli obiettivi dell’Haskalah
erano due e complementari tra loro:
da un lato cercava di conservare gli
ebrei come un collettivo unico e
separato, promuovendo un
rinnovamento culturale e morale
mirante soprattutto a una rinascita
della lingua ebraica; allo stesso
tempo, l’obiettivo principale
restava la promozione
dell’integrazione degli ebrei nelle
società circostanti attraverso lo
studio della lingua e della cultura
di queste società “non ebree”.
I maskilim tedeschi, seguendo
queste due direttive, iniziarono a
pensare a un ebraismo rappresentato
soltanto attraverso termini
religiosi e questo causò la
scomparsa delle nozioni di popolo
ebraico e di nazione ebraica, che
causarono uno studio razionalistico
dell’ebraismo nelle università
tedesche. Eliminare la componente
mistica, portò al confezionamento di
un ebraismo nuovo e modificato da
parte dei maskilim tedeschi, con il
fine di renderlo accettabile agli
occhi dei compatrioti.
Una situazione che fece
insorgere il filosofo tedesco di
origini ebraiche, Gershom Scholem,
il quale affermò che il misticismo
era parte integrante e vitale
dell’ebraismo “vivo” e accusò i
maskilim tedeschi di aver ceduto
all’illusione di una simbiosi
ebreo-tedesca, che però, portò
all’impossibilità di pensare
all’idea nazionale e quindi all’idea
di sionismo.
Questi processi fecero
risvegliare le comunità ebraiche di
tutta Europa, visto che l’Haskalah
varcò i confini tedeschi e attecchì
soprattutto in Russia, dove alla
fine del XIX secolo, entro i confini
dell’impero zarista vivevano due
terzi del totale degli ebrei
europei.
In questo contesto, i
maskilim russi cercarono di creare
un ponte tra la cultura ebraica e il
mondo russo e questo portò nel 1863,
a San Pietroburgo, alcuni maskilim
russi a fondare la Società per la
diffusione dei Lumi, il cui
principale obiettivo era quello di
espandere la lingua russa in un
mondo che parlava quasi
esclusivamente yiddish. La questione
fondamentale era quale lingua, tra
l’ebraico o il russo, bisognasse
usare nell’educazione e la
maggioranza si espresse a favore del
russo, infatti, la Società, oltre a
cercare di far conoscere l’ebraismo,
incoraggiava anche numerose
traduzioni in russo, tra le quali
quella dei libri di preghiere o
quelli di matematica e di scienze
naturali. Da qui emerge come l’Haskalah
russo cercasse di avvicinarsi al
mondo non ebraico e allo stesso
tempo cercò di favorire la corrente
nazionale ebraica.
In questo contesto, la Russia
divenne la culla del rinnovamento
culturale e nazionale del mondo
ebraico con il nome di Chochmat
Israel, i cui seguaci, a partire dal
1830, utilizzarono i Lumi della
ragione per rinnovare gli studi
ebraici e promuovere l’emancipazione
nazionale ponendosi su un lato
opposto rispetto all’Haskalah
tedesco, il quale, invece, tentò
l’integrazione con la cultura
tedesca ma cercando di rimodellare
l’ebraismo. Di contro, quindi,
l’ebraismo dell’Europa Orientale,
minacciato dalla “secolarizzazione”,
si assicurò di poter sopravvivere
solo ritornando alle origini
culturali e nazionali attraverso
l’erudizione e le lingue ebraiche.
L’ Haskalah, in tutte le sue
varie esperienze, insieme ai
principi di Chochmat Israel furono
alla base dei progetti dei
protosionisti tra il XVIII e XIX
secolo. Il pensiero dei
protosionisti nasceva da due temi
fondamentali e ricorrenti
nell’immaginario collettivo delle
comunità ebraiche: la devozione
verso Eretz Israel e il tema del
ritorno a Sion.
Per gli ebrei, nonostante la
Diaspora avvenuta sotto il regno di
Babilonia e sotto l’Impero Romano,
il legame con la Terra promessa
rimase sempre vivo. Per tutti i
secoli successivi, continuò a
esserci una presenza di piccole
comunità ebraiche in Palestina. Esse
erano il risultato
dell’assembramento degli ebrei che,
nel corso dei secoli, avevano scelto
di trasferirsi in Terra Santa
stabilendosi soprattutto nelle città
di Gerusalemme e Hebron.
Questa tesi sembra essere
confermata dal censimento realizzato
da Moses Montefiore (1784-1885) nel
1840. Quest’anno corrispondeva al
5600 del calendario ebraico che
secondo la Kabbalah, era l’anno
della redenzione d’Israele,
esattamente il “seicentesimo anno
del VI millennio”. Il censimento
mostrava, come la rinnovata attesa
messianica per la redenzione della
terra promessa aveva fatto
raddoppiare le emigrazioni e il
numero di ebrei in Eretz Israel tra
il 1830 e il 1839. Quindi,
analizzando questi dati, notiamo che
nella prima metà dell’Ottocento in
Palestina ci fu un aumento della
popolazione ebraica dovuto
soprattutto a credenze religiose.
Nella seconda metà
dell’Ottocento, il rimando a Sion
cominciò a essere definito in
termini “politici” e non più
soltanto religiosi, visti i processi
di emancipazione che modificarono
l’immagine della Palestina nelle
menti degli ebrei in Europa. Nei
primi decenni del XIX secolo,
registriamo la comparsa delle prime
proposte per restaurare una patria
nazionale ebraica in Palestina,
vista sempre di più come la terra di
una possibile Redenzione.
Una serie di proposte che
provenivano maggiormente dagli
ambienti ebraici dell’Europa
orientale, infatti, non trovarono
consensi in alcuni gruppi ebraici
dell’Europa occidentale, soprattutto
in quelli tedeschi, influenzati
dalla scienza dell’ebraismo e quindi
da una cultura favorevole
all’assimilazione, che vedeva il
ritorno nella Terra promessa, non
più come l’obiettivo primario da
perseguire.
Nessuno riusciva, in modo
concreto, a definire un’idea di
ritorno a Sion coerente e da
proporre sotto forma di letteratura.
La svolta avvenne intorno alla metà
del XIX secolo, quando iniziò a
cristallizzarsi l’idea nazionale
ebraica.
Un primo tentativo fu
realizzato da un rabbino sefardita
di Sarajevo, rabbi Yehudà Chai
Alkalai (1798-1878), considerato il
primo protosionista perché fu uno
dei primi a elaborare un progetto
protonazionale seppur ancora legato
all’idea di Redenzione. Il suo
pensiero lo espresse nella sua opera
dal titolo in Minchat Yehudà
(L’offerta di Giuda), tra il 1843 e
il 1845, si basava su di un progetto
di autoredenzione che esortava gli
ebrei a non aspettare più
passivamente l’arrivo del Messia ma
li incoraggiava a prendere da soli
in mano la situazione per propiziare
l’autoredenzione e la venuta del
Messia, attraverso un’immigrazione
in Eretz Israel.
Per questo suo progetto,
Alkalai propose di fondare una
Società di colonizzazione con
l’obiettivo di ricomprare la Terra
Santa dell’Impero Ottomano; una
proposta che poteva essere
realizzata solamente con un sostegno
finanziario da parte degli ebrei
ricchi e acculturati dell’Europa
Occidentale, che avevano il compito
di finanziare l’acquisto di queste
terre, dove si sarebbero
successivamente insediati gli ebrei
educati dall’Alliance israèlite
universelle, fondata a Parigi nel
1860. Alkalai iniziò a raccogliere
fondi destinati all’acquisizione di
terre per la Società ma venne sempre
ricevuto con scetticismo dai
notabili ebrei e nonostante i suoi
numerosi viaggi, ottenne risultati
scarsi.
Il pensiero di Alkalai fu
ripreso da un rabbino ashkenazita
Zvi Hirsch Kalischer (1795-1874) che
nel 1862 pubblicò Drishat Zion (Alla
Ricerca di Sion) in cui propose un
compromesso tra il pensiero laico e
le tradizionali aspirazioni
messianiche. Una terza via che non
subordinava più l’arrivo degli
ebrei, nella Terra promessa, alla
venuta del Messia, ma anzi prevedeva
l’immigrazione in Palestina per
accelerare la Redenzione, che
sarebbe stata portata a termine
successivamente con l’arrivo del
Messia.
Quest’immigrazione, secondo
il suo progetto, doveva essere
favorita dalla fondazione di
un’organizzazione che si doveva fare
carico dell’acquisto di terre e
vigne, per favorire gli
insediamenti, in Palestina. Egli
decise di mettere in pratica questo
suo progetto nel 1836 quando propose
al barone Asher Ansel Rothschild, di
Francoforte, di acquistare da
Mohammed ‘Ali, viceré d’Egitto,
terre in Eretz Israel; proposta che
inoltrò anche a Sir Moses Montefiore,
ricevendone in entrambi i casi
risposte negative.
Mettendo a confronto le due
teorie, notiamo che Kalischer si
inserisce nello stesso filone di
pensiero di Alkalai. Entrambi i
rabbini provenivano da ambienti in
cui prevaleva il giudaismo
tradizionale, con quest’ultimo che
considerava il crescente fervore
nazionalistico in Europa, unito alle
numerose “idee” dei gentili per un
ritorno a Sion, dei pericoli per le
antiche credenze ebraiche.
Con le loro opere, i due
rabbini muovevano un attacco contro
gli ebrei assimilati dell’Haskalah,
infatti giudicavano negativamente
l’opportunità dell’emancipazione e
portavano avanti l’idea che soltanto
la strada nazionale avrebbe salvato
l’ebraismo minacciato dall’Europa.
Il loro pensiero è moderno e
messianico allo stesso tempo. Essi
gettarono le basi all’idea di una
restaurazione nazionale in Eretz
Israel compatibile con
l’insegnamento della Torah.
Questo prenazionalismo
ebraico che coniugò l’eredità
messianica con la secolarizzazione,
trovò poi la sua massima espressione
nella figura di Moses Hess
(1812-1875). Hess aveva una forte
ammirazione per nazionalismo
italiano, che portò all’Unità
d’Italia, e quegli eventi ispirarono
la sua opera principale ovvero Roma
e Gerusalemme. L’ultima questione
nazionale.
L’opera poneva il problema
principale della questione ebraica:
l’assenza di una patria. Sulla scia
dei nazionalismi di quegli anni,
Hess era giunto alla conclusione che
bisognava riconoscere il carattere
nazionale dell’ebraismo che doveva
far “risorgere” dal punto di vista
politico il popolo ebraico; una
rinascita politica che aveva come
obiettivo una rigenerazione del
popolo ebraico, che poteva avvenire
solamente grazie al rito e alla
fede.
Si capisce quindi perché Hess
insistesse sulla rinascita nazionale
come unica soluzione alle
discriminazioni da parte delle
maggioranze non ebraiche. Era questa
una visione che univa l’aspirazione
socialista e l’aspirazione nazionale
ebraica a quella messianica, che
avrebbe portato a un raduno
territoriale con tutti gli ebrei
stretti osservanti dei precetti
dell’ebraismo tradizionale, in
Palestina.
Nonostante Hess condividesse
il senso di isolamento e distacco
dall’ebraismo occidentale, come in
Alkalai e Kalischer, analizzando la
sua opera emerge come egli si possa
considerare un sionista “ante
litteram”: attribuzione valida
perché effettivamente egli ragionò
in termini nazionali per risolvere i
problemi di un popolo senza nazione,
lo stesso principio che diverrà il
fondamento dell’ideologia sionista.
Analizzando il protosionismo
nelle sue varie forme, si nota che
tra la fine del XVIII secolo e
l’inizio del XIX secolo si creò una
frattura insanabile tra l’ebraismo
occidentale e quello orientale; una
frattura acuita dall’Haskalah e i
suoi seguaci, colpevoli secondo
l’ebraismo ortodosso di essersi
allontanati dalla Torah e di aver
rinnegato i precetti dell’ebraismo
tradizionale.
Il rendere politico il primo
apparato di idee del sionismo, non
deve distogliere l’attenzione dalla
sempre presente aspirazione
messianica e di redenzione; quella
componente religiosa legata a un
misticismo, che continuò a essere
parte integrante delle comunità
ebraiche perché riusciva ad
alleviare il senso di alienazione in
un ambiente estraneo ma che
soprattutto aveva tenuto legati, nel
corso dei secoli, gli ebrei alla
loro patria.
L’apparato di autori e opere
protosionisti ha influenzato una
figura fondamentale che, ancor prima
di Theodor Herzl, gettò le vere e
proprie basi del progetto sionista.
Stiamo parlando di Leon Yehuda Leib
Pinsker (1821-1891). Egli era tra i
principali fautori di un processo
che vedeva gli ebrei assimilarsi e
adottare la cultura russa ma cambiò
radicalmente la sua visione dopo gli
eventi del 1881 (pogrom di massa a
Elizavetgrad, odierna Kirovo)
arrivando alla conclusione che solo
il possesso di una patria poteva
offrire sicurezza da quel clima di
odio, al popolo ebraico.
Pinsker affidò il suo
programma ideologico a un pamphlet
pubblicato anonimo, nel settembre
del 1882, a Berlino intitolato
Auto-emancipazione: Appello di un
ebreo russo ai suoi fratelli. Il
testo di Pinsker è mosso
principalmente dalla sua
preoccupazione verso l’antisemitismo
che considerava un male incurabile e
permanente nella società
Occidentale.
Egli ragionò sulle cause
della persistenza dell’antisemitismo
e arrivò a individuare tre aspetti
fondamentali: 1) gli ebrei erano
considerati un popolo-fantasma che
destabilizzava gli stati a base
territoriale e nazionale; 2) gli
ebrei erano presenti in ogni nazione
e questo conferisce
all’antisemitismo una dimensione
sovranazionale; 3) gli ebrei
entravano in contrasto con le élites
economiche e nazionali.
La soluzione che Pinsker
propose nella sua opera fu quella di
invitare alla mobilitazione gli
ebrei per creare una “propria
patria” in cui vivere serenamente
senza paura di pogrom o
persecuzioni. Il suo pamphlet generò
varie correnti di pensiero che
ebbero come obiettivo comune la
realizzazione del suo progetto di
auto-emancipazione ovvero
l’emigrazione in un paese per avere
una terra tutta per sé. Presupposto
fondamentale, espresso da Pinsker
nella sua opera, doveva essere
l’abbandono di ogni tentativo di
assimilazione nelle varie società e
la volontà di costituirsi come una
nazione vera e propria.
L’opera diffuse l’idea
dell’indipendenza e autonomia del
popolo ebraico, delineando la base
su cui lavorò successivamente Herzl,
soprattutto quello che rappresentò
l’aspetto più innovativo del
progetto di auto-emancipazione
immaginato da Pinsker ovvero quello
di proporre una patria diversa dalla
Terra Santa, che sarà il tema
principale dell’operato di Herzl.
La proposta rappresentò
un’innovazione perché segnò un punto
di rottura con tutte le posizioni
messianiche e le loro visioni di
Eretz Israel come luogo di
redenzione del popolo ebraico ed è
proprio da questo momento, che
iniziarono a diffondersi nuove idee
di emigrazioni verso gli Stati Uniti
d’America e in Palestina; e
nonostante lo ritenesse immorale,
Pinsker affermò che fosse un
progetto realizzabile soltanto
attraverso l’aiuto economico dei
ricchi ebrei occidentali.
Auto-emancipazione ebbe molto
successo nell’Europa orientale,
perché i pogrom del 1881 avevano
fatto perdere ogni credibilità ai
progetti d’integrazione con la
società russa. Molti ebrei, a
partire da quel momento, decisero di
prendere in mano la situazione e si
organizzarono in piccole società che
iniziarono a preparare il ritorno a
Sion.
Queste società nacquero in
varie città dell’Impero russo con il
nome di Chovevei Tzion (Amanti di
Sion) che si raggrupparono tutte nel
movimento di Chibbat Tzion (Amore
per Sion). Un movimento che fu
fondato negli ultimi mesi del 1881,
quando ottanta studenti universitari
si incontrarono a San Pietroburgo
con l’obiettivo di formare un
movimento che li portasse ad
abbandonare la Russia.
Questo sentimento nacque dal
rifiuto di quelle visioni
dell’ebraismo tradizionale che
vedevano nei pogrom una punizione
divina, che veniva accettata da una
buona parte dei fedeli. Gli studenti
che non accettavano più questa
visione decisero di allontanarsi dai
dirigenti tradizionali che, secondo
loro, “chiusero gli occhi” davanti
alle violenze dei pogrom.
Questo fermento studentesco
portò alla nascita, intorno al 1882,
di molte società legate al movimento
di Chibbat Tzion. Troviamo
organizzazioni come Benei Zion e
Nehemia rivolte ai giovani e agli
studenti, Nes Ziona dedita
all’attività letteraria oppure
società come Zerobabel che aveva il
compito di organizzare e aiutare gli
emigranti diretti in Palestina.
Molte di queste erano di ispirazione
religiosa, altre rifiutavano la
componente religiosa ma tutte
avevano un unico scopo,
“l’insediamento dei nostri fratelli
in Eretz Israel”.
Il movimento elesse Pinsker
come suo leader e il due ottobre del
1883, nella sua casa di Odessa,
riunì trentaquattro personalità
ebraiche che stilarono gli statuti
del movimento di Chibbat Tzion.
Questi statuti misero in chiaro che
la migrazione verso Eretz Israel
doveva essere realizzata
completamente dagli ebrei russi,
senza aspettare l’aiuto
dell’Occidente, ma soprattutto
misero in chiaro che il movimento
era «aperto a ogni figlio di
Israele, il quale ammetta che non
esiste salvezza per Israele finché
non verrà stabilito in terra di
Israele un governo ebraico».
Queste riunioni segnarono una
svolta perché portarono gli ebrei a
gestirsi sul piano politico ma
nonostante quest’ultime, non si
riuscì a indirizzare in un’unità di
intenti comune le numerose società.
Il futuro appariva confuso,
ma in questi primi anni di vita va
riconosciuta la portata innovativa,
dal punto di vista morale e
intellettuale, del movimento di
Chibbat Tzion. Eretz Israel è sempre
posta al centro ma gli ebrei devono
conquistarsela con le proprie forze
senza aspettare l’aiuto da terze
parti (rifiuto filantropia e
distacco dalle visioni messianiche).
Il movimento creò una tensione verso
la Palestina nell’Europa orientale
per la prima volta, distinguendosi
come prima espressione politica del
popolo ebraico dopo l’Esilio.