[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 152 / AGOSTO 2020 (CLXXXIII)


moderna

santi in prigione, vescovi a teatro

ostracismo TeatralE-RELIGIOSO

di Costanza Marana

 

In Francia, durante il Seicento, il teatro, come forma e contenuto, si rivela vittima di un ostracismo intransigente nel catalogarlo esteticamente come improprio, inadeguato a rappresentare il dato reale, oltre che esempio di corruttibilità umana, avversata dalla fazione clericale.

 

Un’identificazione che associa il prendere parte come pubblico alla rappresentazione del peccato contro i precetti cristiani. I giansenisti non risparmiano la loro invettiva feroce che taccia di infamia chi ricopre il ruolo di attore.

 

Tradizione critica che trova agio nella concezione patristica che pone il divieto ai fedeli di frequentare il teatro poiché rei di idolatria e partecipanti dell’immoralità insita nel repertorio scenografico antico. Nel passato ogni rappresentazione teatrale costituisce un atto rituale facente parte del culto degli dei pagani; sussiste equivalenza e compenetrazione tra azione di fede e partecipare a una performance.

 

Risulta comunque esemplificativa la differenziazione nell’ambito degli attori tra i mimi e gli interpreti di tragedie e commedie. Quest’ultimi assurgono a simboli di un’estetica appoggiata anche dai ceti più alti.

 

Tali aspetti vengono argomentati nello specifico da François Hédelin, abate d’Aubignac, che stila un’apologia sui meriti del teatro o meglio ne edulcora i demeriti, avvalorando la fine di una certa tesi che ne condanni l’empietà. La degenerazione del costume teatrale con il topos della compagnia di teatranti privi di morale si arresta, nella sua opinione, con la venuta e il consolidamento del regno di Luigi XIV. L’abate spersonalizza la rappresentazione teatrale dell’encomio cerimoniale, contemplandola esclusivamente nel suo assetto di intrattenimento e può anche avere una funzione didattico-didascalica.

 

Il suo intervento viene ovviamente non suffragato dall’ala cattolica, in particolare il comparto giansenista che prosegue il suo intento vessatorio, coadiuvato da altre personalità del calibro di Armando di Borbone, principe di Conti, che attinge al registro patristico inveendo contro il pubblico che si diverte a teatro assimilandolo all’asservimento della volgarità del demonio.

 

Mentre l’abate d’Aubignac pubblica un testo anonimo, Sur la condamnation des théâtres (1666), al fine si sostentare la sua causa in favore del teatro come mezzo di espressione e di divulgazione.

 

I due personaggi su cui si imbastiva il copione all’epoca sono la ragione e la morale. Da una parte il settore laicizzante pre-illuminista che, in base alla logica, vuol trovare legittimazione a questa arte, dall’altra la voce del tempo impersonata dal clero, per la maggior parte, che assolutizza in una unica visione, presente e antica, la compagine teatrale quale manifestazione di reità. 

 

La difficoltà risiede nell’urto con la stabilità di una letteratura di approccio “cartesiano” razionalista che contribuisce alla perdita del senso poetico, in cui la cultura francese non riluce, sacrificandolo, in nome di un razionalismo universale. La soggezione a un sistema rigoroso di stampo classicista che impone un’obbedienza serrata a principi d’ordine e proporzione. Le accuse alla lingua francese di essere perentoria nel suo vocabolario esclusivo nella sostanza, dimentico di un afflato poetico.

 

Nota la critica di Goethe al parlare francese come un esercizio secondo “le convenienze sociali”. I diversi generi di poesia vennero trattati in Francia come diversi circoli sociali, ai quali è anche appropriato un particolare contegno in modo che il francese  non si perita punto di parlare, nei giudizi intorno a opere dell’ingegno, di convenances, che è una parola applicabile propriamente alle convenienze sociali.

 

In Francia nel Seicento si tende a dipanare la situazione linguistica con dei fermenti modernizzanti, con la volontà di creare uno stile nazionale, con regole ed esclusioni, spesso infrangendo il confine che vige tra poesia e prosa, considerato uno dei semi della dialettica dei secoli a venire. Dall’esattezza classicista di Andrea Chénier, al realismo denso di Baudelaire all’indeterminatezza lirica di Verlaine.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Giovanni Macchia, Il paradiso della ragione. L’ordine e l’avventura nella tradizione letteraria francese, Einaudi, Torino 1997.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]