[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 215 / NOVEMBRE 2025 (CCXLVI)


moderna

FIRENZE LA "MAGNIFICA"
COME LA CITTÀ DEL GIGLIO FIORÌ AL TEMPO DEI MEDICI
di Matteo Liberti

 

Quando è iniziato il Rinascimento? La risposta a tale domanda è da sempre oggetto di dibattito: alcuni collocano infatti la data d’inizio di tale straordinaria epoca al XIV secolo e altri la spostano al XV, “secolo d’oro” dei fasti rinascimentali. Se invece ci si chiede dov’è che tutto cominciò, la risposta è concorde: a Firenze, città baciata da un’invidiabile fortuna che le garantì un incredibile progresso economico, un’eccezionale forza politico-diplomatica e, soprattutto, una sbalorditiva fioritura artistica e culturale. Il tutto, sotto la supervisione della potente famiglia Medici e in particolare di due suoi esponenti: Cosimo “il Vecchio” e suo nipote Lorenzo, alias “il Magnifico”.

 

Il “giglio” rifiorisce

 

A monte delle fortune fiorentine vi furono alcuni traumatici eventi che travolsero la città alla metà del XIV secolo. Già piagata da una crisi finanziaria dovuta al fallimento delle compagnie commerciali dei Bardi e dei Peruzzi (simili a moderni istituti di credito), l’antica Florentia vide tra il 1347 e il 1348 dimezzarsi i propri abitanti a causa della “peste nera”, ma la situazione migliorò poi grazie a una serie di efficaci politiche economiche che aiutarono la popolazione a far fronte ai debiti. Oltre a ciò, la diminuzione della manodopera, figlia della peste, fece aumentare i salari e, di riflesso, alimentò i consumi. In tale scenario, s’imposero sulla scena nuove potenti famiglie della borghesia produttiva, tra cui spiccò quella dei Medici. Suo primo illustre esponente ne fu Giovanni di Bicci de’ Medici, fondatore nel 1397 di una banca divenuta in poco tempo la più importante d’Europa. «Finanziando papi e sovrani, i Medici formarono quindi la rete di amicizie politiche e diplomatiche più prestigiosa di tutta Firenze», avverte lo storico medievista Franco Cardini, autore del saggio Breve storia di Firenze (Pacini Editore). Fu Cosimo il Vecchio, figlio di Giovanni, a sfruttare le ricchezze familiari per inserirsi nell’amministrazione della “città del giglio”, di cui tenne le redini tra il 1434 e il 1464 promuovendo le arti per dare lustro alla propria casata. «Cosimo sapeva che il mecenatismo era un ottimo investimento, poiché poneva in primo piano la sua famiglia e induceva a parlarne con ammirazione, creando debiti di riconoscenza che in politica non erano meno utili di quelli economici», sottolinea in proposito Cardini. La fioritura di Firenze entrò così nel vivo e la città iniziò ad arricchirsi di molti dei suoi monumenti e palazzi oggi più celebri.

 

La città cambia volto

 

Tra le altre cose, Cosimo affidò a uno degli architetti più acclamati del tempo, Michelozzo, i lavori per la Villa di famiglia a Careggi e per la nuova residenza nel cuore di Firenze: l’odierno palazzo Medici Riccardi, la cui edificazione iniziò nel 1444. Nel frattempo, dopo un concorso pubblico bandito nel 1418, era stata completata l’opera destinata a divenire l’emblema della città: la cattedrale di Santa Maria del Fiore, consacrata nel 1436 e la cui immensa cupola, pensata per far invidia al mondo, portava la firma di Filippo Brunelleschi. «Quella brunelleschiana fu la stagione fondamentale della grande architettura pubblica fiorentina», prosegue Cardini. «In una ventina d’anni, infatti, egli progettò, edificò o riedificò vari importanti monumenti tra cui il portico dello Spedale degli Innocenti, la basilica di San Lorenzo e palazzo Pitti». Anche altri architetti iniziarono intanto a dare il loro meglio, chiamati dai Medici e da altre illustri famiglie della città. Tra queste, oltre ai Pitti si distinsero i Rucellai, a cui si dovette l’incarico a Leon Battista Alberti per il completamento della facciata di Santa Maria Novella. Il rinnovamento di Firenze riguardò in parte anche gli edifici “popolari”, soprattutto ai tempi di Lorenzo il Magnifico (subentrato alla guida della città nel 1469, dopo la morte del padre Piero), quando le istituzioni cittadine finanzieranno la ricostruzione di molte case in legno (soggette a frequenti incendi), sostituite da abitazioni in pietra e mattoni.

 

Società multiforme

 

In ambito sociale, la Firenze quattrocentesca era caratterizzata dalle cosiddette “Arti”, corporazioni di mestieri in cui erano divisi i lavoratori. Tra tutte spiccava l’Arte della lana, che esportava tessuti in tutto il mondo, ma nel corso del secolo le maestranze fiorentine brillarono praticamente in ogni settore, spaziando dalla fusione dei metalli alla stampa. Le attività produttive e commerciali caratterizzavano i quattro quartieri in cui era divisa la città (Santa Maria Novella, San Giovanni, Santa Croce e Santo Spirito), nella quale, differentemente da altri luoghi, non vi era una netta separazione tra spazio urbano e campagna. Tra i due territori vi era infatti un flusso continuo, e molti contadini facevano fortuna in città come mercanti investendo poi i profitti nella terra. A distinguere gli appartenenti alle varie categorie sociali era in genere l’abbigliamento, che mutava a seconda della condizione economica, nonché l’abbondanza di cibo a tavola. Se sulle quelle dei signori non mancava alcuna prelibatezza, su quelle del popolo vi erano spesso solo cereali, verdure e pane sciapo (il sale era costosissimo), preparato in casa, ma cotto nei forni pubblici cosicché le autorità potessero controllare, attraverso il suo consumo, le possibilità economiche di ogni famiglia, stabilendo poi tassazioni ad hoc.

 

Clima di festa

 

Nel tempo libero, chiuse le botteghe, i fiorentini amavano socializzare in strada, dando tra l’altro vita a entusiasmanti tornei di scacchi. Essi trascorrevano inoltre molte ore in chiesa, luogo essenziale della vita quotidiana, con i quartieri che rivaleggiavano nel mettere in piedi fastose cerimonie sacre. A ciò si sommavano i molti eventi ludici organizzati dai Medici, e così la routine dei cittadini iniziò sempre più a essere intervallata da momenti di festa. «La Firenze quattrocentesca era allegra e giocosa», conferma Cardini. «I Medici incoraggiarono infatti l’organizzazione di feste come quelle di carnevale e di calendimaggio, oltre a incentivare solennità pubbliche come quella di San Giovanni, a giugno». Fu in particolare Lorenzo a fare di giostre e tornei degli eventi di massa utili a sfoggiare il proprio potere in tutto il suo splendore. In tali occasioni, la cittadinanza si divideva in fazioni per tifare i cavalieri in gara, assiepandosi festosa nei luoghi deputati alla giostra. Tutto ciò colpì l’attenzione di illustri letterati tra cui Agnolo Poliziano, che dedicò un intero poemetto (Stanze per la giostra) a un torneo del 1475 vinto da Giuliano de’ Medici (fratello del Magnifico). A “distrarre” i cittadini vi erano infine i banchetti pubblici, allietati da rappresentazioni teatrali e, soprattutto, da apprezzatissimi intermezzi musicali.

 

Fortune politiche

 

Per tenere le redini del potere e garantire a Firenze un ruolo di primo piano, oltre a organizzare eventi i Medici puntarono su una raffinata diplomazia. E se Cosimo resse la Repubblica, ormai divenuta Signoria, da dietro le quinte, manovrando altre famiglie e inserendo persone di fiducia nel Consiglio dei Cento e nel Priorato delle Arti (principali organi di governo, affiancati dal Gonfaloniere di Giustizia e dal podestà), Lorenzo si pose invece al centro della scena. Già nominato membro a vita del Consiglio dei Cento, egli avviò un’opera di accentramento del potere che lo portò nel 1480 a creare un nuovo Consiglio, detto dei Settanta, composto solo da suoi fidati, concentrando in esso ogni decisione governativa a scapito dei preesistenti organismi. Nel 1490 i membri furono quindi ridotti a 17. Il Magnifico si attirò così anche qualche critica, soprattutto da parte del frate domenicano Girolamo Savonarola, che denunciò la corruzione e il vizio dilaganti nella Firenze medicea. «Dal punto di vista economico, l’amministrazione di Lorenzo non fu in effetti ottimale, ma egli brillò senza dubbio per le qualità diplomatiche, riuscendo a imporsi quale mediatore tra forze contrastanti», spiega Cardini. «Tra le altre cose, fu abile a rafforzare un’intesa con la Milano sforzesca e con la Napoli aragonese, al fine di contenere le velleità espansionistiche del papato e di Venezia, garantendo in questo modo un prolungato periodo di pace sia alla sua città sia al resto della penisola». Gli stilemi rinascimentali emersi a Firenze iniziarono quindi a influenzare varie altre corti italiane, a partire da quella pontificia. In tale prospero contesto, la notte del 5 aprile 1492 un fulmine frantumò il grande globo dorato posto sulla cupola di Santa Maria del Fiore, già simbolo per eccellenza della “culla del Rinascimento”. Molti pensarono a un brutto presagio, a una sorta di inizio della fine, e così fu: tre giorni dopo, malato di gotta, Lorenzo de’ Medici si spense nella sua villa di Careggi. Dopo il doloroso lutto (a cui seguì il ripristino delle istituzioni repubblicane), Firenze non tornò più ai fasti degli anni precedenti, potendo però ormai vantare un’eredità culturale e artistica senza pari.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]