[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

167 / NOVEMBRE 2021 (CXCVIII)


attualità

LE FRAGILI FONDAMENTA DI EVERGRANDE

CINA E MERCATO IMMOBILIARE

di Gian Marco Boellisi

 

Tra le più assodate realtà del contesto internazionale odierno, la scalata politica, sociale ed economica della Cina risulta a oggi un fatto innegabile.

 

Diventata in pochi decenni uno degli stati più potenti e influenti del globo, la Repubblica Popolare Cinese ha saputo coniugare una rapida crescita economica a un ineluttabile ascesa politica, sfruttando anche il graduale declino statunitense causato sia dalle lunghe guerre contro il terrore in giro per il mondo sia dalle cicliche crisi economiche che hanno colpito il sistema finanziario gobale.

 

Nonostante i grandi successi registrati, il dragone cinese ha sempre temuto e cercato di scongiurare con ogni mezzo le possibili debolezze strutturali insite nella propria economia. Per quanto abile, nulla poteva essere fatto per nascondere i problemi finanziari di Evergrande, colosso immobiliare cinese dal quale è dipesa largamente la crescita economica degli ultimi anni. Definita da alcuni analisti la “Nuova Lehman Brothers”, il rischio del suo fallimento circa un mese e mezzo fa ha scosso tutte le borse del mondo paventando l’ombra di una nuova crisi. La questione tuttavia è ben più complessa di un semplice sussulto finanziario, motivo per il quale vale la pena approfondire la questione in un’ottica maggiormente politica.

 

Partiamo dalle premesse del problema. Una larga fetta dell’economia cinese odierna è fondata sul settore immobiliare, il quale ricopre circa il 26% del PIL. Il mercato del mattone è stato protagonista unico e indissoluto sin dall’ultima crisi globale del 2008-2009, dove la crescita cinese interna ha iniziato a percorrere ritmi serratissimi.

 

Fu proprio durante questa crisi che le esportazioni cinesi verso il mondo esterno furono ridotte drasticamente. Per questo motivo il governo di Pechino, in maniera da sostenenere la crescita interna, iniziò a sovvenzionare in maniera molto pesante il settore delle costruzioni, fornendo alle società edili credito immediato e a basso costo, con tassi di interesse impensabili in altre zone del mondo. Qui fu commesso il primo errore se vogliamo, vista la mancata valutazione di fattibilità dei progetti immobiliari e in ultima istanza delle prospettive di rientro del finanziamento concesso. Il credito risultava quindi de facto a fondo perduto.

 

Dall’avvio di queste politiche, il mercato del mattone è diventato letteralmente uno dei traini dell’economia cinese e la società più importante di questo immenso castello di carte è sempre stata China Evergrande Group (CEG). CEG è una società di investimento nel settore immobiliare che opera in campo finanziario, ma anche in quello della costruzione effettiva degli immobili. Nel corso degli anni ha costruito un impero in tutta la Cina, aprendo cantieri in città di primaria importanza come Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen.

 

La prima frenata di settore si è avuta nel 2014, quando la domanda di terreni edificabili ha subito un primo rallentamento. Ed è proprio in questi anni che si collocano i primi timori dello scoppio di una bolla finanziaria legata all’immobiliare, scongiurata prontamente dal governo centrale cinese. Bisogna arrivare al 2017 per registrare i primi problemi di cassa ufficiali da parte di Evergrande, i quali furono un sintomo sistemico di un problema ben più grande e strutturale. Nonostante ciò, i problemi furono parzialmente superati, con prestiti da parte di banche pubbliche e anche vere e proprie campagne di crowdfunding presso i dipendenti e gli stessi compratori di immobili, ai quali fu promesso di riottenere dopo un certo periodo di tempo il 25% in più del capitale prestato. Il continuo accumulo di crediti fu accompagnato costantemente da una continua mala gestione degli stessi, motivo per cui Evergrande proseguì sempre più ad affondare in un oceano di debiti.

 

Viste le problematiche apparentemente senza freno del settore, nel 2020 il governo di Pechino guidato da Xi Jingping ha annunciato di voler porre il controllo dello stato sull’indebitamento delle società immobiliari. Questo provvedimento rientra nella recente ben più ampia politica di controllo dell’industria privata cinese onde evitare la sua deregolamentazione o ancora peggio, almeno dal punto di vista del governo, la sua eccessiva libertà d’azione senza un allineamento alle politiche dello stato.

 

Dall’avvio dei controlli Evergrande ha provato a mostrare alle autorità una situazione “in linea di risoluzione”, cercando di appianare i propri debiti tramite la vendità di immobili con sconti vertiginosi e la cessione di alcuni rami d’azienda. Tuttavia le misure, apportate con troppo ritardo rispetto alla gravità della situazione in essere, non hanno portato all’effetto sperato. Ciò è risultato in un finale crollo delle azioni con relative obbligazioni dal valore nullo.

 

Per rendersi conto della gravità della situazione, anche le principali agenzie di rating quali Standard&Poors e Moody’s hanno declassato il rating di Everglande. A ciò sono seguite ovviamente le prime accuse di frode e di insolvenza. La cosa che deve far riflettere è che, per quanto nelle ultime settimane si sia parlato di Evergrande come caso unico e isolato, è importante ricordarsi che il problema del mercato immobiliare non è limitato a una singola società, ma è esteso a tutto un sistema di crescita viziato da prestiti spazzatura e assenza di standard finanziari di alcun tipo.

 

Per comprendere a pieno l’entità del problema è opportuno scendere nei dettagli del modus operandi di Evergrande degli ultimi anni. La prima cosa da sottolineare è che il mercato immobiliare cinese non ha agito di propria volontà ma è stato spinto a muoversi in questa maniera dal governo di Pechino stesso, il quale ha cercato in tutti i modi di ottenere una crescita elevata in ogni settore del proprio paese.

 

I primi sostenitori di queste politiche sono stati i funzionari locali, quali amministratori di regioni e sindaci. Infatti una delle fonti di introiti maggiore da sempre per le casse locali in Cina è la vendita dei permessi per la costruzione sui vari terreni. Basti pensare che nel 2020 i ricavi per le vendite dei terreni nelle province cinesi hanno rappresentato da soli la metà delle entrate fiscali del paese. Ciò ha portato in pochissimo tempo all’esplosione dell’offerta di immobili, anche quando ormai risultava palese che il numero delle case costruite superasse di gran lunga il numero dei potenziali acquirenti delle stesse, creando enormi quartieri fantasma senza alcuna anima viva ad abitarvi.

 

A seguito dell’acquisto dei terreni, Evergrande vi sviluppava progetti immobiliari, i quali venivano venduti ai vari clienti in giro per la Cina, per lo più famiglie cinesi. Queste nella maggior parte dei casi erano portate a pagare una parte o addirittura l’interezza dell’importo dell’immobile completamente in anticipo, prima ancora che lo stesso venisse realizzato e consegnato. Quindi da un lato Evergrande incassava capitali in anticipo, dall’altra pagava fornitori con debiti commerciali a breve termine oppure con obbligazioni in valuta estera, le stesse che recentemente hanno completamente perso il loro valore.

 

Il meccanismo, all’apparenza perfetto, si è inceppato quando a Pechino ci si è resi conto di avere il settore immobiliare soffocato interamente dalla morsa dei debiti e che per anni si è alimentato uno sviluppo basato solo sul credito bancario e non su una liquidità effettiva. Sono stati così fissati dei tetti massimi al debito concesso alle società immobiliari, Evergrande in primis. Nel 2015 le passività della società ammontavano a circa 57 miliardi di dollari, motivo per il quale essa aveva iniziato a emettere obbligazioni per auto-finanziarsi. Con queste nuove restrizioni Hui Ka Yen, creatore di Evergrande nel 1997 nonché uno degli uomini più ricchi della Cina, ha visto l’immenso castello di carte su cui si fondava il suo impero tremare sin dalle sue fondamenta.

 

Nonostante i problemi innegabili del mercato immobiliare, la crisi di Evergrande testimonia un problema ben più radicato all’interno del sistema economico cinese. Infatti i problemi dell’economia di Pechino sono paradossalmente sempre gli stessi da innumerevoli decenni, ovvero un numero spropositato di investimenti quasi a fondo perduto senza alcuna valutazione sul ritorno economico, scopertura creditizia a medio e lungo termine, ricorso al potere economico dello Stato per risanare debiti accumulati nel corso di anni e anni di politiche finanziarie spregiudicate.

 

Al netto di tutto, il governo centrale si è ritrovato di nuovo di fronte alla fatidica scelta se salvare o meno il colosso di turno in procinto al fallimento. Per quanto di cattivo umore, difficilmente Pechino lascerà al fallimento Evergrande, rifiutando ogni tipo di intervento analogamente a quanto accaduto nel 2008 tra Washington e Lehman Brothers. Questo sia per una questione economica, volendo comunque mantenere in vita un titano che ha sempre attratto numerosi investimenti anche esteri, sia per una questione politica, non mostrando così la debolezza strutturale della propria economia agli occhi del mondo. Ciò è stato dimostrato il 23 ottobre di poche settimane fa, quando Evegrande è riuscita a pagare la tranche di interesse in scadenza di 83,5 milioni di dollari rendendo possibile la riapertura di molti cantieri ed evitando il default tecnico della società.

 

La politica di Pechino allo stato attuale è quella di ritardare l’intervento statale il più possibile, in maniera da impedire o al più ritardare lo scoppio della bolla finanziaria. A questo scopo è stata iniettata liquidità da parte della Banca Centrale Cinese per 18,5 miliardi di dollari. Tuttavia il fine ultimo sembrerebbe esser di gran lunga più radicale che un appianamento temporaneo dei debiti per poi riprendere le medesime politiche finanziarie del passato. Il governo cinese avrebbe intenzione di effettuare un vero e proprio “repulisti” di tutti quei leader e manager di aziende private che per anni hanno accumulato capitali immensi al di fuori delle maglie di controllo dello stato.

 

In quest’ottica di estrema necessità, Evergrande è l’esempio perfetto per il governo per dimostrare come politiche imprenditoriali sprovvedute possano portare a danni catastrofici non solo per l’impresa in questione ma anche per tutta la società cinese. Ovviamente in questo tipo di retorica viene quasi sempre omesso che questo tipo di azioni siano state in parte avvallate dal governo centrale, ma non è necessario che venga detto esplicitamente. La cosa è già ben nota.

 

A valle dei trattamenti economici e creditizi di Pechino, Evergrande dovrà essere una società con una crescita controllata e prestabilita, senza avere più sorprese con debiti o mancato rispetto delle tranche sugli interessi. Questo un’po’ anche per il timore che si riviva qualcosa di similare al fallimento del fondo Long Term Capital Management, il quale nel 1998 portò a un instabilità finanziaria elevatissima per tutta la regione del Sud-Est Asiatico.

 

Uno dei grandi timori del caso Evergrande è stato un contagio similare a quanto avvenne nel 2008 con Lehman Brothers, dove la crisi finanziaria si diffuse nell’arco di un anno a tutto il globo senza risparmiare nessuno stato. Per quanto questo timore non sia stato ancora cancellato del tutto, è altamente improbabile che anche in caso di fallimento avvengano le stesse dinamiche del 2008, e questo ci viene detto dai numeri. Evegrande allo stato attuale ha un debito di 300 miliardi, mentre Lehman Brothers ne avevauno di circa 600 miliardi al momento del fallimento. Di questi 300 miliardi, Evergrande ne deterrebbe solo 20 all’estero.

 

Dulcis in fundo, vi è da considerare che il gruppo Evergrande non è neanche lontamente connesso al sistema finanziario internazionale così come lo era Lehman Brothers. Secondo JP Morgan, i prestiti del settore bancario del gruppo CEG sono lo 0,2% dei prestiti totali cinesi. Quindi un eventuale fallimento di Evergrande causerebbe un forte colpo di assestamento all’instabile mercato immobiliare cinese, ma non andrebbe oltre questa soglia.

 

Infatti è importante ricordare che sia i clienti sia i creditori e soprattutto gli investitori di Evergrande sono per la stragrande maggioranza cinesi. Vi è inoltre da considerare una questione puramente valutaria, ovvero che la moneta della Repubblica Popolare, lo yuan, rappresenta solo il 2,5% delle riserve di valuta blogali, mentre il dollaro primeggia ancora con oltre il 60%.

 

In conclusione, il caso Evergrande ha scoperto la polvere sotto il tappeto di un’economia tanto complessa quanto piena di ombre quale può essere quella dell’immobile cinese. Le sorti del colosso del mattone cinese dividono gli analisti in maniera netta. C’è chi asserice che Evergrande sia uno di quei classici casi di “too big to fail” e che quindi il governo di Pechino deciderà di intervenire più o meno direttamente in maniera da riportare sotto il proprio controllo questo cavallo imbizzarito del sistema finanziario cinese. Dall’altro lato invece c’è chi asserisce che ormai non vi sia più niente da fare e che è solo questione di tempo prima che Evergrande fallisca definitivamente, con tutto ciò che ne conseguirà per il mercato cinese e anche internazionale.

 

Sta di fatto che, anche qualora quest’ultima ipotesi debba verificarsi, è altamente improbabile che si ripeta lo stesso copione del 2008, banalmente per il fatto che il mercato immobiliare non comporta gli stessi rischi e i legami degli asset puramente finanziari. L’intera vicenda risulta essere comunque una grande lezione per il governo cinese, il quale ha ora finalmente la prova che l’incoraggiamento a politiche di crescita sfrenata senza alcun controllo esterno possono portare sì dei benefici nel breve termine ma a dei veri e propri disastri nel lungo periodo.

 

Per quanto questa sia stata solo la prima vera sfida per il presidente Xi Jinping nella sua nuova politica della “prosperità comune”, molte altre attendono dietro l’angolo, negli esteri in primis. Da qui si vedrà se le promesse di Xi fatte al popolo cinese sin dal suo insediamento nel 2013 avranno un futuro nella Cina di domani.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]