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N. 124 - Aprile 2018 (CLV)

La Lady Oscar dell’Esercito Austro-Ungarico
LA VICENDA di Francesca Scanagatta

di Stefano Coletta

 

Mentre le armate di Napoleone affondano l’aratro della Rivoluzione nelle terre d’Europa, a Milano, nasce e cresce una giovane donna, che sogna di diventare ufficiale dell’Esercito Austriaco, nonostante ciò sembra impossibile, grazie a una serie di circostanze fortuita non solo viene ammessa all’accademia, ma raggiunge il grado di Tenente.

 

Questa storia è incredibile, sconosciuta e ormai dimenticata, solo le pagine ingiallite di un piccolo pamphlet conservano le sue tracce. È la storia di Francesca Scanagatta, una giovane ragazza milanese, che, per sette anni, indossa la divisa dell’Esercito Austro-ungarico, partecipa agli scontri contro le truppe napoleoniche in Italia e si distingue per il suo valore e per l’abnegazione, meritando il rispetto dei sottoposti, dei colleghi e dei superiori.

 

La nostra eroina nasce a Milano, da una nobile e ricca famiglia della città meneghina, il 1 agosto del 1776, da Don Giuseppe Scanagatta, originario di Dongo, una suadente cittadina che si affaccia sul lago di Como, trasferitosi a Milano perché incaricato, dall’Imperatrice Maria Teresa, di ricoprire il ruolo d’Intendente, ovvero di Prefetto. La madre è donna Isabella De Villata, anch’essa di origini nobili.

 

Francesca, all’età di sei anni, viene affidata alle cure di Madame Dupuis, istitutrice di origine francese, che oltre a educarla alle buone maniere e alle lingue straniere (francese e tedesco) si preoccupava di raccontarle avventure romanzesche che eccitano l’animo della giovinetta e la spingono a riconoscersi con gli eroi maschili.

 

All’età di 10 anni viene collocata nel Collegio delle Suore Salesiane di Milano, secondo gli usi delle famiglie patrizie dell’epoca. In quest’ambiente, la fanciulla si fa notare per il suo carattere tenace, determinato, indipendente e generoso, che la rese la beniamina delle compagne e della «Madre Superiora». Inoltre, la giovinetta si distingue nello studio e nelle attività fisiche.

 

Francesca compiuti sedici anni sostiene gli esami finali del collegio e rientra in famiglia, che, nel frattempo, s’è trasferita a Treviso, dove il padre ricopre l’incarico d’Intendente capo. In questo periodo, la giovane inizia a indossare abiti maschili, con il consenso paterno, durante i viaggi e gli spostamenti al di fuori del contesto cittadino, per ragioni di praticità.

 

Il suo aspetto fisico è il seguente: alta 1.60 cm, “forme belle” e ben proporzionate, lineamenti ben marcati e regolari, la fronte alta e ampia, gli occhi verdi e le ciglia folte e nere che le conferivano un aspetto fiero e determinato.

 

Il padre è deciso a far proseguire gli studi alla figlia, alla luce dei risultati conseguiti dalle Suore Salesiane, ma a Treviso non c’erano strutture adatte, per questo motivo decide d’iscriverla a Vienna, presso un pensionato femminile; mentre, s’adopera a far ammettere il figlio maschio, Guido, presso l’Accademia Militare di Neustadt.

 

I due ragazzi intraprendono il viaggio per raggiungere le rispettive destinazioni accompagnati dai coniugi Giuliani, che dovevano recarsi a Vienna per visitare dei parenti. Giunti a Udine, il fratello confessa alla sorella che non aveva alcun interesse a indossare la divisa e per questo si finge ammalato, pretesto utile per poter ritornare a casa.

 

Francesca sottratti i documenti attestanti l’ammissione del fratello all’Accademia e la lettera di presentazione per il Dottor Haller, medico chirurgo dell’Accademia, presso cui era stato alloggiato dal padre, continua il viaggio, saluta sia i coniugi Giuliani, con la scusa che deve accompagnare il fratello a casa, sia quest’ultimo, che basito accetta lo scambio e le augura di realizzare il sogno di diventare ufficiale.

 

Mentre Guido ritorna a Treviso e subisce la dura reprimenda del padre, Francesca approda, vestita da maschio, a Vienna e si presenta dal suo ospite che rimane affascinato dalla sua simpatia e cordialità, tanto da considerarlo, da subito, un suo pupillo.

 

Nel frattempo, Don Giuseppe Scanagatta, preoccupato per lo scandalo che può derivare dalla scoperta del sesso della figlia, si precipita a Neustadt per riportarla a casa. Inutili risultano le insistenze del genitore, perché Francesca è ferma e irremovibile nel suo proposito.

 

Il Dottor Haller non riesce a comprendere il motivo delle discussioni e non afferra la vera natura che spinge il padre a insistere con la figlia a ritornare a casa, dal momento che non conosce la lingua italiana, elemento che gioca a favore di Francesca. Il medico si convince che le preoccupazioni del genitore sono dettate da un desiderio eccessivo di protezione, per questo si fa garante, presso il padre, di proteggere, assistere e aiutare Francesca, come se fosse suo “figlio”.

 

Stanco e desideroso che non emerga la verità, Don Francesco Scanagatta decide di riprendere la via del ritorno, incrocia le dita e spera che la durezza della vita militare faccia desistere la figlia dal perseverare nel suo intento. Ma le cose non vanno come sperato, a confermarlo furono le lettere, scritte in latino, del Dottor Haller.

 

In una lettera del 7 novembre 1795 informa il padre che «il vostro diletto figlio si mostrò tanto assiduo e diligente nello studio da ottenere l’approvazione piena di tutti i professori. Come premio a tanto sforzo compiuto gli toccò l’onore di essere invitato alla mensa dell’eccellentissimo Generale de Kinsky».

 

L’applicazione di Francesca non ebbe rivali, nel 1796, accede alla nona classe «quella nella quale ci si addestra in modo perfetto alle esercitazioni e al servizio militare, s’impara la pirotecnica, l’arte delle fortificazioni e le altre scienze che prima si appresero solo in teoria e che sono utili a formare bene l’ufficiale» e il suo mentore suggerisce al padre di evitare d’insistere nella volontà che rientri a casa, poiché se «continuasse la guerra, il carissimo Francesco uscirebbe dall’Accademia già ufficiale».

 

Il padre si arrende all’evidenza e permette alla figlia di continuare la farsa, che le consente di superare gli esami finali e conseguire, il 16 febbraio 1797, il titolo di alfiere, il primo gradino nella carriera da ufficiale.

 

La prima destinazione è il 6° Reggimento di Frontiera San Giorgio Varadino, nei pressi di Magonza; qui si distingue perché mantiene una condotta esemplare e dei modi gentili, divenendo, ben presto, l’idolo dei suoi sottoposti e ottenendo il rispetto dei colleghi e dei superiori. Il 9 dicembre 1797 il suo Reggimento viene inviato in Boemia e in Slesia, per svolgere le esercitazioni invernali.

 

I suoi modi e i suoi tratti fanno strage di cuori, alcune giovanette invaghitesi dell’aitante ufficiale decidono di abbandonare il tetto paterno per seguirlo nei suoi spostamenti, ma senza alcun risultato, se non quello di ritornare a casa scortate dalla polizia.

 

Qualche dama avanza dei dubbi sulla sua virilità, Francesca non si fa intimorire e risponde, con noncuranza, che se è desiderosa di scoprirlo, può seguirla nei suoi alloggi e accettarsene di persona. Frase che provoca il risentimento dei mariti, che chiedono soddisfazione, ma l’uso provetto delle armi, fa uscire la nostra eroina vincitrice.

 

La vita monotona della guarnigione non si confà a Francesca, per questo motivo si offre di sostituire un collega, padre di famiglia, che era stato trasferito nell’esercito da campagna; ottenuta l’autorizzazione, Francesca si mette in viaggio.

 

La prima destinazione è Brunn, in Boemia, in seguito giunge, nel settembre del 1798, a Lublino, in Polonia, qui rimane, fino ai primi di dicembre, quando sopraggiunge l’ordine di aggregazione al Reggimento di stanza nel Banato.

 

Ma non può eseguire l’ordine, perché s’ammala, gravemente, di artrite, per questo motivo viene trasferita presso l’ospedale di Lublino, dove rimase allettata, per due mesi. Colpì i medici militari per la sua determinazione e volontà di guarire velocemente, inoltre, si rese disponibile ad aiutare e consolare i feriti gravi, soprattutto quelli che avevano perso arti, condannati a dover abbandonare la divisa.

 

Non appena ristabilitosi, si rimette in viaggio per Pancsova, una cittadina del Banato meridionale, oggi conosciuta con il nome Pančevo (in serbo Панчево, in ungherese Pancsova, in romeno Panciova, in tedesco Pantschowa) dove lo attendeva la sua compagnia. Vi giunge il 10 aprile 1799 e riprende il normale servizio di guarnigione.

 

L’esperienza, seppur breve, dell’esercito da campagna le aveva confermato la sua vera predisposizione e per questo motivo medita sulla possibilità di passare, definitivamente, nei ranghi dell’esercito da campagna.

 

Nel frattempo, il 13 luglio 1799 Francesca presenta formale protesta al comandante del suo reggimento per non aver ottenuto la promozione a tenente, nonostante, aver maturato l’anzianità di servizio necessaria, situazione che arreca offesa, non solo, a lei ma «all’intiero corpo degli ufficiali non avrà più alcuna stima di me per la mia posizione di ufficiale scavalcato e per di più non in un caso per la promozione occorressero dei meriti speciali, ma in quello di avanzamento ordinario». Il comandante di reggimento adduce come giustificazione che «a cagione di un ritardo nell’invio dei documenti degli ufficiali trasferiti non poteva conoscersi il suo rango, però deve ritenersi promosso con la prossima promozione».

 

Allo stesso tempo, Francesca chiede il trasferimento definitivo nei ranghi dell’esercito da campagna, che avviene, nel novembre 1799, con l’inserimento nel 6° Reggimento Banato, pochi giorni prima del suo trasferimento in Italia, per riportare l’ordine a Genova, dove le armate napoleoniche avevano portato il germe della libertà e fatto nascere la Repubblica Genovese.

 

In breve tempo, Francesca partecipa a tutte le operazioni anti-napoleoniche in territorio italico, si distingue negli scontri relativi alla presa del forte di Barbagelata, avvenuti all’interno della battaglia della Trebbia, meritando la promozione a primo tenente.

 

Nel frattempo, i genitori informano Francesca che due fratelli militano nell’esercito di Napoleone, cosa che preoccupa la giovane, ma non la determina ad abbandonare la divisa del Regio Esercito austro-ungarico.

 

Donna De Villata, dinanzi alla resistenza della figlia e preoccupata dello stato di salute di costei, soprattutto, dopo aver appreso che la figlia si trova, spesso, in prima linea, decide di recarsi all’accampamento della figlia, dove scopre che costei s’era prodotta una vasta ecchimosi al seno, perché solita comprimerlo con una fascia per non renderlo visibile, situazione che sconcerta la donna. Inizia a insistere per farla rientrare a casa, la minaccia, la prega, glielo ordina come madre, ma ogni tentativo fallisce, al termine è costretta a risalire in carrozza e riprendere la via di casa.

 

Appresa la situazione Per questa ragione, don Giuseppe Scanagatta, il padre, prese la decisione più difficile comunicare ai superiori il reale sesso della figlia, cosa che fa nei primi giorni del maggio 1800.

 

Appresa la notizia il Generale Melas convoca la ragazza presso i suoi uffici, ma per non destare sospetti, le dice di recarvisi con comodo, Francesca, si presenta dinanzi al superiore, un mese dopo, il 10 giugno, il Generale Melas, dopo «averlo trattato con ogni riguardo, altamente, encomiando il suo valore gli espresse come affari pressanti e di grave urgenza lo richiamassero in famiglia e come fosse spiacente di non poter conservare all’esercito un così bravo, intelligente e prode ufficiale che onorava il proprio reggimento».

 

 

Per non creare imbarazzo e scandalo, si sparge la voce che il giovane ufficiale deve tornare a casa, per motivi familiari, quindi si organizza una festa di commiato, durante la quale viene trattato come un maschio e riverito dai colleghi e omaggiato dai superiori.

 

Quindi viene munita di regolare permesso di viaggio che recita: «il signor sottotenente Scanagatta di questo battaglione avendo ottenuto il permesso di visitare i genitori a Milano in seguito a ordine del comando di Corpo d’Armata, datato Nizza 18 maggio 1800, eseguirà il seguente viaggio: Recco-Rapallo-Sesri- Materana-Risco-Sarzana-Pietrasanta-Lucca», in realtà, a causa della guerra, il giro fu più largo: Chiavari, Lucca, Modena, Ferrara, Bologna, Legnago, Padova, Dolo, Mestre, Verona. In questa città le viene impedito continuare il viaggio a causa degli scontri e quindi il comandante della piazza gli ordina di recarsi a Venezia «dove attenderà la destinazione definitiva».

 

Nel frattempo, la notizia era trapelata, per questo motivo, gli alti comandi dispongono il trasferimento di tutti i colleghi di Francesca, per le varie dell’Impero, in modo da non poter diffondere la notizia, i due che rimangono sono trattati molto severamente, dal nuovo comandante, quasi a volerli punire di non essersi accorti del sesso di Francesca.

 

Il padre della nostra eroina è costretto a rassegnare le dimissioni da Intendente, perché ritenuto colpevole di aver taciuto la situazione e aver collaborato a gettare discredito sull’Esercito Imperiale, la conseguenza, immediata, è il rimanere senza lavoro e, per quanto si adoperi, non riesce a reperire un idoneo incarico, per cui si vede costretto a emigrare, con la conseguenza che la famiglia inizia a versare in condizioni economiche a cui non era abituata.

 

Per questa ragione, Francesca scrive all’Imperatore la seguente supplica: «Altezza Reale: il Sottoscritto ha avuto l’onore di dedicare in qualità di ufficiale i suoi anni migliori al servizio del suo sovrano e di aver adempiuto i suoi doveri di onorato e fedele ufficiale, come chiaramente risulta dai ruoli dell’onorevole Wenzeel, e finalmente da quelli dell’onorevole reggimento tedesco del Banato. Ora per mezzo di una nota in data 26 aprile 1801 del comando di divisione di questa città pervenuta alla sua famiglia viene a sapere di essere stato congedato. Come se non bastasse l’essere costretto a lasciare il servizio contro la sua volontà, la famiglia gli fa adesso conoscere che non è in grado di mantenerlo perché in questi ultimi tempi molte disgrazie ha dovuto sopportare e il padre del sottoscritto era Intendente a Treviso, nel Veneto, e a Crema, nel Milanese, ora è emigrato e si trova lontano senza impiego. In tale condizione critica e angustiante il sottoscritto si sente troppo ardito di cercare la sua protezione in S.A.R. e di pregare umilissimamente la medesima altezza di dare uno sguardo benevolo al servizio prestato e di ottenergli dalla ben nota bontà di S.M. una pensione giacché è conosciuto che S.M. l’imperatrice Maria Teresa e S.M. Giuseppe II, di venerata memoria, in simili circostanze abbiano fatto la grazia sovrana. Siccome il sottoscritto non ha ancora ricevuto alcun decreto circa il suo congedamento così si lusinga di potersi ancora sottoscrivere di S.A.R. umilissimo servo Tenente Scanagatta Francesco».

 

Il 23 maggio 1801, Francesca viene raggiunta dal decreto di congedamento e da un attestato, firmato dal Generale Di Bellegarde, che recita quanto segue: «In seguito a una lettera del Consiglio Aulico di Guerra in data 11 giugno s.a. il 6° Battaglione del Banato ebbe ordine di congedare l’alfiere Francesco Scanagatta, in servizio presso il medesimo a causa del suo sesso femminile. Sotto la data dell’8 aprile di quest’anno il comando di reggimento del Banato di cui fa parte il suddetto battaglione ha provveduto che la comunicazione all’ufficiale congedato fosse fatta dal battaglione prima della riunione di questo al reggimento essendo stata essa per di più, prima dell’ordinato congedamento promossa sottotenente. Siccome questa donna eccezionale nelle sue qualità di ufficiale ha sempre avuto di mira il dovere e s’è anche comportata bene in difficili occasioni e circostanze, così non vogliamo negare alla sua energia e onestà questo giusto attestato e di lasciarglielo per iscritto».

 

Nel frattempo, giunge da Vienna la missiva dell’Imperatore che autorizza Francesca a godere di una pensione annua di 200 fiorini, come attestato del suo comportamento di militare. Tale somma permette a lei e ai suoi cari di provvedere alle prime necessità e di cercare di risollevarsi dalla triste situazione economica in cui s’erano venuti a trovare.

 

Ritornata a casa, si preoccupa di trasformare i beni immobili, di proprietà dei suoi genitori, in denaro, per evitare la crisi completa. Nel frattempo, i suoi ex commilitoni iniziano a inviarle lettere allo scopo di attestarle la loro stima e di rendersi disponibili, qualora abbia bisogno.

 

Il 15 gennaio 1804 Francesca convola a giuste nozze con il Tenente Selestino Spini, dell’esercito Cisalpino, strana vendetta del destino, due ex nemici sul campo sono divenuti due teneri amanti in camera da letto.

 

Francesca si dedica alla famiglia e partorisce quattro figli. Nel 1852 riceve l’invito da parte dell’Accademia di Neustadt, come tutti gli ex allievi, di partecipare ai festeggiamenti per il centenario della sua fondazione.

 

Francesca, nonostante l’età e la vedovanza, decide d’intraprendere il viaggio per poter partecipare e ricordare i tempi della sua giovinezza e ha l’occasione d’incontrare suoi ex compagni di corso, che le dimostrano i loro più affettuosi segni di stima e di riconoscimento.

 

Muore, nel 1864, e viene seppellita, a Milano, nel cimitero dei Corpi Santi di Porta Venezia, oggi zona via Buenos Aires. A celebrare le esequie è il figlio sacerdote don Francesco Spini, che la ricorda, con le parole usate dall’aiutante del Generale Melas, «uno dei più risoluti e bravi soldati dell’esercito austriaco».

 

Si preoccupa di rispettare la volontà della madre di non apporre alcuna lapide, ma una semplice croce di ferro. Segno di grande umiltà e semplicità, le medesime virtù che l’avevano contraddistinta in vita.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Vittorio Adami, La signorina Francesca Scanagatta milanese ufficiale nell’esercito austriaco, Tipografia Varesina, Varese 1925.

Spini Celestino, Cenni biografici sulla avventurosa vita accademica guerriera privata della milanese eroina Francesca Scanagatta, Gattinoni,  Milano 1876.

Tina Del Ninno, Franca Feslikenian, Francesca Scanagatta. Milanese, ufficiale (1776-1864). La storia e l’avventura, Italia Press, Milano 2011.



 

 

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