Da Assurbanipal al Quattrocento
											
											
											il libro e le sue forme
											
										
											di 
										Riccardo Renzi
											
											
											 
											
											
											Quando si pensa all’oggetto libro, 
											la prima cosa che viene in mente 
											nell’immaginario comune condiviso è 
											la forma e la struttura del libro 
											moderno-contemporaneo, formato dalla 
											copertina, dal dorso, da un titolo 
											di copertina, dal frontespizio e 
											dalle pagine interne, insomma quello 
											che si è venuto canonizzando dal 
											Cinquecento in poi. 
											
											
											 
											
											
											Ma l’oggetto “libro” non ha avuto 
											sempre questa forma. I primi 
											“contenitori” di scrittura della 
											storia sono state le tavolette di 
											terracotta Assiro-Babilonesi e la 
											prima biblioteca dell’antichità 
											rinvenuta fu quella di Assurbanipal, 
											re degli Assiri tra il 668 a.C. e il 
											626 a.C., menzionato nei testi 
											biblici, fu figlio secondogenito di 
											Esarhaddon e Naqi’a-Zakutu. 
											
											
											
											 
											
											
											Tali tavolette contenevano scrittura 
											cuneiforme, erano sia di tipo 
											documentaristico che letterario, ed 
											erano conservate nei sotterranei del 
											palazzo reale. La biblioteca è stata 
											una scoperta dall’archeologo 
											britannico Austen Henry Layard. La 
											maggior parte delle tavolette furono 
											portate in Inghilterra e si trovano 
											oggi presso il British Museum, ma un 
											primo rinvenimento fu fatto alla 
											fine del 1849 nel cosiddetto Palazzo 
											sud-ovest, che era il Palazzo Reale 
											di Re Sennacherib (705 a.C. - 681 
											a.C.). 
											
											
											 
											
											
											Tre anni dopo, l’assiriologo siriaco 
											Hormuzd Rassam, assistente di Layard, 
											scoprì una “biblioteca” simile nel 
											palazzo del Re Assurbanipal (668 - 
											627 a.C.), nella parte opposta del 
											tumulo. Sfortunatamente, i 
											ritrovamenti non vennero registrati 
											e subito dopo esser arrivati in 
											Europa, le tavolette vennero 
											irrimediabilmente mischiate tra di 
											loro e con altre provenienti da 
											diversi siti. È quindi oggi quasi 
											impossibile ricostruire i contenuti 
											originali di ciascuna delle due 
											“biblioteche”. Le tavolette sono 
											attribuite proprio a tale sovrano, 
											poiché esse contenevano una sorta di
											ex libris, ove era riportato 
											il nome del sovrano.
											
											
											 
											
											
											
											
											
											
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											British 
											Museum, Tavoletta del Diluvio
											
											
											
											 
											
											
											Spostandoci in Egitto, il supporto 
											scrittorio che andò per la maggiore 
											fu il rotolo di papiro, esso veniva 
											prodotto strappando dal fusto 
											triangolare della pianta delle 
											strisce, che venivano affiancate su 
											una superficie umida, dura e liscia. 
											Sopra di esse veniva disposto, ad 
											angolo retto, un altro strato. Per 
											amalgamare i due strati essi 
											venivano battuti con un martelletto 
											di legno, successivamente venivano 
											essiccati restando collegati dai 
											loro succhi naturali senza 
											l’aggiunta di colla. La superficie, 
											infine, veniva lisciata con pietre 
											arrotondate. In questo modo si 
											ottenevano dei fogli rettangolari 
											(detti in egiziano shefedu e 
											in greco kòllema, plurale: 
											kollemata). 
											
											
											 
											
											
											Questo materiale aveva però due 
											problemi fondamentali, il primo 
											legato alla sua provenienza, infatti 
											cresceva solo in zone del Nord 
											Africa e Medio Oriente, il secondo 
											era legato alla sua conservazione, 
											infatti tale materiale si preservava 
											solo nelle zone nominate 
											precedentemente, mentre in Europa 
											aveva una vita molto breve. 
											
											
											
											 
											
											
											A queste problematiche bisogna 
											aggiungere come fosse scomodo da 
											leggere e da scrivere, inoltre 
											poteva contenere testi brevi. A tal 
											proposito, da molti filologi 
											contemporanei, è stato rilevato come 
											alcune opere dell’antichità classica 
											fossero state divise in capitolo 
											proprio in base alle esigenze di 
											spazio. 
											
											
											 
											
											
											Le problematiche legate alla 
											conservazione del materiale 
											iniziarono a sorgere con l’arrivo 
											dei Romani che adottarono tale 
											supporto e iniziarono a utilizzarlo 
											in tutto l’impero. Però anche essi 
											avevano un loro supporto scrittorio: 
											le tavolette lignee. Esse potevano 
											essere o incavate e riempite di 
											cera, o imbiancate di gesso. Su tale 
											supporto vi si scriveva con uno 
											stile nella tipologia grafica della 
											Capitale romana. 
											
											
											 
											
											
											
											
											
											
											 
											
											
											Tavolette di Vindolanda
											 
											
											
											
											
											Le tavolette potevano essere di 
											legno di cedro, di bosso o anche di 
											avorio, ricoperte di cera bianca o 
											colorata. Questo sistema fu poi 
											affiancato da uno più simile alla 
											classica “carta e penna”: invalse 
											l’uso di affidare i propri pensieri 
											a una cannuccia, che si intingeva 
											nell’inchiostro, per vergare 
											resistenti pergamene (tratte da 
											pelli animali, di pecora o di 
											vitello) o delicati papiri. 
											
											
											
											 
											
											
											Dunque, durante l’epoca romana 
											abbiamo molti supporti scrittori, la 
											rivoluzione avvenne verso la metà 
											del III secolo d.C., quando da 
											Pergamo iniziò a essere esportato 
											sempre più verso Roma un nuovo 
											materiale: la pergamena. Va però 
											detto che i primi esperimenti di 
											“forma libro” vennero fatti con i 
											libri di papiro, cioè una fusione 
											tra il rotolo di papiro e il libro 
											di tavolette romano. Tale esemplare 
											aveva la forma di un libro moderno, 
											con le coperte lignee e le pagine di 
											papiro. 
											 
											
											
											
											
											
											
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											Mosaico romano rappresentante i 
											supporti esistenti all’epoca: 
											
											
											
											
											libro di tavolette e rotolo di 
											papiro
											 
											
											
											Però la rivoluzione vera e propria 
											si ebbe con il codex 
											pergamenaceo. Al passaggio dal 
											rotolo di papiro al codice 
											manoscritto contribuì anche la 
											progressiva affermazione del 
											Cristianesimo, poiché ess volendo 
											lanciare un nuovo messaggio, volle 
											anche distinguersi dal paganesimo 
											per la tipologia di supporto 
											utilizzato e per la tipologia 
											grafica: il paganesimo utilizzava il 
											rotolo di papiro e la capitale 
											romana, il Cristianesimo si affermò 
											sul codice pergamenaceo scritto in 
											onciale.
											
											
											 
											
											
											Con la caduta dell’Impero romano 
											d’Occidente, nel 476 d.C., non ci fu 
											nessun “Ente” che sorvegliò più 
											sulla scrittura, così in poco tempo 
											si diffusero molte tipologie 
											grafiche differenti: 
											
											
											 
											
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											onciale e semionciale (IV d.C. – 
											VIII d.C.) - parallelismo con il 
											maiuscoletto appartenente a una fase 
											della scolarizzazione più avanzata;
											
											
											 
											
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											beneventana. È associata con 
											l’Italia a sud di Roma, ma è stata 
											anche usata nell’area dalmata (nel 
											monastero di San Crisogono a Zara) 
											sotto l’influenza barese. Questa 
											scrittura, sviluppatasi a partire da 
											Benevento, è stata usata 
											approssimativamente dalla metà dell’VIII 
											secolo fino al XIII secolo, anche se 
											ne esistono esempi fino al tardo XVI 
											secolo;
											
											
											 
											
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											scritture insulari. Èuna tipologia 
											grafica medievale usata in Irlanda e 
											in Gran Bretagna (Latino: insula, 
											“isola”). Successivamente si 
											diffonde nell’Europa continentale 
											dai centri sotto l’influenza del 
											Cristianesimo Celtico. Tale 
											scrittura si sviluppò in Irlanda nel 
											VII secolo e fu usata fino al tardo 
											XIX secolo.
											
											
											 
											
											
											
											
											
											
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											Biblioteca civica “Romolo Spezioli” 
											di Fermo, 
											
											
											
											
											
											frammento di Beneventana
											
											
											
											 
											
											
											Una riunificazione grafica si ebbe 
											solo nel IX secolo, con Carlo Magno, 
											che attraverso la corte di 
											Aquisgrana e Alcuino di York, impose 
											la minuscola carolina. Fu messa a 
											punto per la prima volta dai monaci 
											benedettini di Corbie, i quali 
											trasformarono la minuscola corsiva, 
											allora usata dai copisti in varie 
											versioni regionali, in una nuova 
											scrittura caratterizzata da una 
											forma regolare delle singole lettere 
											e dall’eliminazione delle legature e 
											delle abbreviazioni, facilitando la 
											lettura. Fu adottata dapprima nei 
											grandi monasteri per la trascrizione 
											delle Sacre Scritture, poi fu 
											insegnata nelle scuole vescovili e 
											monastiche e quindi venne utilizzata 
											dalle pubbliche amministrazioni per 
											la redazione degli atti ufficiali.
											
											
											 
											
											
											La grafica risultava elegante e la 
											forma dei caratteri più accurata. 
											Una delle differenze principali 
											rispetto alla minuscola corsiva 
											furono le lettere “a” e “t”: vennero 
											semplificate per poterle distinguere 
											in maniera più semplice. La 
											minuscola carolina riscontrò un 
											rapido successo poiché facilitò la 
											trascrizione di testi classici agli 
											amanuensi, semplificò notevolmente 
											la comunicazione internazionale e 
											diede una nuova spinta alla 
											rinascita e alla diffusione della 
											cultura classica nei secoli 
											altomedievali. 
											
											
											Carlo Magno decise di imporre tale 
											nuova tipologia grafica, poiché, 
											governando un impero molto vasto, 
											dal punto di vista 
											amministrativo-burocratico era 
											divenuto difficilissimo comprendere 
											testi redatti anche solo 20/30 anni 
											prima. Tale imposizione andò a 
											cancellare tutte le peculiarità 
											scrittorie regionali, a eccezione 
											della beneventana che sopravvisse 
											sino al Trecento, poiché il Sud 
											Italia non entrò mai a far parte dei 
											domini carolingi.
											
											
											 
											
											
											Nei secoli dell’Alto Medioevo il 
											luogo adibito alla produzione dei 
											manoscritti è il monastero, 
											conservandosi la cultura quasi 
											esclusivamente in ambienti 
											religiosi. Esso viene prodotto 
											interamente all’interno del 
											monastero, ivi si hanno monaci che 
											allevano le pecore, coloro che 
											lavorano la pergamena, chi taglia la 
											pergamena, chi la cuce e chi verga i 
											codici. 
											
											
											Il codice veniva vergato nello 
											scriptorium e solitamente un 
											monaco per terminare un codice di 
											medie dimensioni (da bisaccia) 
											impiegava dai sei mesi a un anno. 
											Inoltre un amanuense per tutta la 
											vita vergava sempre le stesse opere, 
											andandole così a memorizzarle alla 
											perfezione, al fine di velocizzare 
											il lavoro di copiatura. 
											
											
											 
											
											
											Tale sistema di produzione del libro 
											si venne a modificare nel Duecento, 
											con la nascita dei comuni, delle 
											università e della classe 
											mercantile. La ripresa economica e 
											la scolarizzazione della proto 
											borghesia mercantile, portarono a 
											una richiesta di libri cento volte 
											superiore a quella dell’Alto 
											Medioevo, perciò il sistema 
											produttivo del monastero non poteva 
											assolutamente reggere la domanda.
											
											
											
											 
											
											
											Così il libro iniziò a essere 
											prodotto nelle botteghe attraverso 
											il sistema della Pecia. Ora l’opera 
											non veniva più copiata da un solo 
											uomo, ma il codexera smontato 
											in tanti fascicoli e questi erano 
											distribuiti ai collaboratori della 
											bottega. Il tempo impiegato era 
											sempre lo stesso, ma ora alla fine 
											dei 6/12 mesi si avevano tante copie 
											quanti erano i fascicoli che erano 
											stati distribuiti e quante volte si 
											riusciva a copiare il singolo 
											fascicolo. 
											
											
											 
											
											
											In questo periodo però non cambiò 
											solo il sistema di produzione del 
											libro, ma anche la tipologia grafica 
											utilizzata, si passò a una gotica. 
											Tale tipologia grafica ebbe 
											un’enorme fortuna e sopravvisse sino 
											all’arrivo della stampa, 
											affiancandosi nel Quattrocento alla 
											scrittura umanistica. 
											
											
											 
											
											
											Dunque, dalle tavolette di 
											terracotta all’invenzione della 
											stampa, si sono succeduti vari 
											supporti e varie tipologie grafiche, 
											ma una costante ci ha accompagnati 
											in tutto il percorso, l’esigenza di 
											salvaguardare la cultura e le opere 
											dei grandi “pensatori” che ci hanno 
											preceduto. 
											
											
											 
											
											
											
											
											
											
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											Biblioteca civica “Romolo Spezioli”,
											
											
											
											
											
											coperta di riuso in gotica
											
											
											
											 
											
											
											 
											
											
											Riferimenti bibliografici:
											
											
											
											 
											
											
											
											R. Renzi, La tradizione delle 
											opere sallustiane dai manoscritti 
											agli incunaboli della Biblioteca 
											civica di Fermo, Andrea Livi 
											Editore, Fermo 2020. 
											
											
											
											R. Renzi, Tito Livio. La fortuna 
											del più grande storico romano, 
											Primicieri Editore, Padova 2021.
											
											
											
											R. Renzi, La fortuna di uno 
											storico minore: Lucio Anneo Floro, i 
											manoscritti e gli incunaboli della 
											Biblioteca Civica Romolo Spezioli, 
											con prefazione di Alessandro 
											Cesareo, Amarganta, 2021. 
											
											
											
											M.L. Agati, Il libro manoscritto: 
											introduzione alla codicologia, 
											L’Erma di Bretschneider, Roma 2003.
											
											
											I. Carini, Il papiro: appunti per 
											la nuova scuola Vaticana / del 
											prof. Isidoro Carini, Roma, tip. 
											Vaticana, 1888.
											
											
											E. G. Turner, ‘Recto’ e ‘Verso’. 
											Anatomia del rotolo di papiro, 
											Istituto papirologico Vitelli, 
											Firenze, 1994.
											
											
											F. Déroche, A.Berthier, Manuel de 
											codicologie desmanuscrits en 
											écriture arabe, Parigi, 
											Bibliothèque nationale de France, 
											2000.