[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

191 / NOVEMBRE 2023 (CCXXII)


antica

Da Assurbanipal al Quattrocento

il libro e le sue forme

di Riccardo Renzi

 

Quando si pensa all’oggetto libro, la prima cosa che viene in mente nell’immaginario comune condiviso è la forma e la struttura del libro moderno-contemporaneo, formato dalla copertina, dal dorso, da un titolo di copertina, dal frontespizio e dalle pagine interne, insomma quello che si è venuto canonizzando dal Cinquecento in poi.

 

Ma l’oggetto “libro” non ha avuto sempre questa forma. I primi “contenitori” di scrittura della storia sono state le tavolette di terracotta Assiro-Babilonesi e la prima biblioteca dell’antichità rinvenuta fu quella di Assurbanipal, re degli Assiri tra il 668 a.C. e il 626 a.C., menzionato nei testi biblici, fu figlio secondogenito di Esarhaddon e Naqi’a-Zakutu.

 

Tali tavolette contenevano scrittura cuneiforme, erano sia di tipo documentaristico che letterario, ed erano conservate nei sotterranei del palazzo reale. La biblioteca è stata una scoperta dall’archeologo britannico Austen Henry Layard. La maggior parte delle tavolette furono portate in Inghilterra e si trovano oggi presso il British Museum, ma un primo rinvenimento fu fatto alla fine del 1849 nel cosiddetto Palazzo sud-ovest, che era il Palazzo Reale di Re Sennacherib (705 a.C. - 681 a.C.).

 

Tre anni dopo, l’assiriologo siriaco Hormuzd Rassam, assistente di Layard, scoprì una “biblioteca” simile nel palazzo del Re Assurbanipal (668 - 627 a.C.), nella parte opposta del tumulo. Sfortunatamente, i ritrovamenti non vennero registrati e subito dopo esser arrivati in Europa, le tavolette vennero irrimediabilmente mischiate tra di loro e con altre provenienti da diversi siti. È quindi oggi quasi impossibile ricostruire i contenuti originali di ciascuna delle due “biblioteche”. Le tavolette sono attribuite proprio a tale sovrano, poiché esse contenevano una sorta di ex libris, ove era riportato il nome del sovrano.

 

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British Museum, Tavoletta del Diluvio

 

Spostandoci in Egitto, il supporto scrittorio che andò per la maggiore fu il rotolo di papiro, esso veniva prodotto strappando dal fusto triangolare della pianta delle strisce, che venivano affiancate su una superficie umida, dura e liscia. Sopra di esse veniva disposto, ad angolo retto, un altro strato. Per amalgamare i due strati essi venivano battuti con un martelletto di legno, successivamente venivano essiccati restando collegati dai loro succhi naturali senza l’aggiunta di colla. La superficie, infine, veniva lisciata con pietre arrotondate. In questo modo si ottenevano dei fogli rettangolari (detti in egiziano shefedu e in greco kòllema, plurale: kollemata).

 

Questo materiale aveva però due problemi fondamentali, il primo legato alla sua provenienza, infatti cresceva solo in zone del Nord Africa e Medio Oriente, il secondo era legato alla sua conservazione, infatti tale materiale si preservava solo nelle zone nominate precedentemente, mentre in Europa aveva una vita molto breve.

 

A queste problematiche bisogna aggiungere come fosse scomodo da leggere e da scrivere, inoltre poteva contenere testi brevi. A tal proposito, da molti filologi contemporanei, è stato rilevato come alcune opere dell’antichità classica fossero state divise in capitolo proprio in base alle esigenze di spazio.

 

Le problematiche legate alla conservazione del materiale iniziarono a sorgere con l’arrivo dei Romani che adottarono tale supporto e iniziarono a utilizzarlo in tutto l’impero. Però anche essi avevano un loro supporto scrittorio: le tavolette lignee. Esse potevano essere o incavate e riempite di cera, o imbiancate di gesso. Su tale supporto vi si scriveva con uno stile nella tipologia grafica della Capitale romana.

 

 

Tavolette di Vindolanda

 

Le tavolette potevano essere di legno di cedro, di bosso o anche di avorio, ricoperte di cera bianca o colorata. Questo sistema fu poi affiancato da uno più simile alla classica “carta e penna”: invalse l’uso di affidare i propri pensieri a una cannuccia, che si intingeva nell’inchiostro, per vergare resistenti pergamene (tratte da pelli animali, di pecora o di vitello) o delicati papiri.

 

Dunque, durante l’epoca romana abbiamo molti supporti scrittori, la rivoluzione avvenne verso la metà del III secolo d.C., quando da Pergamo iniziò a essere esportato sempre più verso Roma un nuovo materiale: la pergamena. Va però detto che i primi esperimenti di “forma libro” vennero fatti con i libri di papiro, cioè una fusione tra il rotolo di papiro e il libro di tavolette romano. Tale esemplare aveva la forma di un libro moderno, con le coperte lignee e le pagine di papiro.

 

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Mosaico romano rappresentante i supporti esistenti all’epoca:

libro di tavolette e rotolo di papiro

 

Però la rivoluzione vera e propria si ebbe con il codex pergamenaceo. Al passaggio dal rotolo di papiro al codice manoscritto contribuì anche la progressiva affermazione del Cristianesimo, poiché ess volendo lanciare un nuovo messaggio, volle anche distinguersi dal paganesimo per la tipologia di supporto utilizzato e per la tipologia grafica: il paganesimo utilizzava il rotolo di papiro e la capitale romana, il Cristianesimo si affermò sul codice pergamenaceo scritto in onciale.

 

Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, nel 476 d.C., non ci fu nessun “Ente” che sorvegliò più sulla scrittura, così in poco tempo si diffusero molte tipologie grafiche differenti:

 

-          - onciale e semionciale (IV d.C. – VIII d.C.) - parallelismo con il maiuscoletto appartenente a una fase della scolarizzazione più avanzata;

 

-          - beneventana. È associata con l’Italia a sud di Roma, ma è stata anche usata nell’area dalmata (nel monastero di San Crisogono a Zara) sotto l’influenza barese. Questa scrittura, sviluppatasi a partire da Benevento, è stata usata approssimativamente dalla metà dell’VIII secolo fino al XIII secolo, anche se ne esistono esempi fino al tardo XVI secolo;

 

-          - scritture insulari. Èuna tipologia grafica medievale usata in Irlanda e in Gran Bretagna (Latino: insula, “isola”). Successivamente si diffonde nell’Europa continentale dai centri sotto l’influenza del Cristianesimo Celtico. Tale scrittura si sviluppò in Irlanda nel VII secolo e fu usata fino al tardo XIX secolo.

 

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Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo,

frammento di Beneventana

 

Una riunificazione grafica si ebbe solo nel IX secolo, con Carlo Magno, che attraverso la corte di Aquisgrana e Alcuino di York, impose la minuscola carolina. Fu messa a punto per la prima volta dai monaci benedettini di Corbie, i quali trasformarono la minuscola corsiva, allora usata dai copisti in varie versioni regionali, in una nuova scrittura caratterizzata da una forma regolare delle singole lettere e dall’eliminazione delle legature e delle abbreviazioni, facilitando la lettura. Fu adottata dapprima nei grandi monasteri per la trascrizione delle Sacre Scritture, poi fu insegnata nelle scuole vescovili e monastiche e quindi venne utilizzata dalle pubbliche amministrazioni per la redazione degli atti ufficiali.

 

La grafica risultava elegante e la forma dei caratteri più accurata. Una delle differenze principali rispetto alla minuscola corsiva furono le lettere “a” e “t”: vennero semplificate per poterle distinguere in maniera più semplice. La minuscola carolina riscontrò un rapido successo poiché facilitò la trascrizione di testi classici agli amanuensi, semplificò notevolmente la comunicazione internazionale e diede una nuova spinta alla rinascita e alla diffusione della cultura classica nei secoli altomedievali.

Carlo Magno decise di imporre tale nuova tipologia grafica, poiché, governando un impero molto vasto, dal punto di vista amministrativo-burocratico era divenuto difficilissimo comprendere testi redatti anche solo 20/30 anni prima. Tale imposizione andò a cancellare tutte le peculiarità scrittorie regionali, a eccezione della beneventana che sopravvisse sino al Trecento, poiché il Sud Italia non entrò mai a far parte dei domini carolingi.

 

Nei secoli dell’Alto Medioevo il luogo adibito alla produzione dei manoscritti è il monastero, conservandosi la cultura quasi esclusivamente in ambienti religiosi. Esso viene prodotto interamente all’interno del monastero, ivi si hanno monaci che allevano le pecore, coloro che lavorano la pergamena, chi taglia la pergamena, chi la cuce e chi verga i codici.

Il codice veniva vergato nello scriptorium e solitamente un monaco per terminare un codice di medie dimensioni (da bisaccia) impiegava dai sei mesi a un anno. Inoltre un amanuense per tutta la vita vergava sempre le stesse opere, andandole così a memorizzarle alla perfezione, al fine di velocizzare il lavoro di copiatura.

 

Tale sistema di produzione del libro si venne a modificare nel Duecento, con la nascita dei comuni, delle università e della classe mercantile. La ripresa economica e la scolarizzazione della proto borghesia mercantile, portarono a una richiesta di libri cento volte superiore a quella dell’Alto Medioevo, perciò il sistema produttivo del monastero non poteva assolutamente reggere la domanda.

 

Così il libro iniziò a essere prodotto nelle botteghe attraverso il sistema della Pecia. Ora l’opera non veniva più copiata da un solo uomo, ma il codexera smontato in tanti fascicoli e questi erano distribuiti ai collaboratori della bottega. Il tempo impiegato era sempre lo stesso, ma ora alla fine dei 6/12 mesi si avevano tante copie quanti erano i fascicoli che erano stati distribuiti e quante volte si riusciva a copiare il singolo fascicolo.

 

In questo periodo però non cambiò solo il sistema di produzione del libro, ma anche la tipologia grafica utilizzata, si passò a una gotica. Tale tipologia grafica ebbe un’enorme fortuna e sopravvisse sino all’arrivo della stampa, affiancandosi nel Quattrocento alla scrittura umanistica.

 

Dunque, dalle tavolette di terracotta all’invenzione della stampa, si sono succeduti vari supporti e varie tipologie grafiche, ma una costante ci ha accompagnati in tutto il percorso, l’esigenza di salvaguardare la cultura e le opere dei grandi “pensatori” che ci hanno preceduto.

 

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Biblioteca civica “Romolo Spezioli”,

coperta di riuso in gotica

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

R. Renzi, La tradizione delle opere sallustiane dai manoscritti agli incunaboli della Biblioteca civica di Fermo, Andrea Livi Editore, Fermo 2020.

R. Renzi, Tito Livio. La fortuna del più grande storico romano, Primicieri Editore, Padova 2021.

R. Renzi, La fortuna di uno storico minore: Lucio Anneo Floro, i manoscritti e gli incunaboli della Biblioteca Civica Romolo Spezioli, con prefazione di Alessandro Cesareo, Amarganta, 2021.

M.L. Agati, Il libro manoscritto: introduzione alla codicologia, L’Erma di Bretschneider, Roma 2003.

I. Carini, Il papiro: appunti per la nuova scuola Vaticana / del prof. Isidoro Carini, Roma, tip. Vaticana, 1888.

E. G. Turner, ‘Recto’ e ‘Verso’. Anatomia del rotolo di papiro, Istituto papirologico Vitelli, Firenze, 1994.

F. Déroche, A.Berthier, Manuel de codicologie desmanuscrits en écriture arabe, Parigi, Bibliothèque nationale de France, 2000. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]