.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

medievale


N. 129 - Settembre 2018 (CLX)

il farro e una santa
notizie storiche di un cereale minore

di Angela R. Piergiovanni

 
Il 7 ottobre 2012 papa Benedetto XVI ha proclamato "Dottore universale della chiesa" santa Ildegarda di Bingen, una suora benedettina nata in un villaggio nei pressi di Magonza (Germania) e vissuta tra il 1098 e il 1179.

 

Questo riconoscimento ha risvegliato l'interesse verso questa santa che appartiene a un periodo storico e un contesto geografico decisamente lontani. Numerosi sono i libri pubblicati negli ultimi anni su Ildegarda, scorrendone velocemente i contenuti ci si accorge facilmente come la sua vita venga riproposta di volta in volta sotto una angolatura diversa.

 

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, si tratta di una figura complessa ben lontana dagli stereotipi che ritengono le figure femminili del tutto marginali nelle vicende storiche e culturali del Medioevo. Nel corso della sua vita Santa Ildegarda, divenuta badessa, fondò due monasteri nei pressi di Bingen sul Reno, una cittadina della Renania-Palatinato (Germania) e intrattenne rapporti epistolari con importanti personaggi del suo tempo, quali Federico Barbarossa, Filippo d'Alsazia, san Bernardo, Eugenio III, che, in virtù della sua fama, chiedevano consiglio su importanti aspetti della vita politica e religiosa del tempo.

 

Notevole è la mole di scritti che Ildegarda stessa ci ha lasciato. Si tratta di una produzione molto diversificata che comprende opere teologiche e filosofiche, componimenti poetico-musicali a carattere religioso, ma anche testi di scienza, cosmologia e medicina alternativa.

 

È doveroso ricordare che nel Medioevo i monasteri non erano soltanto luoghi di preghiera, ma anche importanti centri culturali. Inoltre svolgevano un prezioso ruolo sociale che si concretizzava nella gestione dei territori limitrofi e nell’ospitalità e assistenza dei viaggiatori.

 

In questo contesto, era normale che i religiosi fossero depositari di importanti conoscenze sulle proprietà terapeutiche vere o presunte delle piante sia coltivate che spontanee. Nei nove volumi della raccolta intitolata “Physica”, Ildegarda elaborò in maniera organica le conoscenze del tempo relative all’effetto sulla salute di tutto ciò che era commestibile.

 

È proprio leggendo queste opere che emerge un legame tra Ildegarda e il farro. Un passo tratto da un suo scritto recita: "Il farro è il cereale migliore. Ha potere calorico, è molto nutriente ed è più leggero di tutti gli altri cereali. Il farro fa buona carne, buon sangue e da un carattere allegro e spensierato a chi se ne alimenta. Naturalmente per mangiarlo occorre che sia cucinato: con il farro si può fare il pane o lo si può mangiare cuocendolo in acqua come tanti altri cibi; il farro è, in una parola, buono, leggero e digeribile". (PL 1131 C/D).

 

Ovviamente per una corretta interpretazione di questo brano è indispensabile contestualizzarne il contenuto. A tale scopo è prima di tutto indispensabile definire la rilevanza che il farro aveva nella alimentazione quotidiana delle popolazioni germaniche del XI-XII secolo. In secondo luogo, è necessario capire a quale delle tre specie di farro (farro piccolo, farro medio o spelta) si riferiva santa Ildegarda quando, nei suoi scritti, ne esaltava le proprietà nutrizionali e terapeutiche.

 

Generalmente, la corretta identificazione di specie botaniche citate nei testi molto antichi è problematica. Le difficoltà derivano da vari fattori che vanno dalle incertezze insite nella traduzione da lingue antiche non più parlate, all’uso di una terminologia che è notevolmente cambiata nel corso dei secoli.

 

Una ulteriore complicazione deriva dalla mancanza in passato, di una nomenclatura delle specie vegetali adottata a livello transnazionale, cosa che è avvenuta solo da poco più di due secoli. In conseguenza di questo, al tempo di Ildegarda, la stessa specie poteva avere nomi diversi non solo passando da un territorio a un altro, ma anche da un’epoca all'altra nel medesimo comprensorio.

 

Ad esempio, in epoca medievale nei territori di lingua germanica il termine "korn" non identificava un particolare cereale. Nella Germania settentrionale lo si usava per indicare la segale, mentre più a sud, vicino al lago di Costanza, ai fiumi Neckar e Danubio e nell'attuale Svizzera designava la spelta, quindi due diversi cereali.

 

Queste semplici considerazioni evidenziano come le informazioni ricavabili dallo studio di testi antichi come quelli di Ildegarda devono essere necessariamente integrate con dati ottenuti utilizzando altri approcci metodologici che vanno dallo studio dei reperti archeologici, all'analisi delle raffigurazioni dell'epoca, e via dicendo.

 

Nel caso specifico un valido aiuto può venire dall'archeobotanica, una disciplina che studia i resti vegetali (semi, frutti, pollini, ecc.) rinvenuti in contesti archeologici di varie epoche. Le analisi su questi reperti non solo permettono di identificare le specie cui essi appartengono, ma anche di ricostruire ecosistemi e paesaggi agrari del passato e l'evoluzione temporale delle relazioni tra uomo e piante coltivate.

 

Studi di archeobotonica sono stati condotti anche nelle regioni che ricadono nelle attuali Germania occidentale e Svizzera. Queste aree geografiche corrispondono grosso modo a quelle in cui visse e operò Ildegarda. Analizzando i risultati di questi studi pubblicati su riviste scientifiche, si apprende che nell'Alto Medioevo (XI-XII secolo), nella Germania sud-occidentale e Svizzera settentrionale la coltivazione dei cereali era praticata in tre diversi contesti agrari.

 

Nelle zone intorno al fiume Neckar, un affluente del Reno, prevaleva la coltivazione della segale, nel nord della Svizzera dominava la spelta, mentre nella zona compresa tra queste due aree l'agricoltura era più diversificata e coesistevano coltivazioni di spelta, segale ed avena. L’esistenza questi tre agro-ambienti è attribuibile non solo alle diverse condizioni climatiche delle regioni prese in esame, ma anche alle preferenze delle popolazioni che le abitavano.

 

Spostandosi dalla valle del Neckar verso la Svizzera settentrionale il clima diventa via via più rigido e questo favoriva la coltivazione della spelta che, sopportando meglio di altri cereali le basse temperature, assicurava raccolti più consistenti. Inoltre, la predilezione delle popolazioni per il pane bianco si rispecchiava in un maggiore consumo di farina di spelta, al contrario la preferenza per un tipo di pane scuro incrementava la coltivazione della segale.

 

La frequenza di resti vegetali identificati dagli archeobotanici come spelta sia in villaggi che castelli suggerisce che questo cereale aveva sicuramente una certa rilevanza nella dieta non solo di chi viveva in contesti completamente agricoli (piccoli agglomerati rurali) ma anche di coloro che popolavano i primi abbozzi di agglomerati urbani che si andavano formando nei pressi dei castelli.

 

Alla luce di questi riscontri scientifici si può dire con ragionevole certezza che il farro di cui parla Ildegarda nei suoi scritti era la spelta e che il suo consumo, non era occasionale, ma parte integrante della dieta giornaliera di popolazioni che abitavano contesti geografici ben definiti.

 

Chiarito che esistono riscontri oggettivi sulla effettiva coltivazione della spelta nel contesto storico-geografico in cui visse Ildegarda, restano da verificare le affermazioni sulle sue proprietà salutistiche e terapeutiche.

 

È ovvio che non si può e non si deve dimenticare che nel XII secolo le conoscenze mediche erano decisamente limitate. Le affermazioni a riguardo delle proprietà terapeutiche da associare a ciascuna specie vegetale sarebbero rimaste ancora per molti secoli basate su speculazioni personali prive di ogni riscontro oggettivo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Ildegarda di Bingen, Il ricettario del farro. Oltre 200 ricette di sicuro successo,  traduzione di Donato D., Ed. Segno, 2005.

 

Jänichen H. 1970, Beiträge zur Wirtshaftsgeschichte des schwäbischen Dorfes, Veröff Komm Gesch Landeskd Baden-Wűttemberg B 60.

 

Strehlow W., La medicina di santa Ildegarda. Guida sintetica e pratica, Edizioni Mediterranee, 2002.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.