_

.

> Home                                                      > Chi siamo                                                      > Contattaci

 

Percorsi

.

.

Cultura politica società

.

Diritti umani e civili

.

Filosofia e religione

.

Storia e ambiente

.

.

.

 

Periodi della storia

.

.

Storia Contemporanea

.

Storia Moderna

.

Storia Medievale

.

Storia Antica

.

.

.

 

Rubriche

.

.

Falsi storici

.

Storia dello Sport

.

Turismo storico

.

Stampa estera

.

.

.

 

Numeri arretrati

 

 

 

 

 

.

> Cultura politica società

.

N. 14 - Luglio 2006

I FIGLI PERDUTI DELLA RIVOLUZIONE

Dove va la jihad islamica dopo la morte di Al Zarqawi

di Leila Tavi

 

Gli Stati Uniti “abbattono” un militante della jihad, Abu Musab al Zarqawi, e subito i quedisti hanno pronto un nuovo eroe mediatico, un nuovo sollevatore di masse: Ayman al Zawahri. Lo abbiamo visto in un video diffuso dall’emittente al Jazeera all’indomani della morte di al Zarqawi; nella sua apparizione l’immagine del combattente e del profeta sembra essere riassunta dai due soli elementi che spiccano su uno sfondo nero: il kalashnikov e la tunica bianca.

 

Nonostante la morte di al Zarqawi il panislamismo jahadista conquista una nuova vittoria, dopo Hamas in Palestina, con l’incarico conferito, in Somalia, al leader radicale Sheikh Hassan Dahir Aweys, vicino ad al-Qaeda, di presiedere il nuovo consiglio legislativo.

 

Nei giorni passati le maggiori emittenti televisive hanno mostrato la gigantografia del volto di al Zarkawi, morto in seguito alle ferite riportate dopo un raid degli statunitensi l’8 giugno scorso.

 

Micheal Berg, padre di Nicholas, un ostaggio decapitato in Iraq due anni fa, ha commentato l’uccisione del ribelle giordano senza urla di giubilo, a differenza della gran parte degli Americani, ma con le parole: “Another step in the endless cycle of violence”.

 

In questo articolo cercheremo di analizzare alcune teorie di esperti che hanno studiato il terrorismo in Medio Oriente per capire l’evoluzione del fenomeno nel prossimo futuro.

 

Inizieremo con uno dei più autorevoli studiosi, il giordano Fouad Hussein, l’unico tra i giornalisti ad avere avuto la possibilità di conoscere al Zarkawi e di averlo frequentato per lungo tempo durante la sua detenzione in Giordania.

 

Fouad Hussein ha pubblicato lo scorso anno il suo carteggio con al Zarkawi in un libro dal titolo Al-Zarqawi. Al-Qaida’s second generation. Nel suo libro è inclusa anche una copia della lettera a lui indirizzata da Seif al Adl, l’uomo su cui la FBI ha messo una taglia di cinque milioni di dollari; nelle parole di al Adl ritroviamo la conferma della divergenza di idee tra Osama bin Laden e al Zarkawi durante la guerra in Afghanistan.

 

Hussein è un giornalista rispettato e stimato dai gruppi rivoluzionari islamici, il suo film sulla vita del n. 2 di al Qaida può essere scaricato da alcuni siti che orbitano intorno all’organizzazione terroristica.

 

La teoria di Hussein circa l’origine, l’evoluzione e il fine ultimo dei nuovi movimenti terroristici in Medio Oriente si basa su sette punti:

 

1.      La fase dell’awakening, dall’attacco dell’11 settembre alla caduta di Baghdad nel 2003, in cui, attraverso la provocazione del triplice attacco a New York e Washington, secondo Hussein, al Qaida ha voluto dichiarare guerra agli Stati Uniti e ha esteso la sua rete per poter diffondere la sua propaganda a livello mondiale;

2.      La fase dell’opening eyes, dalla caduta di Baghdad alla fine del 2006, in cui al Qaida sta cercando di trasformarsi da organizzazione a movimento e in cui l’Iraq serve da centro per tutte le operazioni internazionali, sede di una vero e proprio esercito di giovani reclutati per la causa, insieme ad altre basi dislocate in diversi paesi arabi;

3.      La fase dell’arising and standing up, dal 2007 al 2010, in cui il cuore dell’organizzazione si sposterà in Siria e verranno organizzati attentati in Turchia e in Israele; anche la Giordania, al confine con l’Iraq potrebbe essere colpita da una serie di attentati;

4.      La fase del collapse of the hated Arabic governments, dal 2010 al 2013, in cui si assisterà alla fine dei governi filo-occidentali in Medio Oriente e che segnerà il consolidamento di al Qaida come attore politico. I possibili attacchi saranno in questa fase, secondo Hussein, all’economia statunitense e militanti islamici si serviranno principalmente delle tecniche di cyber terrorismo;

5.      La fase dell’Islamic state or caliphat, dal 2013 al 2016, in cui non ci sarà più nessuna influenza occidentale sul Medio Oriente e Israele sarà stato indebolito dai continui attacchi terroristici. Questa sarà la fase in cui il neo Stato islamico sarà in grado di costituire un nuovo ordine mondiale;

6.      La fase della total confrontation, dal 2016 al 2019, in cui verrà attuata la strategia della guerra agli infedeli, predicata da Osama bin Laden;

7.      La fase finale della definitive victory, dall’inizio del 2019 alla fine del 2020, in cui Hussein prevede una vittoria più demografica che militare e che sancirà il trionfo del califfato sul resto del mondo.

 

Nonostante consideriamo la teoria di Hussein molto interessante, ci sono alcuni punti sui cui il nostro giudizio diverge.

 

In primis esclude completamente una possibile reazione o strategia da parte dell’Occidente, che Hussein considera essere sottomesso all’Oriente nel giro di meno di venti anni; poi sopravvaluta le mosse tattiche dei gruppi terroristici arabi, considerandoli un’organizzazione così salda e coesa, da avere una strategia operativa già da prima dell’11 settembre 2001, e che sarà in grado di portare a termine la sua consolidazione nel giro di pochi anni.

 

In realtà sta succedendo esattamente il contrario: stiamo assistendo alla frammentazione delle organizzazioni terroristiche e stiamo entrando in una fase del conflitto in cui la leadership centrale sta perdendo importanza nei confronti dei gruppi locali, sui cui non riesce più a imporre la propria linea politica e la sua influenza.

 

L’analisi di Hussein si basa infine solo su elementi di tipo religioso; stiamo invece assistendo a un conflitto mosso da ragioni economiche,  che nonostante le apparenze ha come scenario principale il mondo della finanza occidentale.

 

In Medio Oriente il conflitto è stato tradotto e adattato di volta in volta a modelli religiosi per poter essere compreso dalla gente, al fine di attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica che, altrimenti, avrebbe subito passivamente gli effetti dei mercati finanziari occidentali.

 

La rete dei quedisti ha voluto giocare la carta demografica contro il neo colonialismo finanziario.

 

Si può ipotizzare anche che al Qaida non esista affatto, che sia la copertura di diverse organizzazioni criminali separate e in collegamento tra di loro, una sorta di mafia che opera nei mercati finanziari occidentali attraverso il riciclaggio di denaro proveniente dal traffico internazionale di droga.

 

E’ in quest’ottica che  l’ideologia fondamentalista diventa una pericolosissima arma, se nelle mani delle organizzazioni criminali e al servizio della finanza internazionale.

 

Oggi nel Medio Oriente non esiste una sola jihad, ma vari stadi: il più alto di tutti la jihad del cuore, in una dimensione spirituale individuale, seguita da quella della parola, trasmessa dagli ulimas, e naturalmente la jihad a noi occidentali più familiare, la jihad armata, che è un livello inferiore e marginale. [cfr. Nadine Picoudou]

 

La jihad dei nostri giorni non ha nulla a che vedere con la jihad classica di Saldino ai tempi delle Crociate, si tratta solo di una “pseudocontinuità” della tradizione; in quest’ottica il salafismo è un artificio, come la simbologia collettiva del concetto di  nazione creata in Europa nell’Ottocento e che pretendeva di avere origine nel Medioevo [cfr. Rosario Romeo].

 

Il terrorismo islamico è l’effetto della mistificazione dell’economia globale da parte delle potenze mondiali; così come, negli anni Settanta, il terrorismo in Europa era l’effetto della mistificazione da parte dei governi nazionali della recessione.

 

Richard Antoun è un antropologo che studia da anni le società stanziali in Giordania e nel suo libro Understanding fundamentalism. Christian, Islamic and Jewish movements, uscito un mese prima dell’11 settembre 2001, definisce il fondamentalismo religioso come “an orientation to the modern world, cognitive and affective” che si esprime attraverso il rifiuto e la paura del cambiamento e della società moderna.

 

Antoun spiega però che l’espressione del fondamentalismo contemporaneo è una sintesi tra una “selective modernization” e una “controlled acculturation”; si tratterebbe  di antimodernisti in chiave moderna, capaci di adattare i valori tradizionali di una cultura al fenomeno della modernizzazione.

 

Ma il “fondamentalismo postmoderno” è veramente un fenomeno tipico del mondo islamico contemporaneo? Se lo è, esiste un solo fondamentalismo islamico, o varie forme?

 

Per Keppel il fondamentalismo è legato alla tradizione evangelica protestante e perciò non può essere applicato universalmente, non può essere una metafora; si tratta allora della proiezione che noi facciamo del mutamento sociale in corso in Medio Oriente che, attraverso tale processo di assimilazione, viene automaticamente associata a categorie di pensiero a noi familiari.

 

Può aiutarci a comprendere questa trasposizione mentale l’articolo di Malise Ruthven su “The Guardian” del 10 ottobre 2001; noi Occidentali´dovremmo ammettere che, la stessa ideologia che sottende ai movimenti di rinnovazione in Medio Oriente, ha in realtà le sue radici in Occidente.

 

L’intelligentsia di tali movimenti si è formata in Occidente; Ruthven fa l’esempio dell’egiziano Sayyid Qutb, l’intellettuale condannato a morte da Nasser, che prima di convertirsi alla causa jihadista tracorse un lungo periodo negli Stati Uniti, dove frequentò le Università di Washington, Colorado e California.

 

La motivazione ideologica e la giustificazione razionale dell’assassinio di Sadat traggono l’ispirazione dal pensiero filosofico di Qutb, in cui prende corpo il concetto di “stato della jahiliya”, Stato dell’ignoranza, supportato e alimentato dall’Occidente.

 

Il compito dei militanti islamici è debellare tutti gli Stati della jahiliya dall’Algeria alle Filippine.

 

Il ruolo dei leader carismatici durante tutta la lotta agli Stati della jahiliya va analizzato nell’ottica della duplice strumentalizzazione, una operata dagli Stati Uniti e l’altra dai militanti stessi.

 

Per gli Stati Uniti diventano la personificazione del male, che sostengono di combattere attraverso la loro guerra preventiva; allo stesso tempo la rappresentazione mediatica negativa che viene fatta dei leader carismatici sulle emittenti televisive statunitensi ed europee è la causa della diffusione a livello mondiale e della notorietà che, come un effetto boomerang, ne fa degli eroi.

 

Questo è il caso di Osama bin Laden, una volta ricco playboy sunnita; al Zarkawi, uno sconosciuto giordano divenuto famoso solo perché l’intelligence statunitense ha indicato in lui il legame tra Osama bin Laden e Saddam Hussein; o al Zawahri, il chirurgo profeta.

 

Se catturati o uccisi, come nel caso di al Zarkawi, questi eroi diventano sì martiri, ma nell’immaginario collettivo diventano, nel bene e nel male, “intercambiabili”: questa è l’autostrumentalizzazione richiesta dalla lotta per la jihad.

 

Morto Zarkawi è costretto a riapparire bin Laden, di cui sono state trasmesse registrazioni vocali via internet in questi ultimi due giorni: due appelli, l’uno per commemorare Zarkawi, eroe immolato alla causa, le cui spoglie bin Laden, esige dal governo americano, che siano riconsegnate alla famiglia e, l’altro, a difesa della comunità sunnita in Irak.

 

Viventi, tenuti artificialmente in vita con sosia o effetti speciali in video, eroi da morti, i leader islamici sono la perpetuazione della lotta al di là del culto personale.

 

E’ un fenomeno di personificazione dell’ideologia, una mediazione tra la tradizione religiosa islamica e la secolarizzazione dell’Illuminismo europeo.

 

Il cosiddetto fondamentalismo islamico ha, come abbiamo già accennato, le sue radici nel pensiero filosofico occidentale ed è un concetto moderno in continua evoluzione.

 

Le sue diverse connotazioni si sono attagliate alla storia contemporanea del Medio Oriente in una continua metamorfosi, da espressione di entità nazionale dopo la fine del colonialismo europeo a terrorismo globale, conseguenza del fallimento dei movimenti rivoluzionari nei singoli paesi islamici.

 

Un terrorismo che è espressione della società moderna, della cronica instabilità politica a livello internazionale dalla fine del bipolarismo e che cela, dietro al suo involucro di irrazionalismo religioso, una sintesi di neoliberismo economico e “fondamentalismo illuminato” comunista.

 

Concordiamo con Loretta Napoleoni, quando sostiene che l’immagine di “un manipolo di fanatici religiosi” che se ne stanno seduti in una grotta in Afghanistan è solo quello che noi vogliamo credere e non quello che i terroristi vogliono farci credere.

 

Non siamo in grado di giudicare obiettivamente il nemico e la sua base finanziaria; l’ ”economia del terrore” ha un mercato di ben 1.500 miliardi di dollari, pari al 5% dell’economia mondiale.

 

Dopo il Patriot Act questi 1.500 miliardi circolano tra le banche europee; è difficile pensare di annientare il presunto nemico quando ciò significa bloccare l’interdipendenza tra il suo denaro e il nostro mercato.

 

Impossibile bloccare la velocità di circolazione del “denaro della guerra”: ieri era il dollaro, oggi è l’euro e domani sarà il rublo o lo yuan.

 

Quel nemico lontano e sconosciuto che l’Occidente è deciso ad annientare altri non è che l’ombra dell’Occidente stesso, deformata e allungata nell’ora del tramonto.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Al Jazeera, nuovo video di al Zawahri: “Al Zarqawi eroe paziente dell’Islam”, “La Repubblica”

http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/esteri/iraq90/nuovo-video-zawahri/nuovo-video-zawahri.html#

Al-Qaïda, emissione radiofonica, “Radio France”, 02.04.2006;

Al-Qaïda, la terreur, regia di Jean-Pierre Milelli e Thomas Hegghammer, Francia, 2005;

Richard T. Antoun, Understanding fundamentalism. Christian, Islamic and Jewish movements, Lanham, Rowman & Littlefield, 2001;

Ben Laden: les Sunnites sont victimes d’un génocide en Irak, “Le Monde”, 02.07.2006,

http://www.lemonde.fr/web/depeches/0,14-0,39-27606536@7-37,0.html, consultato il 02.07.2006 ;

Peter W. Galbraith, Iraq: Bush’s Islamic republic, “The New York Review of Books”, LII, 13, 11.08.2005;

John Gray, How Marx turned Muslim, “The Indipendent”, 22.07.2002,

http://www.themodernreligion.com/pol/marx-muslim.html, consultato il 26.06.2006;

Renzo Guolo, Il fondamentalismo contro l’Islam, www.italianieuropei.it, consultato il 26.06.2006;

Michael C. Hudson, The Middle East, “PS : Political science and politics”, XXXIV, 4 (dicembre 2001), pp. 801-804;

Fouad Hussein, Al-Zarqawi. Al-Qaida’s second generation, Francia, 2005;

Fouad Hussein [regia], Von Herat zu Baghdad, documentario, Francia, 2005;

Gilles Keppel, Bad moon rising, Londra, Saqi, 2003 [tit. or. Chronique d’une guerre d’Orient] ;

Daniele Mastrogiacomo, Nelle strade di Mogadiscio l’Islam è l’ultima speranza, “La Repubblica”,

http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/esteri/reportage-mogadiscio/reportage-mogadiscio/reportage-mogadiscio.html#

Yassin Musharbash, What al-Qaida really wants, “Spiegel online”,

http://service.spiegel.de/cache/international/0,1518,369448,00.html, consultato il 26.06.2006;

Loretta Napoleoni, Al-Zarqawi, Milano, M. Tropea, 2006 [tit. or. Insurgent Iraq];

Loretta Napoleoni, The myth of Zarqawi, “AntiWar.com”,

http://www.antiwar.com/orig/napoleoni.php?articleid=7988, consultato il 26.06.2006;

Loretta Napoleoni, Terrorismo S.p.A., Milano, M. Tropea, 2005 [tit. or. Modern Jihad];

Malise Ruthven, Fundamentalism. The search for meaning, Oxford. Oxford University Press, 2004;

Malise Ruthven, Islam in the world, Londra, Penguin, 1984

Malise Ruthven, This man may bekome our nemesis. For the Muslim dispossessed, Bin Laden is the new Saladin, “The Guardian”,

http://www.guardian.co.uk/Archive/Article/0,4273,4274018,00.html

Quo vadis Islam?, documentario, Austria, 2001;

Zarqawi’s death „Another step in the endless cycle of violence” – Father of beheaded in Iraq, “Democracy Now”,

http://www.democracynow.org/article.pl?sid=06/06/09/1427206

Zarqaoui. La question terroriste = Abu Musab al Zarqawi. Beruf Terrorist, regia di Patrice Barrat, Najat Rizk, Fouad Hussein, Francia, Arte, 2005

 

eOs dl

 

 

Consulenze storiche

.

.

Enti pubblici & privati

.

Università & studenti

.

.

.

 

Collabora con noi

.

.

Scrivi per InStoria

..

.

.

 

Editoria

.

.

Eos dl edita e pubblica:

.

- Manoscritti

.

- Tesi di laurea

.

Catalogo opere Eos

.

.

.

 

Links

 

Banners

 

 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.