I
FUNGHI
e
la
LORO
simbologia
CREDENZE, TRADIZIONI E USI
di Giulia
Cesarini Argiroffo
II
funghi sono organismi eucarioti
eterotrofi, d’aspetto assai vario,
privi di clorofilla e che non
compiono la fotosintesi. Quindi non
hanno bisogno di vivere alla luce e
possono crescere sottoterra o in
altri luoghi oscuri. Non sono in
grado di nutrirsi da soli; prendono
la loro energia da altri organismi
vivi o morti. La loro riproduzione
può avvenire in più modi. Esistono
tantissimi tipi di funghi con le
loro peculiarità che vivono in
diversi ambienti. Il
loro corpo vegetativo (micelio) è un
tallo uni o pluri-cellulare, formato
da elementi filiformi (ife)
fittamente intrecciati che di solito
si estendono velocemente.
Infatti la caratteristica sulla loro
straordinaria rapidità nel
moltiplicarsi ha ispirato in molte
lingue dei detti come “Crescere come
funghi” o, a proposito di chi
compare improvvisamente e
inaspettatamente il proverbio, ”È
spuntato come un fungo”.
Alcuni tipi di funghi sono negativi
come quelli parassitari che
provocano malattie nei vegetali o
nell’Uomo, altri tipi però sono
positivi. Tra quest’ultimi vi sono
per esempio i funghi “spazzini” del
sottobosco che contribuiscono a
creare humus, rilasciando composti
che arricchiscono il terreno di
sostanze fertili. Anche quelli noti
come “fermenti” e lieviti che
provocano molte reazioni chimiche
utilissime, come la formazione
dell’alcol dagli zuccheri. La
benefica muffa Penicillium da
cui si ricava la penicillina alla
base della creazione d’antibiotici e
altri medicinali.
Inoltre fra i più noti ci sono le
sgradevoli muffe ma anche i funghi
dei boschi, mangerecci o velenosi,
quali i porcini o gli ovuli. Di
quest’ultimi è importante constatare
ch’è solo la parte fruttifera, cioè
il gambo e il cappello, che si vede
spuntare nel sottobosco. Questa
produce le spore e si forma quando
l’organismo è pronto a riprodursi ma
la sua parte permanente e
fondamentale è costituita dalla
trama di ife nascoste sottoterra, il
micelio.
Così per esempio, nei boschetti di
betulle, di abeti e di pini capita
in autunno d’incontrare famiglie di
funghi dal cappello rosso fuoco,
punteggiato di verruche bianche e
che si dispongono in cerchi
regolari: sono le Amanitae
muscariae, funghi allucinogeni.
Questi sono velenosi, ma non mortali
se non si supera un certo
quantitativo. Contengono infatti la
muscarina che provoca a dosi elevate
broncocostrizione, blocco cardiaco e
caduta pressoria. L’effetto
allucinogeno è dovuto specialmente
all’acido ibotenico e al muscimolo,
che suscitano delirio, spasmi
muscolari e torpore; si riscontrano
nelle urine di chi ha mangiato il
fungo.
L’Armanita muscaria era il
fungo largamente sfruttato dai
popoli della Siberia, ingerito dagli
sciamani siberiani per iniziare il
viaggio lungo la betulla cosmica. La
si assumeva allo stato crudo o dopo
qualche manipolazione o s'ingoiava
l’urina di una persona che l’aveva
consumata. Inoltre qualche studioso
ha voluto identificare l’Armanita
muscaria col mitico Soma della
tradizione induista.
Nell’Antica Cina il fungo, ku o chih,
era un simbolo di lunga vita:
compariva anche come fungo magico,
fungo divino o esprimeva l’idea
d’immortalità. Sulle Isole dei Beati
della tradizione cinese esisteva un
“Palazzo fungo” fatto d’oro e
d’argento. Quindi alcuni funghi
sono capaci di favorire viaggi
extracorporei. Una volta, anche
nell’America Centrale, si usavano
nell’ambito di riti e cerimonie
sotto il controllo di chi ne
conosceva poteri e pericoli. Per
esempio nell’Antico Messico il fungo
allucinogeno Psilocybe (teonanácatl),
talvolta riportato negli antichi
codici illustrati dove si
raffigurava come attributo divino,
si usava per ottenere esperienze
visionarie religiose. Tale uso a
scopo rituale riaffiorò anche con la
scoperta di vasi d’argilla, che
servivano forse per offerte votive e
il cui fondo si ornava con
rappresentazioni di funghi nelle
tombe zapoteche, vicine al sito
archeologico di Mitla.
Inoltre sugli altopiani abitati dai
Maya e dagli Aztechi si ritrovarono
statuette chiamate per la loro
forma mushrooms-stones,
“pietre-funghi”. Quale fosse il loro
simbolismo lo si può ipotizzare
sulla scorta d’una serie di
testimonianze dei coloni europei.
Per esempio quella di Bernardino de
Sahagún nella sua “Historia general
de las cosas de la Nueva España”
(1582), in cui si riportava per la
prima volta l’uso del teonanácatl,
che letteralmente significava “carne
degli dei”. Per lui questi funghi
avevano per gli Aztechi una funzione
analoga a quella dell’ostia
consacrata nella religione
cristiana. Infatti diceva: “Allo
stesso modo con questo cibo amaro
essi ricevono in comunione il loro
crudele dio”.
Nel XX secolo in Messico si
scoprirono gli affreschi di
Teotihuacán, la grande Città degli
dei dove si trovano il Tempio del
Sole e il Tempio della Luna, con
raffigurazioni murali in onore della
divinità dell’acqua degli Aztechi,
Tlaloc, detto anche “Fecondatore
della terra” e “Patrono del
paradiso”, e considerato divinità
atavica di tutti gli uomini. In
quegli affreschi si vedevano sulla
riva d’un ruscello una serie di
conchiglie e funghi attribuiti al
dio. Tutt’oggi gli attuali
discendenti degli Aztechi li
chiamano apipilzin, “piccoli
figli delle acque”.
Un’altra scoperta sulla loro
funzione simbolica e rituale in
Messico si ha nel 1953 quando Robert
Gordon Wasson ricevette una lettera
dell’americana Eunice V. Pike che
proveniva dalla regione messicana
abitata dagli Indios Mazatechi in
cui parlava di un fungo chiamato
dagli Indios Si’-tho, ossia
“sangue di Cristo”. Questo perché si
credeva che il primo esemplare
nacque da una goccia di sangue
caduta dalla Croce durante l’agonia
del Signore. I Mazatechi dicevano
che fu Cristo stesso a donare loro
il fungo, in quanto essi erano
poveri e non avevano di che pagarsi
le medicine. Normalmente non erano i
malati a mangiarlo ma un “guaritore”
che dopo l’indigestione della droga
rivelava le cause della malattia che
aveva colpito una persona. Due anni
dopo Wasson e la moglie si recarono
lì e mangiarono il fungo sacro,
iniziati da una guaritrice. I funghi
usati dai Mazatechi erano lo Psilocybe
mexicana e lo Psicocybe
caerulescens, con il cappello
campanulato e una protuberanza
centrale, “umbone”. Il primo dei due
è uno dei più piccoli in natura, per
i Mazatechi è ‘nti-si-tho-nise,
“grande fungo sacro”, e in spagnolo
si dice angelito. A questo
genere appartengono altre specie fra
cui lo Psilocybe zapotecorum,
detto “narcotico della Corona di
spine di Gesù Cristo”. La loro
sostanza attiva fondamentale è la
psilocibina, presente anche in un
altro fungo ritenuto sacro, Stropharia
cubensis, reperibile dagli Stati
Uniti meridionali all’America
sudequatoriale.
In Europa gli Antichi Greci e Romani
ritenevano che i funghi crescessero
sui terreni colpiti da un fulmine.
In particolare Omero li considerava
un punto di congiunzione fra cielo e
terra. Invece Porfirio chiamava i
funghi “figli degli dei” perché
sembravano sorgere dal nulla, in
poche ore. In Europa Occidentale, il
fungo velenoso Armanita muscaria è
anche detto “ovolaccio”, o in
Germania, “fungo dei pazzi” e si
considerava malefico. In Inghilterra
lo chiamavano “trono di rospo”
perché le credenze popolari lo
collegavano spesso a questo animale
prediletto dalle streghe. Ciò
induceva a ritenere che nel Medioevo
le donne esperte in piante magiche
l’adoperassero per profetare,
congettura verosimile.
Gli “ovuli malefici”, funghi
velenosi, sono però noti soprattutto
per le loro proprietà allucinogene.
In Europa Centrale esiste qualcosa
di simile, il cosiddetto “gaio”, la
cui cappella è rossa e punteggiata
di bianco. Alcuni funghi (morchella)
in virtù della loro forma fallica,
possono ricordare i concetti di
potenza e fertilità, secondo le
indicazioni dell’antica
fisiognomica. I funghi cresciuti in
cerchio, “spugnole” nella zona
bavarese-austriaca, detti anche
“anello delle streghe” poiché si
crede che siano i resti delle danze
notturne di elfi e streghe.
Esistono anche dei funghi innocui ma
la tradizione ha attribuito loro una
simbologia negativa. Per esempio al Phallus
impudicus la cui forma, come
indica il nome, ricorda l’organo
maschile. Questo fungo,
individuabile dal pesante e fetido
odore che diffonde intorno a sé, non
si mangia, benché non contenga
sostanze tossiche. Una volta nelle
campagne si utilizzava per qualche
atroce beffa ai danni dei rivali in
amore che dovevano consumarlo: era
come una specie di olio di ricino,
ma più repellente.
Nelle campagne piemontesi si
tramanda la seguente leggenda
ambientata nel Medioevo. Un giorno
una contadina confessò ai genitori
di essere rimasta incinta dopo aver
toccato per curiosità un Phallus
impudicus trovato nel bosco. Non
fu creduta ma non rivelò mai il nome
di chi la fecondò. Incoraggiate
dalla sua reticenza altre contadine,
ingravidate dal misterioso Phallus,
cominciarono a incolparlo con una
tale determinazione da convincere
anche i più smaliziati che fosse
diabolico. Così si cominciò a
sussurrare che riuscisse a
impregnare magicamente tante
fanciulle in pochi mesi. Una volta
gli esasperati maschi del villaggio
si precipitarono nei boschi
circostanti e, strappati con guanti
protettivi tutti i funghi
incriminati, ne fecero un immenso
rogo sulla piazza mentre il parroco
recitava la canonica formula di
esorcismo. Lo stesso rito fu
ripetuto ogni nuovo autunno, mentre
le gravidanze indesiderate
diminuivano sensibilmente.
In generale ogni anno con le piogge
autunnali e l’aumento dell’umidità
cominciano a spuntare i funghi dai
tanti colori e forme; alcuni
commestibili, altri velenosissimi o
allucinogeni. Quelli mangerecci si
possono raccogliere nei boschi e
sono alla base di molti piatti e
ricette culinarie. Come diceva
Cattabiani, per secoli la ricerca di
funghi fu un’attività per pochi,
spesso tramandata per generazioni.
Così molti raccoglitori si
spingevano in passeggiate anche
tortuose con il piacere della
contemplazione, dell’amore per la
natura e per questi organismi, anche
se talvolta la raccolta era scarsa,
ma solo con quella strettamente
indispensabile.
Invece attualmente, affermava
Cattabiani, a un’abile passione
nella raccolta dei funghi s’è
sostituita un’avida ricerca che si
rivela alla fine come una
vandalistica distruzione. Oggigiorno
una massa incontrollata di gente
inesperta si precipita nei boschi
per fare incetta di funghi senza
avere alle spalle una tradizione
familiare né una conoscenza
approfondita: sicché in ottobre gli
avvelenamenti, talvolta mortali,
sono numerosi. Inoltre questa
invasione umana provoca guai molto
più gravi perché la gente calpesta
il sottobosco e li strappa malamente
danneggiando il micelio. Infatti se
si seguono queste orde, si notano
migliaia di funghi non commestibili
schiacciati, strappati e calpestati.
Eppure se si sapesse che ogni fungo
maltrattato ci si attira una piccola
disavventura, come sostiene un
proverbio afgano, si sarebbe più
prudenti.
In generale oggigiorno si considera
il fungo un simbolo di fortuna.
Inoltre sognare di correre nei prati
e divertirsi a guardare i funghi si
traduce in un desiderio di libertà e
d’avventura. In particolare, per
Coupal, le apparizioni oniriche di
quelli velenosi indicano un amore
eccessivamente sfortunato; mentre
quelli allucinogeni designano un
amore senza confini, utopico, non
duraturo. Infine quelli commestibili
e deliziosamente cucinati per i
buongustai suggeriscono piaceri
d’alcova raffinati.
Riferimenti bibliografici:
Biedermann, Hans, Enciclopedia
dei Simboli, Garzanti Editore,
Milano 1991.
Cattabiani, Alfredo, Florario,
Mondadori Editore, Milano 2016.
Cattabiani, Alfredo, Il Lunario,
Mondadori Editore, Milano 2002.
Coupal, Marie, I simboli dei
sogni. Analisi psicologica,
psicoanalitica, esoterica e
mitologica, Il Punto d’Incontro
Editore, Vicenza 2000.
Pastoureau, Michel, Verde. Storia
di un colore, Ponte delle Grazie
Editore, Milano 2008.
Owusu,
Heike, Simboli Maya, Inca e
Aztechi, Il Punto d’Incontro
Editore, Vicenza 2003.
Went, Fritzs W., e dai redattori di
LIFE, Le Piante, Mondadori
Editore, Milano 1965.