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N. 28 - Settembre 2007

Il marchese Federigo Fagnani e il suo viaggio

Lettere da Pietroburgo tra il 1810 e il 1811

di Leila Tavi

 

In occasione della prossima pubblicazione della collana “Italia e Russia”, curata da Michail Talalai per l’Accademia russa delle scienze, presentiamo ai lettori di InStoria la versione italiana del saggio sul marchese Federigo Fagnani che sarà pubblicato in russo all’interno della collana alla fine del 2007.

 

La vita del marchese

 

Chi giudica dagli effetti dia il bando alla prudenza ed alla ragione, e commetta il governo di sé e delle cose sue alla sorte.

(F. Fagnani – Osservazioni sul governo dei filugelli)

 

Federigo Fagnani proveniva da una famiglia nobile di grandi proprietari terrieri con origini antiche, come documentato dallo juspatronato della famiglia Fagnani sull’Oratorio di San Matteo alla Panchetta (o Banchetta) in Milano dal 1065 e presente nel Libro d’Oro della nobiltà milanese del 1277 (Luisa Vignati, I Fagnani, feudatari di Gerenzano, Robecchetto con Induno, www.gerenzanoforum.it).

 

Il giuspatronato, o juspatronato, forma italianizzata dello jus patronatus, era un diritto concesso su un altare di una chiesa a una famiglia. Tecnicamente era il diritto di proteggere, nel senso di mantenere; infatti era concesso a chi si faceva carico di dotare l'altare stesso, cioè donare denaro e beni immobili da cui l'altare (in realtà chi lo gestiva) traeva rendite (Cfr. Giampaolo Cisotto, Giuseppe Leoni, Luisa Vignati, Induno, Malvagio, Padregnano, Robecchetto. Storia di una comunità, [s.l., s.d.], 1997, p. 30).

 

Federigo nacque a Milano l’8 novembre 1775 dall’unione di suo padre Giacomo con Costanza Brusati dei marchesi di Settala e fu il quinto marchese di Gerenzano, con lui si estinse la linea maschile della famiglia. Nel 1794 ottenne una laurea in legge; suo maestro fu il senese Angelo Maria Pannocchieschi dei conti d’Elci, grande bibliofilo, da cui Federigo apprese con molta probabilità la passione per i libri e la cultura.

 

Nella Milano napoleonica il marchese ricoprì varie e importanti cariche: nel 1805 fu ciambellano, poi consigliere di Stato, nel 1807 cavaliere della Corona ferrea, ordine istituito da Napoleone Bonaparte con il Terzo Statuto Costituzionale del 5 giugno del 1805, al fine di assicurare, attraverso contrassegni d'onore, una degna ricompensa ai servizi resi al sovrano del Regno italico tanto nella carriera delle armi, che in quella dell'amministrazione, della magistratura, delle lettere, e delle arti,  e, infine, nel 1810 uditore del Consiglio di Stato (Per i cenni biografici sull’autore cfr. Guido Fagioli Vercellone, Fagnani, Antonietta [voce], “DBI”, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1994, vol. XLIV, p. 185).

 

Esperto di coltivazione di terreni e d’economia campestre scrisse alcuni saggi in merito: Notizia sulla bigattaja padronale della Fagnana seguita da alcuni cenni sui vantaggi di tali bigattaje, Milano, Bernardoni, 1816; Osservazioni sul governo dei filugelli, fatte nel corrente anno 1817, […] con una lettera del medesimo sulla propagazione de’ pomi di terra nell’agro milanese, Milano, Bernardoni, 1817; Errori e pregiudizi sopra la sanità dei bigatti con alcune osservazioni relative alla materia, Milano, Bernardoni,1818; Osservazioni di economia campestre fatte nello stato di Milano, Milano, Giusti, 1820.

 

Le sue Lettere scritte di Pietroburgo correndo gli anni… rappresentano l’unico saggio a sfondo politico-sociale che Fagnani scrisse. Le altre sue opere, tutte successive alle Lettere, sono trattati d’economia campestre o sull'allevamento di bachi da seta, insieme a una traduzione degli Epigrammi di Marziale (Epigrammi di m. Val. Marziale volgarizzati in rima e in altrettanti versi da Federico Fagnani, Milano, Bernardoni, 1827).

 

Non contrasse mai matrimonio, né si conoscono i nomi di sue amate, se non quello di Angela Pietragrua. L’unico nota a riguardo, datata 26 dicembre 1814, si trova a margine di una copia in possesso di Stendhal dell’opera di L. Lanzi Historia pittorica dell’Italia, in cui lo scrittore francese lamenta di essere stato abbandonato dalla sua amante Angela per il marchese Fagnani. Nel primo quaderno rilegato dell’opera di L. Lanzi appartenuto a Stendhal si trova a p. 23 la seguente annotazione:

 

 “Quand je vois ma maîtresse prête à m’abandonner pour M. Fagnani parce qu’il est marquis, parce qu’il a imprimé pour des raisons viles, ce qui me tue, c’est la mort de mes illusions les plus chères. La vie perd son prix à mes yeux. Voilà exactement ce qui m’arrivait le 26 décembre 1814”.  (Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia dell'ab. Luigi Lanzi antiquario della R. corte di Toscana, Bassano, a spese Remondini di Venezia, 1795-1796).

 

Per dei cenni biografici su Angela Pietragrua cfr. l’edizione del diario di Stendhal Secondo viaggio in Italia del 1811, disponibile nella versione digitale del progetto “DigitaMi” della Biblioteca digitale di Milano, www.digitami.it, in cui si trovano i cenni biografici su Angela Pietragrua.

 

Stendhal descrive inoltre la sorella minore di Federigo, Antonietta (1778-1847), moglie di Marco Arese, nella Chartreuse (alla fine del V capitolo del 1. libro cfr. la nota dell’edizione a cura di Mariella di Maio de La Chartreuse de Parme, Parigi, Gallimard, 2003, p. 716) come una delle donne più belle di Milano insieme all’amata Angelina (Per i cenni biografici su Antonietta Fagnani cfr. Guido Fagioli Vercellone, Fagnani, Antonietta  cit., p. 183-185 e Paolo Colussi, Maria Grazia Tolfo, Antonietta Fagnani in Arese Lucini, “Storia di Milano”,

www.storiadimilano.it).

 

Alla sua morte, avvenuta l’8 ottobre 1840, Federigo Fagnani lasciò in eredità alla Biblioteca Ambrosiana di Milano più di 23.000 volumi, circa 16.000 carte geografiche e migliaia di disegni e stampe.

 

Parte del testamento di Federigo conservato nell’Archivio storico parrocchiale di Robecchetto è stato trascritto in Giampaolo Cisotto, Giuseppe Leoni, Luisa Vignati, Induno, Malvagio, cit., p. 34-36,  per questo motivo a lui è dedicata una sala delle Biblioteca. L’ingegner Carlo Berra, amministratore del marchese, ricevette l’incarico dagli esecutori testamentari, di cui primo esecutore fu nominato il conte Giacomo Mellerio, di provvedere alla consegna del materiale alla biblioteca.

 

Nella copia del testamento del 1938 e codicillo 1940, in possesso di Luisa Vignati, consigliere comunale di Robecchetto, all’art. 53, sono citati come esecutori testamentari il conte Giacomo Mellerio e il conte Antonio Greppi, che fu impossibilitato o non volle accettare l’incarico e fu quindi sostituito dal conte Monticelli Strada, cancelliere imperiale, come indicato nell’atto notarile in possesso di Luisa Vignati. Con tale atto è inoltre possibile ricostruire le vicende dell’eredità Fagnani, con riferimento soprattutto alla lite tra Antonietta Arese Fagnani e sua sorella Mie-Mie Hertfort Fagnani.

 

Nella relazione di Carlo Berra è scritto: “ […] in quanto alle incisioni in rame il loro numero oltrepassa le sedicimila, che incorporate alle 44 mila già possedute dall’Ambrosiana presentano un insieme ragguardevole ed importante, e sommamente utili agli studiosi di belle arti. I disegni consegnati sommano a 4.320, e tanto tra le prime, quanto tra i secondi riscontransi non pochi prezzi rari, di ottima conservazione, e originali. Una piccola collezione di medaglie, in metalli diversi, ed altri in piombi, alcuni capi d’arte, e tra diversi reputati quadri una testa rappresentante un antico filosofo d’ incomparabile pregio, ritenuta di Tiziano, ed un bellissimo Salvatore coronato di spine, in mosaico, con elegante corniciatura in bronzo di buon gitto” (cit. in Pier Angelo Gianni, Don Federigo Fagnani, ultimo marchese di Gerenzano, www.gerenzanoforum.it)

 

Destinò inoltre molti dei suoi beni a istituti religiosi, principalmente alla Compagnia dei Gesuiti, e commissionò prima della sua morte all’architetto Giulio Aluisetti il progetto della chiesa di S. Maria delle Grazie di Robecchetto (Laura e Angelo Vittorio Mira Bonomi, La Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Robecchetto, Milano, Fondazione Primo Candiani, 2003, p. 4).

 

Del suo testamento scrive Vincenzo Gioberti in Il gesuita moderno:

 

“Notissimo è il fatto del Marchese Fagnani avaro, ambizioso, astuto, pizzicante dell’incredulo e dell’ateista, epicureo in morale e politica; […] Costui, venuto in fine di morte, fece per indotta del conte Mellerio un lascito di cinque sei milioni di lire da rassegnarsi ai Gesuiti per fondare loro case e collegi con grave danno degli eredi naturali” (Vincenzo Gioberti, Il gesuita moderno, Losanna, Bonamici, 1847, t. 4., p. 466).

 

A Federigo sarebbero succedute le sorelle Antonia e Maria Emily, che finirono in causa. Il contenzioso durò quarantaquattro anni e si risolse solo nel 1884 con l’assegnazione dei beni immobili, con la cessazione del diritto d’albinaggio del 1815, confermata dall’art. 3 del Codice Italiano del 1865, ad Antonia e quindi ai suoi eredi, mentre i beni mobili furono divisi equamente tra gli eredi di Maria Emily e quelli di Antonia (Nell’ Archivio storico Parrocchiale di Robecchetto sono conservate delle lettere del conte Mellerio in veste di esecutore testamentario ).

 

Per il testo integrale della determinazione del 15 luglio 1815 cfr. Archivio lombardo della legislazione storica,http://arcleggi.lombardiastorica.it; già Napoleone nel 1806 aveva imposto una deroga al suddetto diritto per i cittadini del Regno italico.  Per il testo integrale del decreto del 19 febbraio 1806 a firma di Napoleone cfr. Archivio lombardo della legislazione storica, http://arcleggi.lombardiastorica.it.

 

Un anno prima del suo viaggio a Pietroburgo, nel 1809, fu nominato dall’imperatore Napoleone conte del Regno italico; Flavio Fagnani, uno dei discendenti collaterali del marchese, possiede una lettera originale di Federigo Fagnani, datata 11 novembre 1809 e indirizzata al Consigliere Segretario di Stato Antonio Strigelli, in cui Fagnani ringrazia Strigelli per l’onorificenza ricevuta con decreto del 10 ottobre 1809, a firma dell’imperatore Napoleone, e recapitato a Fagnani il 26 ottobre 1809, per ordine del Cancelliere Guardasigilli della Corona Francesco Melzi d’Eril, di cui riportiamo la trascrizione:

 

“Fagnani Conte/Sig.r Segretario/Sono sollecito di significarLe che mi è pervenuta alle mani il di Lei pregiatissimo foglio dato in Milano il giorno 26 Ottobre per il quale in esecuzione degli ordini di Sua Eccellenza il Cancelliere Guardasigilli della Corona mi partecipa come La Maestà del Re d’Italia si è degnata nominarmi Conte del Regno, e nel tempo stesso m’informa di ciò che io debba fare a tenore delle Sovrane disposizioni in tale circostanza./Nell’adempiere questo mio preciso dovere mi reputo fortunato di trovare l’opportunità di farLe conoscere i sentimenti della mia verace stima per la sua degna Persona./Parigi 11 novenbre 1809/ Federigo Fagnani”.

 

Antonio Strigelli fu nominato, con decreto del 10 ottobre 1809, Consigliere Segretario di Stato da Napoleone, in sostituzione di Luigi Vaccari, diventato Ministro degli Interni, come certificato dall’archivio informatico dell’Archivio lombardo della legislazione storica, http://arcleggi.lombardiastorica.it.

 

La lettera indirizzata all’allora Segretario di Stato è uno dei pochi autografi di Fagnani; il resto dell’archivio di famiglia, confluito in quello dei Clerici, è andato distrutto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, che non risparmiarono il palazzo di Milano di corso Venezia, di proprietà della famiglia Arese. Parte dell'archivio di famiglia è confluito in quello della famiglia Clerici, in cui si trovano alcuni carteggi privati di Federigo con amici.

 

I Clerici erano una potentissima e ricchissima famiglia milanese con cui i Fagnani si imparentarono varie volte tra il XVII e il XIX secolo e che riuscì alla fine dell’800 a reintegrare anche la parte di patrimonio della famiglia Fagnani, estinta per il ramo maschile con la morte di Federigo. (Cfr. Matteo Turconi Sormani, Copreno: storia di un borgo tra clero, nobiltà e popolo, Saronno, [s.n.], 2004).

 

A Milano l’unico palazzo ancora esistente appartenuto ai Fagnani oggi è di proprietà dei conti Ronzoni; si trova in via Santa Maria Fulcorina (vicino alla Biblioteca Ambrosiana; lo si identifica per lo stile barocchetto lombardo e perché è adiacente a un ex oratorio, San Matteo alla Banchetta, un tempo chiesa di famiglia.

 

Dopo l’unità d’Italia il patrimonio della famiglia Fagnani, tranne la donazione fatta alla Biblioteca Ambrosiana, fu acquisito dal neo Stato italiano, che lo mise già nel 1867 all’asta. Luigi Canzi acquistò per una cifra irrisoria le terre del paese di Gerenzano, dove i Fagnani avevano estese proprietà, come documentato dall’incartamento del 1867 depositato nell’Archivio di Stato di via del Senato a Milano (Archivi storici della Lombardia – PLAN, Fondo Clerici, Possessi, Codice:  ASMI4440002003, http://plain.lombardiastorica.it/).

 

Canzi, abile affarista e politico, sfruttando la sua carica come deputato del collegio, non dichiarò il suo domicilio, così da non pagare l’intera somma dovuta. Egli rivendette successivamente la chiesa di San Giacomo e tutti i beni ecclesiastici di Gerenzano al marchese Clerici, con un guadagno di oltre un milione di lire.

 

Il politico potrebbe essere stato un mero intermediario, che acquistò per i Clerici su commissione. Negli atti di causa conservati a Robecchetto è sempre indicato come “acquirente”, solo in un documento del 1875 è nominato come “affittuario dei tenimenti di Gerenzano”.

 

Su Fagnani girarono delle voci infamanti che lo accusarono di essere filoaustriaco dopo che Napoleone, adirato per l’audacia del marchese, fece ritirare da tutte le librerie del Regno la prima edizione di Lettere scritte di Pietroburgo, apparsa nel 1812, alla vigilia della Campagna di Russia. Napoleone considerò un affronto personale la sconcertante previsione fatta da Fagnani nel settimo capitolo conclusivo, dell’invasione della Russia da parte dell’esercito francese che si sarebbe conclusa con una disfatta dei Francesi.

 

A Milano, dopo la caduta di Napoleone, si trovavano due contrapposte posizioni: quella del partito austricante, sostenuto dalla nobiltà italiana e dall’alto clero, e quella del partito francese, raccolto intorno a Francesco Melzi d’Eril e al conte Giuseppe Prina.

 

Durante la seduta del Senato del 17 aprile 1814 i sostenitori di Melzi d’Eril chiesero la votazione di una mozione per la nomina di Eugenio di Beauharnais a re di un Regno d’Italia indipendente. La mozione fu però minoritaria rispetto alle due correnti prevalenti che chiedevano, rispettivamente, un re italiano (in alternativa che il trono fosse dato a Gioacchino Murat), o il ritorno degli Austriaci.

 

La seduta fu aggiornata al 20 aprile, giorno in cui gli oppositori di Melzi d’Eril, tra cui probabilmente Fagnani, organizzarono una sommossa di piazza; la folla irruppe nel palazzo del Senato alla ricerca del conte Prina, sostenitore fino alla fine di Melzi d’Eril e considerato dai Milanesi corrotto e duro nell’imporre le tasse. I Milanesi in rivolta misero in fuga i senatori e saccheggiarono l’aula, per dirigersi a casa del ministro Prina, in piazza San Fedele, uccidendolo poi a colpi di parapioggia. Stendhal attribuisce la responsabilità dell’attentato a G. Prina ai partigiani dell'Austria e ad alcuni liberali, che Standhal riteneva essersi pentiti in un secondo momento (Cfr. Stendhal, Roma, Napoli, Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria, disponibile nella versione digitale del progetto “DigitaMi” della Biblioteca digitale di Milano, www.digitami.it).

 

Fagnani firmò un documento insieme ad altri nobili per convocare i Collegi elettorali, ma in nessuna fonte emerge che fosse stato coinvolto nel massacro Prina. Il marchese non auspicava il ritorno degli Austriaci, ma anelava a poter affrancare la Lombardia dal giogo straniero, come è confermato dai suoi scritti. 

 

Il marchese parla spesso nei suoi libri di una “comune Patria”, l’Italia e, sorprendentemente, alla fine di uno dei suoi trattati, fa delle considerazioni di carattere politico e invoca il “bene dell’Italia” (Federigo Fagnani, Notizia della bigattaja padronale della Fagnana seguita da alcuni cenni sui vantaggi di tali bigattaje, Milano, Bernardoni, 1816, p. 54).

 

Ha rispetto e considerazione dei suoi contadini e si schiera contro il latifondo e la riduzione dei contadini a mera forza lavoro. Il marchese propone due metodi di coltivazione e allevamento in cui i contadini partecipano agli utili: uno in cui vige un sistema di assoluta comunione di danni e profitti tra i contadini e il padrone, che F. Fagnani preferiva, l’altro basato sull’identificazione e la proprietà per ogni singolo contadino all’interno di una coltivazione comune (Ibidem, p. 52-53).

 

Nei suoi scritti si dichiara favorevole al conferimento di denaro ai contadini creditori; al momento della sua morte si rivelò un possidente generoso con i suoi lavoratori, predisponendo nel testamento rendite vitalizie per i suoi contadini.

 

In Osservazioni di economia campestre del 1820 parla infatti della difficile condizione dei contadini:

 

“I contadini costituiscono, a detta d’ogni uomo sensato, la classe la più laboriosa, la meno proclive al vizio, e la più utile della società, eppure con singole contraddizioni e ributtante ingiustizia gente tanto benemerita è negletta, vilipesa, ed anco trattata con maggiore asprezza d’ogni altro ordine della società.” ( Federigo Fagnani, Osservazioni di economia campestre fatte nello stato di Milano, Milano, Giunti, 1820, p. 204).

 

Il “bene dell’Italia” ancora si ritrova tra le pagine di Notizia della bigattaja, che si conclude con una interessante riflessione di carattere politico-sociale, quasi un incoraggiamento alla lotta per l’indipendenza:

 

 “Molti già non si reggono più co’ suggerimenti de’ loro ministri; e quasi emancipati da questa specie di servitù, vogliono vedere co’ propri occhi, pensare colla propria mente, e governarsi secondo la propria e non l’altrui volontà. […] Almeno potessimo dire in nostra discolpa, che noi segnendo, benchè assai da lontano, le pedate dei Cincinnati, abbandoniamo i nostri campi e le cure domestiche, per pagare alla patria il debito più sacro de’ nostri servigi, sia nelle cose della milizia, sia nell’esercizio de’ pubblici uffici” (Ibidem, p. 56).

 

Il viaggio a Pietroburgo

 

La città di Pietroburgo, al dire di tutti gli stranieri, è una delle città le più attraenti, le grandiose e le più importanti. Qui si ritrova riprodotto in colori tutto il lusso dell’Asia.

(Giuseppe Greppi, Un gentiluomo milanese guerriero-diplomatico, 1763-1839)

 

 

Le Lettere scritte di Pietroburgo, pubblicate per la prima volta alla metà del 1812 (Federigo Fagnani, Lettere scritte di Pietroburgo correndo gli anni, Milano, Bernardoni, 1812), sono il resoconto di un viaggio fatto dal nobile milanese tra l’ottobre del 1810 e il marzo del 1811.

 

Lo stile utilizzato è quello del romanzo epistolare, indirizzato a un destinatario immaginario; la prima edizione è composta da sei missive e corredata di una carta della città e alcuni schizzi fatti dall’autore sul sistema di riscaldamento in uso al tempo in Russia.  

 

Il libro, oltre a presentare un interessante scorcio di vita sociale della capitale russa, offre al lettore un’accurata analisi della vita politica e amministrativa della Russia ai primi dell’Ottocento.

 

Una seconda edizione ampliata uscì nel 1815 (Federigo Fagnani, Lettere scritte di Pietroburgo correndo gli anni, Milano, Bernardoni, 1815), dopo il passaggio dall’amministrazione francese a quella asburgica in Lombardia; l’edizione del 1815 è costituita da due tomi che contengono dieci epistole ciascuno, corredate da note e da alcuni grafici in appendice.

 

Pietroburgo colpì particolarmente il marchese Federigo che, come d’uso nella gioventù nobile in Europa, ispirato dalla tradizione del grand tour, aveva già soggiornato a lungo, anche se non più giovanissimo, in Francia e in Germania, visitando anche altri paesi europei.

 

Partì con una nave dalla Germania e raggiunse Stoccolma, proseguendo sempre via mare per Waxholm, Granham, circunnavigando le isole Åland, Ecker, Bomarsund, fino a raggiungere la costa finlandese su un Sump, tipica imbarcazione a vela svedese:

 

“ Il passaggio di Stockolma ad Abo per mare si suol fare sopra certi legni lunghi una trentina di piedi, stretti, e muniti di vele altissime, i quali si chiamano Sump, che somigliano alquanto alle barche corriere del nostro Naviglio, che hanno un casotto e mezzo” (Ibidem,  p. 11).

 

Dopo un tratto di strada percorso via terra, il marchese entrò in nave a Pietroburgo dal “quartiere Wiburgo”, che affacciava sul golfo di Cronstadt, l’attuale golfo di Finlandia: la prima impressione della capitale russa fu di magnificenza, mentre la sua nave si avvicinava al porto.

 

Fagnani spiega al lettore che la città sembra, agli occhi del viaggiatore, ancora più imponente perché appare improvvisamente alla vista dopo chilometri di distese brulle e disabitate:

 

“Egli è per altro cosa memorabile, che da Wiburgo infino a Pietroburgo, per un tratto di paese di cento quaranta werste, corrispondenti a ottanta miglia circa, non si trovano nè città, nè terre, nè tampoco case (tranne i poverissimi abituri dei Maestri di posta) ove ricoverare, ove trovare vettovaglie, o soccorsi d’alcuna maniera. Il paese, come parmi aver detto, è ispido, deserto, e selvoso, che a mille miglia non caderebbe mai in animo al viaggiatore di non essere troppo discosto dalla Metropoli d’un vastissimo impero. Ed io porto opinione, che questo accidente giovi non poco a far comparire Pietroburgo e più vaga, e più maestosa di quello, che per avventura dovrebbe parere se vi si giungesse, come a Parigi, attraverso un paese fertile, colto, ameno, copioso di popolo, disseminato di città, di castella e di ville ben fabbricate” (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., 2. ed., t. 1., p. 21).

 

Nel primi sei capitoli della II edizione delle Lettere l’autore ha la possibilità di soffermarsi a lungo sull’architettura e sulla struttura urbanistica della città (Cfr. Leila Tavi, Il marchese Federigo Fagnani e il suo viaggio a Pietroburgo. Cronache di un italiano nella capitale dell’impero zarista tra il 1810 e il 1811, “InStoria”, II, 13, giugno 2006, www.instoria.it).

 

Nella prima parte, dedicata alla descrizione dell’architettura e del clima della città, l’autore cita spesso brani tratti da tre pubblicazioni considerate all’epoca letture indispensabili nelle corti dell’Europa occidentale, e soprattutto in Francia, per chi decideva di recarsi a visitare la citta di San Pietroburgo: Description de la ville de St. Petersburg, Mémoires sécretes sur la Russie, et particulièrement sur la fin du régne de Cathérine II, et sur celui de Paul I, Voyage de deux Français en Allemagne, Danemark, Suéde, Russie, et Pologne fait en 1790-1792 (Johann Gottlieb Georgi, Description de la ville de St. Pétersbourg et de ses  environs [...]. San Pietroburgo, chez Jean Zach. Logan, 1793; Charles François Philibert, Mémoires secrets sur la Russie, et particulièrement sur la fin du règne de Catherine II et le commencement de celui de Paul I. Formant un tableau des moeurs de St. Pétersbourg à la fin du XVIIIe siècle [...], Parigi, C. Pougens, t. 1.-2 ; Alphonse Fortia de Piles, Voyagede deux Français en Allemagne, Danemark, Suéde, Russie, et Pologne fait en 1790-1792, Parigi, Desenne, 1796, vol. III-IV.

 

Nella terza lettera della I edizione F. Fagnani svela al lettore il vero scopo del suo viaggio, che non è né una missione diplomatica, né un viaggio di piacere, “perché se così fosse sarei da un pezzo repatriato”: il marchese ha il desiderio di vedere come vivono i Russi di cui il suo amico, il generale Pavel Petrovic Suchtelen, ovvero Paul von Suchtelen, a lui accomunato dalla passione per i libri, probabilmente gli ha a lungo raccontato (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., I ed., p. 65).

 

Per i cenni biografici sul generale Suchtelen cfr. Сухтелен, Павел Петпович, “Русский биографический словарь”, San Pietroburgo, Obshestvennaja Zolza, 1932, t. 20., p. 207-208.

 

Fagnani cita più volte il generale olandese come “generale S.” e lo considera un “rispettabile amico” (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. I, p. 11). È possibile che avesse appreso dal generale olandese le paure e le anticipazioni di una probabile guerra tra Francia e Russia (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., I ed., p. 144-155).

 

Lo scrittore ebbe talmente tanto timore delle conseguenze in patria che avrebbero potuto avere le sue affermazioni che, invece di nominare esplicitamente Francia e Russia, si limitò a parlare delle “relazioni politiche tra i due grandi Imperi dell’Europa” (Ibidem, p. 144). Certo è che Fagnani ebbe una sconcertante intuizione della Campagna di Russia in un periodo in cui i motivi di dissenso tra Alessandro I e Napoleone, dopo la pace di Tilsit del 1807, cominciavano appena ad avvertirsi.

 

Dissentiamo perciò dal giudizio di Giorgio Maria Nicolai (Giorgio Maria Nicolai, Il grande orso bianco. Viaggiatori italiani in Russia, Roma, Bulzoni, 1999, p. 252-253), per cui  Fagnani non sarebbe stato in grado di prevedere l’esito dell’imminente scoppio di ostilità tra Francia e Russia; bisogna considerare il contesto in cui lo scrittore milanese, funzionario al servizio di Napoleone, viveva; certamente non avrebbe potuto fare altrimenti che attribuire tali previsioni di guerra ai generali russi e, nella sua posizione di nobile del Regno italico, fu costretto a esprimere una posizione scettica circa una possibile sconfitta dell’esercito francese in terra russa.

 

Nella I edizione il marchese nomina oltre a Paul von Suchtelen un altro generale russo di cui, per prudenza, scrive solo l’iniziale e la finale del cognome, si tratta in realtà del generale e conte Aleksei Andrevic Arakcheev (граф Алексей Андреевич Аракчеев), che nel 1810 si dimise dalla carica di Ministro della difesa per diventare Consigliere di Stato degli affari militari (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., I ed., p. 144).

 

L’autore non dissentiva dal parer de’ Russi, di cui qui ho fatto parola; ed intanto ha fatto le viste di essere  di contraria opinione, in quanto ciò era indispensabile per render pubblico senza manifesto pericolo un giudizio di sì infausto presagio a chi volgeva già nella sua mente il pensiero di trarre ad effetto quella mal augurata impresa, ed il cui sdegno faceva palpitare le persone in alte dignità collocate, non che sbigottire i semplici privati” (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. II, p. 275, nota 41).

 

La sorte è stata ad ogni modo avversa all’autore perché, nonostante abbia utilizzato tutte le accortezze necessarie per poter rivelare nel suo libro l’”infausto presagio”, Napoleone diede immediatamente l’ordine di ritirare le copie delle Lettere da tutte le librerie del Regno.

 

Per ciò che concerne gli aspetti della vita di società, il marchese fu particolarmente colpito dall’abitudine di recarsi alle бания (Il marchese Fagnani è citato a tal proposito in Eero A. Saarenheimo, Italialaisa lisiä suomaliasien saunan historiaan, “Terveydenhoitolehti”, 1949, n. 3005, p. 39-40; 45), le saune pubbliche, dei Petropolitani (Così chiama il marchese gli abitanti di Pietroburgo, cfr. Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., I ed., p. 52):

 

“Io ero perciò inclinato a considerare quest’uso come una bizzarra stravaganza fuori d’ogni ragionevolezza e perniciosa alla sanità. Dopo avere per altro osservate le cose da vicino, mi sono in parte ricreduto” (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. I, p. 193-194).

 

Fagnani considerava l’abitudine dei Russi di qualsiasi estrazione sociale di andare alla sauna ogni sabato sana e igienica, in un paese dal rigido inverno, “ove si traspira poco” (Ibidem, p. 205). Secondo l’autore lombardo anche il più povero dei мужик sarebbe piuttosto morto di fame pur di non rinunciare al tradizionale bagno del sabato. 

 

Lo scrittore milanese era convinto che i Russi fossero dei fedeli custodi delle tradizioni, dei riti propiziatori e delle antiche credenze popolari, come quella, ad esempio, di celebrare l’ultimo dell’anno con ogni sorta di divertimento fino all’alba del giorno dopo, così da propiziarsi un periodo d’abbondanza e felicità nel nuovo anno.

 

Lo scrittore milanese seppe cogliere appieno lo spirito libero che caratterizzava a quei tempi la nobiltà russa di corte, restia alle convenzioni sociali e alla rigida etichetta che provenivano dall’Europa occidentale. Alla corte dello zar, in occasione delle grandi feste come il Natale o il Capodanno, era invitato anche il popolo, che poteva, oltre che festeggiare, assistere alla cena dei reali.

 

I nobili russi non avevano accettato di buon grado le regole di galateo importate dall’Occidente, perché non sentivano tali regole come proprie e al marchese Fagnani, attento osservatore, questo particolare non sfuggì:

 

“[…] parmi aver notato qualche divario tra le feste di Pietroburgo, e quelle del nostro paese, e della Francia. In Italia in fatti si balla con gran vivacità e brio; […]. Nella Francia invece, […] la maestria e la grazia, con cui si balla congiunge col garbo, e colla disinvoltura naturale di quel popolo, […]. Ma le feste all’incontro di questo paese non sono né tanto animate come le nostre, né vi spicca la perfezione dell’arte come in quelle di Francia; e pare che si balli piuttosto pel dovere di società e per moda, che per piacere” (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. I, p. 217-218).

 

Per il nobile italiano recarsi alla corte dello zar fu un’esperienza indimenticabile; nel suo libro lo descrive come un luogo in cui i molteplici popoli e le differenti culture, che arrivavano a corte fin dalle remote terre dell’Impero, avevano l’occasione di incontrarsi e fondersi insieme in uno spettacolo irripetibile agli occhi dello straniero. Secondo l'autore era proprio a corte che ci si poteva rendere effettivamente conto di quanto potente e sterminata fosse la Russia, con i suoi tanti popoli assoggettati allo zar, le diverse lingue, religioni e usanze.

 

In occasione del Capodanno la corte, come abbiamo già detto, era aperta a tutti i sudditi. “Il più vile plebeo vi è ammesso come il personaggio d’alto affare, e tra loro non vi è divario alcuno”; durante il ricevimento dell’ultima notte dell’anno arrivavano a esserci più di sedicimila invitati a corte (Ivi, p. 223).

 

Fagnani descrive nel capitolo dedicato alla festa di Capodanno lo zar che si aggira disinvolto tra la folla, ridendo e scherzando tra gente sconosciuta e di bassa estrazione sociale. Ciò, a detta del marchese, faceva onore non solo al sovrano, ma ai sudditi stessi che, nonostante sgomitassero, spingessero e scalciassero per vedere meglio i reali, erano capaci di dimostrare lealtà e rispetto al sovrano (Ivi, p. 224).

 

Il marchese Fagnani era affascinato da una tale esplosione di colori in cui lo sguardo può perdersi; l’autore lo paragona nelle Lettere a un ballo in maschera dove in realtà nessuno è mascherato:

 

 “[...] ciò che rende questa festa anche più singolare, si è miscuglio di tante strane, e tra loro contrarie fogge di vestiti. Cosacchi, Tartari, Calmucchi, Polacchi, Turchi, Greci, Russi, Europei, Asiatici, tutti vestiti al modo de' loro paesi, componevano un bellissimo ballo in maschera, ove nessuno poteva dirsi mascherato." (Ivi, p. 224-225).

 

In realtà Fagnani fu invitato a passare la notte di Capodanno a Pietroburgo nel 1810 in casa di Aleksándr L’vóvič Nariškin, la cui moglie, Maria Dmitrievna, principessa Naryškina, nata Maria Swiatopolk Czetwertynska, fu, tra il 1806 e il 1813, l’amante dello zar Alessandro I, a cui diede tre figli illegittimi: Zenaida, Sophia ed Emanuel. Con molta probabilità dalla casa di Nariškin si spostò a palazzo insieme agli altri ospiti per proseguire i festeggiamenti (Cfr. The Peerage.com, per l’albero genealogico della famiglia Nariškin, www.thepeerage.com/p5955.htm).

 

La notizia dell’invito di Nariškin al marchese è documentata in “Санкт-Петербургские ведомостиi”, 1810, 27 dek., C. 1473. Il nobile russo era un funzionario di alto rango e direttore generale del Большой Театр. Una curiosità: nel romanzo Guerra e pace di Lev N. Tolstòj, al cap. 10, Natascia e Anatolij si incontrano per la prima volta a casa di Nariškin.

 

Durante il suo soggiorno nella capitale dell’Impero russo Fagnani ebbe l’occasione di conoscere personaggi eminenti come Anna Charlotta-Johanna Adlerberg, direttrice della Comunità imperiale delle fanciulle nobili, un’istituzione fondata per l’educazione delle fanciulle di buona famiglia (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. I, p. 113. La notizia dell’incontro è documentata in “Санкт-Петербургские ведомостиi”, 1810, 6 dek., C. 1368); William Archibald Chrichton, inglese e medico di corte, nonché primario dello spedale de’ Poveri della Leteina ( Ibidem, p. 52. La notizia dell’incontro è documentata in “Северная почта”, 1811, 14 fevr., C. 1.)  e molti altri tra cui la principessa Dolgorukaja (Ibidem, p. 216), famosa per i suoi salotti letterari, al pari dell’altra dama nominata nelle Lettere, madame de Laval (Ibidem, p. 217) e il cavalier Czeralewsky (Ibidem, p. 73), vice direttore dell’Accademia delle belle arti; forse  Fagnani incontrò anche il fratello del filosofo Joseph de Maistre, Xavier, nominato dallo zar direttore della biblioteca e del museo dell’Ammiragliato nel 1805.

 

Lo scrittore milanese cita inoltre nelle Lettere due italiani che ottennero alla fine del Settecento notorietà nella capitale russa: il conte Giulio-Renato Litta (Cfr. Ottavio Pasquinelli, Due fratelli del patriziato milanese alla corte degli zar tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, “Il Cristallo”, XLII, n. 3 (dicembre 2000), p.66-85) che, come  Fagnani, considerava i progressi fatti in così poco tempo dalla giovane capitale russa strabilianti, nonché il conte Marino Carburi (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., 2. ed., t. 1., p. 80. Per i cenni biografici sul M. Carburi cfr. Sergio Chiogna, Carburi, Marino [voce], “DBI”, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1976, vol. XIX, p. 725-727), che fu l’unico a saper escogitare un meccanismo per poter trasportare il materiale, del peso di tre milioni di libbre, utilizzato dallo scultore francese Etienne-Maurice Falconet per realizzare, tra il 1776 e il 1778, la statua in onore di Pietro il Grande voluta dalla zarina Caterina II.

 

Sempre nel capito dedicato alle feste divertente è l’accenno ad alcuni giochi di parole tra la pronuncia russa di alcuni termini e il corrispondente suono italiano, come ad esempio rana, per il termine рано, di mattina presto (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. I, p. 220).

 

Nella lettera conclusiva della II edizione il marchese illustra le abitudini a tavola dei Russi, sottolineando come il popolo russo abbia il vizio del bere più di qualsiasi altra nazione civilizzata e come, ormai, sulla tavola dei nobili russi sia possibile trovare solo cibi della cucina francese (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. II, p. 203-235).

 

Nel decimo capitolo conclusivo del primo tomo il marchese si sofferma invece sulle fogge nel vestire e sui caratteristici calessi aperti con cui gli abitanti di Pietroburgo erano usi spostarsi per la città e fare delle pericolose corse per le strade ghiacciate d’inverno, a cui, spiega Fagnani al lettore, anche il Ministro di Spagna, se pur attempato, non sapeva sottrarsi (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., 2. ed., t. I, p. 232-235).

 

Il marchese non volle perdersi neanche l’avvincente spettacolo della pericolosa discesa dalle “montagne di ghiaccio”, uno dei passatempi invernali più amato dalle Russe e dai Russi, che consisteva nel gettarsi ad alta velocità da cumuli di neve o ghiaccio con un rudimentale slittino.

 

Le lettere scritte di Pietroburgo sono un documento d’eccezionale importanza per il modo in cui sono scritte e per come Fagnani riesce, con un solo colpo d’occhio, senza lunghe e noiose descrizioni di singoli incontri di società, a trasmettere le sue impressioni sulla vita nella capitale russa all’inizio dell’Ottocento.

 

Il marchese serbò per sempre un bel ricordo del popolo russo:

 

“[…] in nessuna parte dell’Europa il forestiero è accolto con maggiore urbanità, nè più festeggiato, che a Pietroburgo. Sembra anzi, che gli abitanti di queste remote contrade s’ingegnino col fare cortese accoglienza al viaggiatore di ricompensarlo in certo modo de’ disagi del lungo e penoso viaggio.” (Ivi, p. 215).

 

Vogliamo concludere questo saggio con un’ultima citazione tratta dalla Lettere in cui  Fagnani è riuscito a descrivere, con poche parole e con ben due secoli d’anticipo, quello che la Russia sarebbe diventato durante gli anni della Guerra fredda, e a cui, se ci è consentito dire, la Russia di oggi forse ambisce a ritornare:

 

“[…] si fa palese come i rapidi e veramente meravigliosi progressi de’ Russi verso ogni parte della civiltà sono principalmente l’effetto delle incessanti cure del Governo; cure, mercè le quali questo popolo potrà salire un giorno a quella maggiore altezza di potere e di gloria; cui sia mai pervenuta qualunque altra nazione moderna” (Federigo Fagnani, Lettere scritte… cit., II ed., t. II, p. 125).



 

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