[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

183 / MARZO 2023 (CCXIV)


arte

LA FOTOGRAFIA DI MODA
ARTISTA E PROFESSIONISTA: IL FOTOGRAFO DI MODA / PARTE III
di Alessandra Olivares

Le mostre collettive offrono un contributo fondamentale nella comprensione del ruolo primario assunto dalla fotografia e dalla moda, in quanto due dei linguaggi più significativi della contemporaneità. Esse hanno però anche il limite di non riuscire a individuare un filo conduttore che colleghi gli artisti tra loro, lasciando inoltre allo spettatore la sensazione di non riuscire a cogliere l’arte di ogni singolo autore che, soprattutto quando è poco noto, rischia di risultare praticamente invisibile all’interno di un discorso collettivo su questo affascinante genere di fotografia.

Nel progetto di ricostruzione del complesso sistema di relazioni esistente tra moda, costume, cinema, pubblicità, arte e società, in cui, come già detto, la fotografia ha assunto un ruolo di primaria importanza, le mostre personali rivestono un compito fondamentale. Se le mostre collettive concentrano l’attenzione sulla vitalità che la fotografia di moda offre alla visualità contemporanea, quelle personali hanno il compito di far conoscere al grande pubblico il valore artistico del singolo autore, senza mai astrarlo dalla realtà in cui è vissuto. In Italia, inoltre, esse sono il frutto dell’esigenza di scrivere la storia della fotografia italiana, ambito viziato da limiti ideologici e per questo a lungo inesplorato dalla storiografia e dalla critica, pur essendo l’espressione di una cultura specifica.

 


 


Arturo Ghergo. L’immagine della bellezza. Fotografie 1930-1959

Molto spesso le mostre personali sono mosse dal sentimento di dovere rimediare a un torto subito e rendere omaggio al fotografo contribuendo a consolidare l’approccio storico-critico alla sua poetica. È il caso di due mostre dedicate ad Arturo Ghergo, un raffinato artista italiano trascurato per lungo tempo dalla critica e poco presente nella storiografia d’argomento, forse a causa del suo scarso interesse a promuoversi attraverso mostre, concorsi o pubblicistica specializzata, avendo sempre concepito e praticato la fotografia come una professione.

Eppure tra il 1930 e il 1959, la maggior parte dei divi e degli esponenti dell’alta società desideravano essere ritratti da Ghergo, la cui firma costituiva una garanzia di qualità. Infatti, Ghergo è stato il creatore di una vera e propria mitologia della bellezza, costruita su un ideale algido e sofisticato, «pragmaticamente asservito al compiacimento del committente, che ama stupirsi della propria “naturale” fotogenia».

Arturo Ghergo. L’immagine della bellezza. Fotografie 1930-1959 si tenne al Palazzo Reale di Milano nel 2008, mentre Arturo Ghergo. Fotografie 1930-1959 al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2012. Entrambe furono volute e curate dalla figlia del fotografo Cristina Ghergo e da Claudio Domini, che attraverso le due grandi mostre antologiche hanno rivelato a un vasto pubblico, evidenziandole, le straordinarie doti estetiche di questo artista, oltre alla valenza socio-culturaledelle sue immagini.

Attraverso le mostre e i cataloghi ad esse correlati è stato e continua a essere possibile, conoscere il lavoro di un eccellente professionista dotato di una sensibilità estetica eccezionale e, giustamente, considerato il pioniere della glamour photography italiana. Attraverso un uso sapiente della luce che plasma la forma, l’artista ha da subito dimostrato una precoce attitudine verso i modelli divistici hollywoodiani, incarnati nelle immagini di fotografi del calibro di Edward Steichen e Ruth Harriet Louise.

Isa Miranda, Alida Valli, Doris Duranti, Isa Pola, Elli Parvo, Olga Villi, Sophia Loren, Amedeo Nazzari, Massimo Girotti, oltre a numerosi principi e principesse, baroni e baronesse, esponenti della politica, tra cui Alcide De Gasperi e Giulio Andreotti, ma anche Pio XII, sono solo alcune delle personalità ritratte e «trasfigurate dal Ghergo’stouch in sofisticate entità semidivine» e che potevano essere ammirate nelle mostre sopracitate.

Il caso di Arturo Ghergo è particolarmente interessante, non solo perché è stato un pioniere, almeno in Italia, di quella generazione di artisti che, pur praticando e concependo la fotografia come una professione, hanno raggiunto risultati di riconosciuta valenza estetica, ma anche perché Ghergo è sempre stato restio a frequentare l’ambito dell’arte istituzionale e a promuoversi attraverso esso.

Non possiamo conoscere i motivi di questa scelta, ma certamente l’artista era consapevole «che la fotografia […] costituisce un sistema differente, persino più complesso e articolato di quello dell’arte tout court, e come tale ci chiede un approccio peculiare che tenga in debito conto le specificità funzionali del mezzo».

Insomma l’opera di Ghergo, concepita sempre all’interno di logiche commerciali, non trovava posto negli schematismi spesso applicati alla tradizione artistica del passato, perché, come ha sottolineato Claudio Domini, coinvolge aspetti molto complessi che non riguardano esclusivamente la sfera artistica ed estetica, ma strettamente collegate a funzioni specifiche legate alla committenza e alla divulgazione pubblicitaria delle immagini di Ghergo.

Le due sole mostre dedicate a questo artista appaiono illuminanti per comprendere il cambiamento al quale da un po’ di anni si è aperto il sistema museale che, nonostante le opportunità espositive e di visibilità offerte dalla rete, resta fondamentale per la divulgazione e la valorizzazione della cultura visuale contemporanea.

Quello stesso sistema che per troppo tempo ha ignorato un autore che volutamente ne è rimasto fuori, forse per non essere ingabbiato in rigidi parametri codificati, oggi inizia a celebrarlo dimostrando che non è più necessario «emendarsi dal “peccato originale” di aver considerato la fotografia anche un mestiere». Al contrario riconosce che la vera modernità di Ghergo è stata «essere dentro la storia, pienamente coinvolto dal ruolo che essa ha assegnato in un determinato momento al mezzo fotografico, quello di veicolare una nuova strategia comunicativa, basata su un inedito modello iconografico».

Le sue splendide immagini hanno retto la prova del tempo distinguendosi per la maestria e la raffinatezza estetica con cui sono state realizzate e meritando a pieno titolo di entrare a far parte delle collezioni dei più importanti musei contemporanei.


Pasquale De Antonis. La fotografia di moda 1946-1968

Se Arturo Ghergo è giustamente considerato il pioniere della fotografia di moda italiana, a Pasquale De Antonis va il merito di aver documentato la nascita della moda italiana. Proprio dalla volontà di far conoscere al grande pubblico l’opera di questo artista poliedrico e intuitivo, nacque la mostra curata da Maria Luisa Frisa Pasquale De Antonis. La fotografia di moda 1946-1968, tenutasi al Palazzo Fontana di Trevi di Roma nel 2008. Di essa Nicoletta Fiorucci affermò: «Immagino la mostra dedicata a De Antonis come la prima tappa di un percorso che vuole restituire a Roma il suo glamour nella vicenda dell’alta modaitaliana».

Testimone del proprio tempo,la fotografia di moda rappresenta un viaggio visionario alle origini, consapevole del valore della storia, come radice del presente. Questa mostra si ricollegava a un progetto più ampio iniziato da Federica Di Castro e Bonizza Giordani Aragno che intendeva ricostruire le complesse relazioni esistenti tra gli svariati linguaggi della visualità contemporanea.

Di questo progetto, nato esplicitamente per l’esigenza e l’urgenza di rintracciare e scrivere la storia della fotografia italiana di moda, fa parte anche il libro e la conseguente mostra già citata Lo sguardo italiano, unica tra l’altro ad aver incluso tra i settanta nomi in mostra anche quello di Arturo Ghergo.

La mostra dedicata a De Antonis è nata dal sentimento di dovere rendere un tributo e far conoscere a un più vasto pubblico l’opera di questo artista. Infatti, De Antonis, per quanto ignoto a molti, è stato, insieme a Mario Giacomelli, il più grande fotografo del Novecento. È stato colui che meglio ha saputo documentare il fenomeno della Hollywood sul Tevere e la nascita dell’alta moda italiana, realizzando numerosi servizi negli atelier delle sorelle Fontana, di Emilio Schubert, di Simonetta e di Alberto Fabiani.

Di fronte alle immagini di Roma e della moda scattate da De Antonis nasce il desiderio di indagare sul significato di quegli scatti, da cui emerge l’immagine di una società per la quale il lusso, la mondanità e l’esibizionismo erano “bisogno di vita”.

De Antonis coglie un importante cambiamento sociale iniziando a fotografare non più nobildonne e dive tanto in voga nel dopoguerra, ma ragazze giovani e aspiranti concorrenti dei concorsi di bellezza, molto simili alle splendide attrici di quegli anni, come Sophia Loren e Gina Lollobrigida. Con De Antonis, quindi, l’immagine inizia la sua ascesa verso la comunicazione di massa, svelando i cambiamenti sociali attraverso l’apparente leggerezza della moda.


Aldo Fallai. Da Giorgio Armani al Rinascimento. Fotografie dal 1975 al 2013

Quando un giovane e promettente stilista incontra un grafico che da poco ha iniziato a fotografare può nascere una storia destinata a lasciare il segno. È quanto raccontano gli scatti realizzati da Aldo Fallai per Giorgio Armani. Nel 2014 Firenze, la sua città, ha ospitato una mostra monografica a lui dedicata negli spazi di Villa Bardini e Museo Stefano Bardini. La mostra curata da Martina Corgnati e Luigi Salvioli è nata dal desiderio, e un po’ anche dal senso di dovere, di rendere omaggio a un protagonista della cultura visuale italiana e al suo impegno professionale e artistico.

L’esposizione museale delle immagini di Fallai fa da mediatore nel panorama sconfinato di immagini che quotidianamente invadono il mondo, «per verificare l’immenso scarto che si percepisce fra il messaggio concettuale e formale dei modelli fissati da un obiettivo colto e pensoso e quello trasmesso oggi da repertori di fotografie per lo più convenzionali e ripetitivi».

Nelle fotografie di Fallai convivono perfettamente antico, moderno e futuro, in esse la ricerca incessante della forma dà vita a immagini di straordinario impatto visivo, culturale e sociologico. Tra Armani e Fallai si stabilì una relazione simbiotica capace di una valorizzazione reciproca. Armani trovò nel fotografo fiorentino un interprete eccellente e sensibile, che a sua volta deve la propria notorietà agli scatti realizzati per lo stilista.

Fallai passa dal piano americano al primo piano riuscendo a suggerire, attraverso i dettagli degli abiti, storie che raccontano lo spirito di una società che vive rapidi cambiamenti. Porta i modelli fuori dallo studio, in luoghi qualsiasi mostrando gente bellissima che vive vite desiderabili, ma possibili. Non cerca la diva o la bambola, ma una donna vera in cui scorgere un piccolo difetto che fa scaturire «la forma emozionata che costituisce il segreto della sua personalità d’artista». Se i suoi soggetti femminili incarnano i nuovi ideali degli anni Ottanta di donna forte e sicura di sé, le sue fotografie raccontano, in modo meno plateale dei colleghi americani come Bruce Weber, anche il cambiamento dell’immagine sociale dell’uomo, più tenero e sensibile, ma comunque sicuro di sé.

Nonostante il suo dichiarato interesse per le arti visive, la pittura, la scultura e la bella forma, Fallai, raccontando le trasformazioni sociali e identitarie del suo tempo, resta coerentecon la scelta del mezzo utilizzato.

Nell’epoca della fine delle grandi Storie, come definita da Jean-François Lyotard, l’artista-pittore esplora e attinge dal variegato territorio contemporaneo senza assumere alcuna posizione, ma preferendo un ecclettico citazionismo. La fotografia, invece, dimostra sempre di volgere il suo sguardo e il suo interesse verso il mondo e la società. Aldo Fallai, pur guardando al mondo dell’arte, si è fatto interprete e documentatore della realtà in cui è vissuto, al punto tale che la stessa moda sembra sparire dietro la trasfigurazione consapevolmente postmodernadell’artista.

Pertanto, le fotografie di Fallai incarnano pienamente il cambiamento del concetto di moda. «Una moda intesa come protagonismo di un nuovo soggetto, che non è più conformismo ma ibridazione e non è più massificazione ma creatività. Infine, che non è più prodotto ma individuo».

Sono immagini che «chiedono l’attenzione non solo per la funzione referenziale del linguaggio – quella che farebbe riconoscere che le immagini proposte “rappresentano” una realtà che appartiene anche a un mestiere – ma per la sua funzione estetica». Pertanto, gli scatti che reggono alla prova del tempo, quelli che si distinguono per la maestria e la raffinatezza estetica, raccontano la strada e la società che li ha animati, i sogni e le speranze e ci insegnano che la fotografia condotta professionalmente e senza riserve è un dono, un’autentica rivelazione.


Riferimenti bibliografici:

R.G. Collingwood, The Principles of Art, Oxford University Press, Oxford 1958.
J. Dewey, Arte come esperienza, Aesthetica, Palermo 2007.
C. Domini, C. Ghergo (a cura di), Arturo Ghergo: l’immagine della bellezza. Fotografie 1930-1959, Silvana, Cinisello Balsamo 2008.
C. Domini, C. Ghergo (a cura di), Arturo Ghergo. Fotografie 1930-1959, Silvana, Cinisello Balsamo 2012.
M.L. Frisa, F. Bonami, A. Mattirolo (a cura di), Lo sguardo italiano. Fotografie italiane di moda dal 1951 a oggi, Charta, Milano, Fondazione Pitt Immagine Discovery, Firenze, 2005.
M.L. Frisa, Pasquale De Antonis. La fotografia di moda 1946-1968, Marsilio, Venezia 2008.
C. Greenberg, Avant-Garde and Kitsch, Partisan Review, 1939.
M. Gremigni, Aldo Fallai. From Giorgio Armani to Reinaissance – Photos 1975-2013.
A. Mauro (a cura di), Photoshow. Le mostre che hanno segnato la storia della fotografia, Contrasto, Roma 2014.
D. McDonald, A Theory of Mass Culture, B. Rosenberg e D. Manning White, The free press, New York 1953.
M. Tessarolo (a cura di), L’arte contemporanea e il suo pubblico, Franco Angeli, Milano 2009.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]