FIRENZE LA "MAGNIFICA"
COME LA CITTÀ DEL GIGLIO FIORÌ AL
TEMPO DEI MEDICI
di Matteo
Liberti
Quando è iniziato il Rinascimento?
La risposta a tale domanda è da
sempre oggetto di dibattito: alcuni
collocano infatti la data d’inizio
di tale straordinaria epoca al XIV
secolo e altri la spostano al XV,
“secolo d’oro” dei fasti
rinascimentali. Se invece ci si
chiede dov’è che tutto cominciò, la
risposta è concorde: a Firenze,
città baciata da un’invidiabile
fortuna che le garantì un
incredibile progresso economico,
un’eccezionale forza
politico-diplomatica e, soprattutto,
una sbalorditiva fioritura artistica
e culturale. Il tutto, sotto la
supervisione della potente famiglia
Medici e in particolare di due suoi
esponenti: Cosimo “il Vecchio” e suo
nipote Lorenzo, alias “il
Magnifico”.
Il “giglio” rifiorisce
A monte delle fortune fiorentine vi
furono alcuni traumatici eventi che
travolsero la città alla metà del
XIV secolo. Già piagata da una crisi
finanziaria dovuta al fallimento
delle compagnie commerciali dei
Bardi e dei Peruzzi (simili a
moderni istituti di credito),
l’antica Florentia vide tra
il 1347 e il 1348 dimezzarsi i
propri abitanti a causa della “peste
nera”, ma la situazione migliorò poi
grazie a una serie di efficaci
politiche economiche che aiutarono
la popolazione a far fronte ai
debiti. Oltre a ciò, la diminuzione
della manodopera, figlia della
peste, fece aumentare i salari e, di
riflesso, alimentò i consumi. In
tale scenario, s’imposero sulla
scena nuove potenti famiglie della
borghesia produttiva, tra cui spiccò
quella dei Medici. Suo primo
illustre esponente ne fu Giovanni di
Bicci de’ Medici, fondatore nel 1397
di una banca divenuta in poco tempo
la più importante d’Europa.
«Finanziando papi e sovrani, i
Medici formarono quindi la rete di
amicizie politiche e diplomatiche
più prestigiosa di tutta Firenze»,
avverte lo storico medievista Franco
Cardini, autore del saggio Breve
storia di Firenze (Pacini
Editore). Fu Cosimo il Vecchio,
figlio di Giovanni, a sfruttare le
ricchezze familiari per inserirsi
nell’amministrazione della “città
del giglio”, di cui tenne le redini
tra il 1434 e il 1464 promuovendo le
arti per dare lustro alla propria
casata. «Cosimo sapeva che il
mecenatismo era un ottimo
investimento, poiché poneva in primo
piano la sua famiglia e induceva a
parlarne con ammirazione, creando
debiti di riconoscenza che in
politica non erano meno utili di
quelli economici», sottolinea in
proposito Cardini. La fioritura di
Firenze entrò così nel vivo e la
città iniziò ad arricchirsi di molti
dei suoi monumenti e palazzi oggi
più celebri.
La città cambia volto
Tra le altre cose, Cosimo affidò a
uno degli architetti più acclamati
del tempo, Michelozzo, i lavori per
la Villa di famiglia a Careggi e per
la nuova residenza nel cuore di
Firenze: l’odierno palazzo Medici
Riccardi, la cui edificazione iniziò
nel 1444. Nel frattempo, dopo un
concorso pubblico bandito nel 1418,
era stata completata l’opera
destinata a divenire l’emblema della
città: la cattedrale di Santa Maria
del Fiore, consacrata nel 1436 e la
cui immensa cupola, pensata per far
invidia al mondo, portava la firma
di Filippo Brunelleschi.
«Quella brunelleschiana fu la
stagione fondamentale della grande
architettura pubblica fiorentina»,
prosegue Cardini. «In una ventina
d’anni, infatti, egli progettò,
edificò o riedificò vari importanti
monumenti tra cui il portico dello
Spedale degli Innocenti, la basilica
di San Lorenzo e palazzo Pitti».
Anche altri architetti iniziarono
intanto a dare il loro meglio,
chiamati dai Medici e da altre
illustri famiglie della città. Tra
queste, oltre ai Pitti si distinsero
i Rucellai, a cui si dovette
l’incarico a Leon Battista Alberti
per il completamento della facciata
di Santa Maria Novella. Il
rinnovamento di Firenze riguardò in
parte anche gli edifici “popolari”,
soprattutto ai tempi di Lorenzo il
Magnifico (subentrato alla guida
della città nel 1469, dopo la morte
del padre Piero), quando le
istituzioni cittadine finanzieranno
la ricostruzione di molte case in
legno (soggette a frequenti
incendi), sostituite da abitazioni
in pietra e mattoni.
Società multiforme
In ambito sociale, la Firenze
quattrocentesca era caratterizzata
dalle cosiddette “Arti”,
corporazioni di mestieri in cui
erano divisi i lavoratori. Tra tutte
spiccava l’Arte della lana, che
esportava tessuti in tutto il mondo,
ma nel corso del secolo le
maestranze fiorentine brillarono
praticamente in ogni settore,
spaziando dalla fusione dei metalli
alla stampa. Le attività produttive
e commerciali caratterizzavano i
quattro quartieri in cui era divisa
la città (Santa Maria Novella, San
Giovanni, Santa Croce e Santo
Spirito), nella quale,
differentemente da altri luoghi, non
vi era una netta separazione tra
spazio urbano e campagna. Tra i due
territori vi era infatti un flusso
continuo, e molti contadini facevano
fortuna in città come mercanti
investendo poi i profitti nella
terra. A distinguere gli
appartenenti alle varie categorie
sociali era in genere
l’abbigliamento, che mutava a
seconda della condizione economica,
nonché l’abbondanza di cibo a
tavola. Se sulle quelle dei signori
non mancava alcuna prelibatezza, su
quelle del popolo vi erano spesso
solo cereali, verdure e pane sciapo
(il sale era costosissimo),
preparato in casa, ma cotto nei
forni pubblici cosicché le autorità
potessero controllare, attraverso il
suo consumo, le possibilità
economiche di ogni famiglia,
stabilendo poi tassazioni ad hoc.
Clima di festa
Nel tempo libero, chiuse le
botteghe, i fiorentini amavano
socializzare in strada, dando tra
l’altro vita a entusiasmanti tornei
di scacchi. Essi trascorrevano
inoltre molte ore in chiesa, luogo
essenziale della vita quotidiana,
con i quartieri che rivaleggiavano
nel mettere in piedi fastose
cerimonie sacre. A ciò si sommavano
i molti eventi ludici organizzati
dai Medici, e così la routine dei
cittadini iniziò sempre più a essere
intervallata da momenti di festa.
«La Firenze quattrocentesca era
allegra e giocosa», conferma
Cardini. «I Medici incoraggiarono
infatti l’organizzazione di feste
come quelle di carnevale e di
calendimaggio, oltre a incentivare
solennità pubbliche come quella di
San Giovanni, a giugno».
Fu in particolare Lorenzo a fare di
giostre e tornei degli eventi di
massa utili a sfoggiare il proprio
potere in tutto il suo splendore. In
tali occasioni, la cittadinanza si
divideva in fazioni per tifare i
cavalieri in gara, assiepandosi
festosa nei luoghi deputati alla
giostra. Tutto ciò colpì
l’attenzione di illustri letterati
tra cui Agnolo Poliziano, che
dedicò un intero poemetto (Stanze
per la giostra)
a un torneo del 1475 vinto da
Giuliano de’ Medici (fratello del
Magnifico).
A “distrarre” i cittadini vi erano
infine i banchetti pubblici,
allietati da
rappresentazioni teatrali e,
soprattutto, da apprezzatissimi
intermezzi musicali.
Fortune politiche
Per tenere le redini del potere e
garantire a Firenze un ruolo di
primo piano, oltre a organizzare
eventi i Medici puntarono su una
raffinata diplomazia. E se Cosimo
resse la Repubblica, ormai divenuta
Signoria, da dietro le quinte,
manovrando altre famiglie e
inserendo persone di fiducia nel
Consiglio dei Cento e nel Priorato
delle Arti (principali organi di
governo, affiancati dal Gonfaloniere
di Giustizia e dal podestà), Lorenzo
si pose invece al centro della
scena. Già nominato membro a vita
del Consiglio dei Cento, egli avviò
un’opera di accentramento del potere
che lo portò nel 1480 a creare un
nuovo
Consiglio, detto dei Settanta,
composto solo da suoi fidati,
concentrando in esso ogni decisione
governativa a scapito dei
preesistenti organismi. Nel
1490 i membri furono quindi ridotti
a 17. Il Magnifico si attirò così
anche qualche critica, soprattutto
da parte del frate domenicano
Girolamo Savonarola, che denunciò la
corruzione e il vizio dilaganti
nella Firenze medicea.
«Dal punto di vista economico,
l’amministrazione di
Lorenzo non fu in effetti ottimale,
ma egli brillò senza dubbio per le
qualità diplomatiche, riuscendo a
imporsi quale mediatore tra forze
contrastanti», spiega Cardini. «Tra
le altre cose, fu abile a rafforzare
un’intesa con la Milano sforzesca e
con la Napoli aragonese, al fine di
contenere le velleità
espansionistiche del papato e di
Venezia, garantendo in questo modo
un prolungato periodo di pace sia
alla sua città sia al resto della
penisola». Gli stilemi
rinascimentali emersi a Firenze
iniziarono quindi a influenzare
varie altre corti italiane, a
partire da quella pontificia. In
tale prospero contesto, la notte del
5 aprile 1492 un fulmine frantumò il
grande globo dorato posto sulla
cupola di Santa Maria del Fiore, già
simbolo per eccellenza della “culla
del Rinascimento”. Molti pensarono a
un brutto presagio, a una sorta di
inizio della fine, e così fu: tre
giorni dopo, malato di gotta,
Lorenzo de’ Medici si spense nella
sua villa di Careggi. Dopo il
doloroso lutto (a cui seguì il
ripristino delle istituzioni
repubblicane), Firenze non tornò più
ai fasti degli anni precedenti,
potendo però ormai vantare
un’eredità culturale e artistica
senza pari.