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N. 109 - Gennaio 2017 (CXL)

BREVE STORIA DELLE TEORIE OCCIDENTALI SULLE CAUSE DEI TERREMOTI

PARTE IV - Umanesimo e Rinascimento

di Niccolò Caramel

 

Uno dei più rivoluzionari esponenti dell’Umanesimo e del primo Rinascimento italiano fu Leonardo da Vinci (1452-1516). La sua straordinaria attività e autonomia di pensiero traspare da ognuna delle sue pagine, dai testi pervenutici emergono idee completamente nuove riguardo la posizione della Terra nell’Universo e la sua struttura interna. La comune rappresentazione contemporanea di un Leonardo innovatore e totalmente estraneo alla cultura del suo tempo è solamente in parte vera, egli in realtà era un uomo soggetto alle logiche del periodo in cui era vissuto. La sua particolare visione naturale dell’uomo, infatti, era debitrice in gran misura dalla propria formazione meccanica, perciò non conformata al sapere del suo tempo e a quello proveniente dal passato, impartito dagli studi accademici o universitari.

Per tali motivazioni le sue idee discordavano con la cultura medievale e cristiana, preponderante nel suo tempo. Nonostante ciò, Leonardo rimase in parte legato alle idee del passato, poiché, nella sua rappresentazione della natura, confermò concezioni del fisico, matematico, astronomo e filosofo Nicola d’Oresme (1320-1382). Leonardo criticò il principio di autorità della Chiesa e invitò a verificare empiricamente le scienze ereditate dagli antichi, interrogandosi sugli strumenti di cui si dispone. Egli utilizzava degli elementi platonici per elaborare la sua concezione del macrocosmo e del microcosmo e inoltre studiava il funzionamento del corpo umano usandolo come chiave di lettura per il geocosmo.

Lo studio dell’anatomia umana, sviluppato attraverso la dissezione, gli permetteva di mettere in analogia il sistema circolatorio con il sistema di acquiferi sotterranei: le vene che corrono all’interno del corpo umano sono come i condotti di aria e acqua che corrono nel corpo della terra madre. Al tempo di Leonardo la conoscenza della reale formazione del sottosuolo terrestre era molto limitata, poiché difficilmente investigabile, e Leonardo era cauto nell’avanzare ipotesi che non si potevano verificare empiricamente; questo non gli impedì di proporre un proprio diagramma geometrico del pianeta (inserito nel Codice Leicester), al quale giunse in seguito allo studio dei fossili localizzati all’interno di strati rocciosi.

Anteriormente a Copernico, Leonardo affermò esplicitamente la fissità del Sole, sostenne che la Terra era una stella [Da Vinci, 1911-1916], ma, poiché non dichiarò che il centro dell'Universo non risiedeva sulla Terra, non possiamo constatare che egli aderisse al modello eliocentrico del mondo. Egli ipotizzò che il pianeta terrestre non fosse solo coperto per la maggior parte della sua superficie da acqua, ma che ne fosse pieno anche nella sua parte interna. Con tale dichiarazione si scontrò con l’ortodossia consolidata che dichiarava il centro della Terra come la zona abitata dagli inferi. Inoltre, affermando il mescolamento di acqua e terra nel sottosuolo, attaccava la teoria aristotelica dei luoghi naturali, allontanandosi dalla tradizione scolastica. Descrisse in questo modo il rapporto delle acque con la terra che costituisce lo strato roccioso del pianeta, giungendo a dare una spiegazione della formazione delle montagne e degli oceani: l’erosione dei fiumi sotterranei provoca una pressione verso il basso e la caduta di alcuni pezzi di crosta verso il centro della Terra. In questo modo il centro di gravità del pianeta si abbassa, comportando il sollevamento della sfera con la successiva creazione delle montagne nella parte più leggera e lo spostamento dell’oceano in quella più pesante.

Anche i terremoti vengono spiegati all’interno di questa visione del mondo: l'aria inclusa nelle grotte sotterranee uscendo squarcia la crosta, facendola tremare e producendo le montagne. Tale approccio alla spiegazione dei terremoti fa apparire Leonardo come un precursore dei nettunisti. Inoltre, egli spiegava le eruzioni vulcaniche in un modo molto simile. In analogia con un organismo vivente, considerando la terra come la carne, le pietre come le ossa e l'acqua come le vene e le arterie, Leonardo pensava il fuoco bloccato nel sottosuolo come il calore dello spirito “della terra” in fuga in diverse zone interne, il quale può essere rintracciato in sorgenti calde e in eruzioni solforiche e vulcaniche.

Anche Giannozzo Manetti (1396-1459) scrisse nel 1456 un saggio sul tema dei terremoti, intitolandolo De terraemotu. Il testo, composto in seguito al terremoto che colpì Napoli e che dedicò al re Alfonso D'Aragona, inizia con queste parole: «Due nuovi e singolari terremoti, serenissimo principe, che ebbero la durata di sessanta giorni continuati, sotto i suoi felici e fortunati tempi, nell’anno 1456 dell’era cristiana, si produssero a metà dell’inverno» [Manetti 1983], e principalmente riprende molteplici teorie di autori antichi e contemporanei applicandole ai fatti a lui contemporanei.

Giordano Bruno (1548-1600) era a conoscenza del sistema copernicano e applicò la metafora della Terra come organismo vivente a tutti i corpi celesti: in contrasto con la concezione aristotelica dei luoghi naturali e del mondo sovralunare abitato dall’etere, Bruno non considerava i corpi celesti caratterizzati da una materia propria, ma composti dagli stessi elementi di cui è composto il pianeta. Il globo terrestre, come gli altri corpi celesti, veniva reputato un essere vivente, abitato nel suo interno dal calore che gli dà vita, come negli animali:

«Le viscere più interne della terra, considerava come quelle degli altri animali, si riscaldano mediante un proprio calore e spirito innati; qui le acque non si condensano e rapprendono per il freddo più di quanto non si coaguli il sangue nel corpo integro degli animali; come l’acqua in superficie, anche il sangue, fuori dal corpo dell’animale, si condenserebbe». [Bruno 1879, 390]

Bruno aggiunse che il calore interno alla Terra, essendo questa un animale, che scalda l’acqua e i vulcani, deriva da un’anima interiore; egli ribadì così l’idea della Terra come organismo vivente:

«Nelle parti sotterranee le acque non gelano, non divengono neve, non si condensano, ma si riscaldano e dai luoghi sotterranei talvolta erompono da ogni parte con impetuose correnti ribollenti quei fuochi che affiorano sulla superficie della Terra [...]. Aggiungi che gli ammassi d’acque e gli immensi vulcani, che sono nelle viscere della Terra, e le correnti più calde sussistono di per sé in virtù dell’anima e della vita della Terra; [...] Se la Terra si è rivelata un animale, cosa assai chiara per chi l’intende con elevatezza d’animo e l’osserva con gli occhi, non si potrà ritenere il corpo più interno più freddo». [Bruno 1980, 541]

Inoltre, in quanto organismi e macchine allo stesso tempo, i corpi celesti avevano una struttura complessa, e gli eventi meteorologici come nebbia, pioggia, fulmini, temporali e terremoti erano considerati come malattie del corpo vivente. Scrive a questo proposito Bruno:

In questi dumque astri o mondi (come le voglam dire) non altrimente si intendeno ordinate queste parti dissimilari secondo varie et diverse complessioni, di pietre, stagni, fiumi, fonti, mari, arene, metalli, caverne, monti, piani, et altre simili specie di corpi composti, de siti, et figure: che ne gl' animali son le parti dette etherogenee secondo diverse et varie complessioni di ossa, di intestini, di vene, di arterie, di carne, di nervi; di pulmone, di membri di una, et di un' altra figura, presentando gli suoi monti, le sue valli, gli suoi recessi, le sue aqcui, gli suoi spiriti, gli suoi fuochi, con accidenti proportionali a tutte metheoriche impressioni quai sono gli catarri, le erisipile, gli calculi, le vertigini, le febri, et altre innumerabili dispositioni, et habiti, che rispondeno alle nebbie, piogge, nevi, caumi, accensioni, alle saette[,] tuoni, terremoti et venti, a fervide, et algose tempeste. [Bruno 2006, 353]

Pur non avendo mai trattato esplicitamente del fenomeno del terremoto, Galileo Galilei (1564-1642) compì un passo importante nella moderna concezione del pianeta terrestre e nell’importanza ad esso attribuito dai contemporanei e posteri. Il suo contributo maggiore consiste nell’aver spostato l’interesse scientifico dallo studio del mondo celeste a quello terrestre, poiché egli vedeva la perfezione non nell’immutabilità che caratterizza l’etereo mondo sovralunare, ma nella mutevolezza e corruzione di quello sublunare:

«Io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobiltà e perfezione ai corpi naturali ed integranti dell’universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile, etc., ed all’incontro stimar grande imperfezione l’esser alterabile, generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e si diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessabilmente si fanno; [...] È non è dubbio alcuno che la Terra è molto più perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile, etc., che se la fusse una massa di pietra, quando ben anco fusse un intero diamante, durissimo ed impassibile». [Galilei 1979, 73-75, 83-84]

All’interno di questa visione si può ipotizzare, anche se mai esplicitamente espresso dall’autore, una concezione non unicamente drammatica del fenomeno sismico. Considerato ora come elemento del ciclo naturale degli eventi, del loro scorrere “vicissitudinale”, brunianamente inteso, al terremoto non veniva più attribuita la valenza di arresto traumatico del corso della natura. Il sottosuolo terrestre, prima studiato solamente dal punto di vista teologico, balneologico e minerario, assume, in seguito a Galilei, un interesse scientifico che spazia in vari campi di studio. Pur presentando nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano (1632) una concezione del sottosuolo terrestre come inattivo, dopo aver letto il De igne subterraneo physica prolusio (1641) di Giovanni Nardi, Galileo accettò la possibilità di una spiegazione dinamica del sottosuolo.

Una spiegazione dei terremoti fu invece fornita dall’astronomo Giovanni Keplero (1571-1630), seguendo la teoria dei corpi celesti animati. La dottrina sismica venne assunta in seguito alla lettura delle Exercitationes exotericae (1557), un commento dell’aristotelico Giulio Cesare Scaligero al De subtilitate (1550) di Gerolamo Cardano. L’influenza delle teorie concernenti le forze spirituali che guidano l’universo, contenute nel testo dello Scaligero, si ritrovano all’interno del libro di astronomia con cui Keplero esordì, il Mysterium cosmographicum (1596), nel quale si può notare come egli chiami “anima” la forza che guida lo spostamento dei pianeti.

La metafora della Terra vista come un organismo animato venne usata nel suo Harmonicaes mundi (1619) per spiegare il fenomeno dei terremoti. Le osservazioni di Tycho Brahe abrogavano la concezione delle comete come fenomeno atmosferico (assunto di provenienza aristotelica), relegandole a corpi celesti che si muovono al di sopra della luna; Brahe, però, pur accogliendo la proposta kepleriana, rintracciava sempre nelle comete la causalità dei terremoti e di altre catastrofi, spiegandole come reazione dell’anima della Terra in seguito a qualche sconvolgimento celeste. Con la comparsa di una cometa l’anima interna si spaventa facendo fuoriuscire dal suo corpo due tipi di vapore: 1) vapori umidi, i quali provocano continue piogge, inondazioni e, in seguito, pestilenze, oppure 2) vapori secchi, che effondono zolfo (il quale ha il potere di prendere fuoco) e che scatenano terremoti.

In fasi successive di sviluppo delle teorie sismiche prevalsero, tuttavia, non la pura speculazione, nel suo intento di fornire una realistica immagine della terra come essere vivente, ma, piuttosto, le idee basate su esperienze nel settore minerario del medico, filosofo e umanista Georg Bauer (1494-1555), meglio conosciuto col nome latino “Agricola”, racchiuse nel suo De res metallica (1556). Divenuto medico nelle miniere, egli esplorò sistematicamente la struttura del sottosuolo, rilevandone il calore interno.

Dopo aver stabilito che l’aumento del calore era direttamente proporzionale all’aumento della profondità, propose, in linea con le teorie del tempo, che fosse la Terra stessa a produrre il suo calore interno. Costatò la dissipazione di tale calore con l’avvicinarsi allo strato esterno del pianeta e contestò la vecchia teoria secondo la quale esiste un fuoco sotterraneo che viene infiammato dai raggi del Sole. D’altra parte, suppose l'esistenza di uno “spirito di fuoco” (spiritus ignitus) che si infiamma durante la ricerca di un passaggio fuori dalle grotte sotterranee e che riscalda l’acqua che poi fuoriesce dalla crosta.

A dare maggiore attendibilità a questa teoria, nella seconda metà del XVI secolo, fu la diffusione in Italia degli studi di balneologia, che avevano lo scopo di spiegare le cause della presenza di acque calde in profondità. Tra la metà del Quattrocento e la fine del Cinquecento, in Veneto, nelle terre euganee, la balneologia viene studiata, e proposta nei loro libri, da medici di formazione umanista, come: De balneis (1594), di Giovanni Dondi de Orologi, nel De medicatis aquis (1594), di Gabriele Falloppio e nel De thermis (1571) di Andrea Facci. In questi testi vengono inventariate tutte le località balneari note in Europa, comprese delle rispettive proprietà dell’acqua.

Ne uscì una spiegazione in termini non ortodossi per l’aristotelismo, poiché, ammettendo la presenza di un fuoco sotterraneo che riscalda le acque termali, si andava a sfatare la teoria aristotelica dei luoghi naturali, secondo la quale il fuoco poteva trovarsi solamente nella zona del cielo esterno. L’attenzione al dinamismo sotterraneo prese nuova vitalità dal 1538 a causa dell’eruzione vulcanica avvenuta a Pozzuoli. Il fenomeno sorprese gli studiosi del tempo poiché ebbe luogo un’eruzione in un luogo pianeggiante, con la creazione di un cratere in seguito chiamato “Monte Nuovo”. Il fenomeno fu seguito dall’innalzamento della linea di costa.

In questo periodo alcuni studiosi – tra i quali il filosofo e medico Simone Porzio (1497-1554), con il suo De conflagratione agri puteolani (1551) – scrissero lunghi trattati sul fenomeno, che vennero letti in tutta Europa e che testimoniarono la vitalità del sottosuolo. In questo modo, si veniva affermando un dinamismo sotterraneo che richiedeva un’attenzione nuova e che determinò, negli anni successivi, un approccio differente allo studio sulle cause dei terremoti.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bruno G., De monade, capitolo 5, in Opera latine conscripta cit., vol. I, II, p. 390. Morano, Napoli, 1879.

Bruno G., Opere italiane, G. Aquilecchia (testi critici e nota filologica di), N. Ordine (introduzione e coordinamento generale di), in Volume I, UTET, Torino, 2006.

Bruno G., Opere latine di Giordano Bruno. Il triplice minimo e la misura. La monade, il numero e la figura. L’immenso e gli innumerevoli, trad. it. Carlo Monti, UTET, Torino 1980.

da Vinci L., Quaderni d’Anatomia. Quaderni di anatomia, C.L. Vangensten, A. Fonahn, H. Hopstock, (pubblicati da), 1911-1916.

Galilei G., Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, L. Sosio (a cura di), Giulio Einaudi Editore, Torino, 1979.

Manetti G., De terraemotu, traduzione di G. Scoppelliti, Roma, 1983.

Oeser E., Historical Earthquake Theories from Aristotle to Kant, in Rudolf Gutdeutsch, Gottfried Grünthal e Roger Musson (a cura di), Historical Earthquakes in Central Europe, vol. I, Abhandlungen der Geologischen Bundesanstalt, vol. 48, Geologische Bundesanstalt, Wien, 1992.



 

 

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