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N. 10 - Marzo 2006

L'EUROPA: IL NUOVO CENTRISMO, IL POPULISMO E LO SCONTRO DELLE CIVILTA'

Un bilancio all’inizio del semestre austriaco

di Leila Tavi

 

L’Unione europea ha scelto la via all’allargamento seguendo la soluzione di “Grande Europa” che, pur se superficiale, sembrerebbe essere il minore dei mali rispetto all’esclusione dall’Unione di aree di crisi e di instabilità politica. Ma in questo nuovo ordine mondiale quale è il ruolo dell’Europa? Quale quello dell’Occidente?

 

Con l’inizio del XXI secolo assistiamo alla fine del decennio di supremazia economica statunitense a causa dell’overstretching, all’affacciarsi sulla scena internazionale di una nuova superpotenza, la Cina, e alla trasformazione del fenomeno della globalizzazione, che da economica diventa politica.

 

Ma il XXI sembrerebbe essere anche il secolo dello scontro tra civiltà, della vittoria delle teorie di Huntington su quelle di Fukuyama. Purtroppo in Europa cominciano a levarsi voci che incitano alla scontro diretto con la cultura musulmana, come le dichiarazioni del vescovo Rino Fisichella nell’edizione del Corriere della Sera di lunedì 20 febbraio commentando gli scontri di Bengasi: “Basta con la neutralità degli stati e degli organismi internazionali”.

 

Come reagirà l’Europa all’isteria collettiva del mondo arabo dopo l’affare delle vignette blasfeme? Perché sono le ambasciate europee ad essere prese d’assalto e non più quelle statunitensi? La politicizzazione dell’Islam è una reazione al tentativo statunitense di esportare la democrazia e i valori occidentali in Medio Oriente?

 

Tra gli studiosi molti sostengono che il fondamentalismo islamico, erroneamente considerato dall’opinione pubblica europea come il rifiuto all’occidentalizzazione, sia la conseguenza della separazione tra religione e cultura, ovvero un riadattamento dei valori religiosi fuori da un contesto culturale, indebolito dalla globalizzazione. Il fenomeno va visto anche in chiave di ribellione generazionale rispetto alle società attuali corrotte e dal volto disumano.

 

La religione tra i giovani musulmani in Europa è vissuta come momento di raccoglimento e di isolamento individuale che si trasforma in un conflitto generazionale; un breve accenno è stato fatto anche nell’articolo I ribelli di Nalchik. Si tratta di una ribellione contro le vecchie generazioni per l’affermazione del proprio ego in una società, quella globale, che tende a schiacciare le personalità in un anonimato fatto di conformismo e di monotonia.

 

Stefano Allievi indica tale distacco dalle radici etniche, nazionali e linguistiche dei giovani musulmani cresciuti in Europa con il termine fenomeno di de-etnicizzazione, a cui vengono associati fenomeni quali la disoccupazione giovanile e l’emarginazione sociale delle periferie.

 

L’attuale condizione sociale dei giovani musulmani in Europa causa un inasprimento dei rapporti tra i giovani arabi e lo Stato in cui vivono, tanto da trasformare il nuovo fondamentalismo islamico, se per fondamentalismo intendiamo l’accezione che ne vuole dare Bassam Tibi di derivazione di principi politici da un testo ritenuto sacro, in un movimento anti-imperialista che ha lo stesso fascino del terrorismo ideologico europeo degli Anni ’70.

 

L’identificazione al gruppo religioso permette al leader fondamentalista di muovere le masse e di porre la sopravvivenza dell’identità religiosa al di sopra della sfera individuale. In questo modo essere musulmano contrasta con i valori delle democrazie moderne occidentali, basate sulle libertà individuali.

 

Il nuovo credo politico e religioso non mira alla restaurazione di una religione pura e arcaica, ma presenta una struttura, dei fini e una rete di sviluppo che possono essere assimilati ai modelli di azione delle società capitalistiche moderne; Youssef M. Choueiri teorizza che nel nuovo fondamentalismo islamico “la rivisitazione del passato è funzionale ad una proiezione verso il futuro nel tentativo di superare la negatività del presente”.

 

Il 16 febbraio il Ministro delegato alle pari opportunità francese Azouz Begag ha incontrato a Berlino il ministro Maria Böhmer, delegata all’immigrazione, rifugiati e all’integrazione. L’incontro è avvenuto nell’ambito dei preparativi di un’iniziativa franco-tedesca per l’integrazione, lanciata durante la prima visita di Stato del cancelliere Angela Merkel al presidente francese Jacques Chirac il 23 novembre 2005.

 

Le dichiarazioni rilasciata dalla Böhmer durante la conferenza stampa non sembrano far intravedere che i due governi siano in grado di attuare una strategia vincente per un’ effettiva integrazione dei giovani musulmani in Francia e in Germania; il Ministro tedesco si è limitato alle seguenti parole: “Die erfolgreiche Integration von Zuwanderern ist von grundlegender Bedeutung für die Zukunftsfähigkeit unserer Gesellschaft. Dies gilt auch im europäischen Kontext. [Riuscire a integrare gli immigrati è di fondamentale importanza per le capacità future della nostra società. Ciò vale anche per il contesto europeo.

 

Václav Havel mette in guardia gli Europei dagli attacchi interni che la democrazia delle moderne società civili sta subendo, come il revanchismo nazionalista e l’intolleranza razziale. Il più grave errore commesso dagli Europei dopo secoli di lotta per la conquista della democrazia è stato quello di considerare scontato ed eterno il valore dei principi democratici in Occidente. Senza un rinnovato impegno sociale e culturale non si otterranno mai il mantenimento e il buon funzionamento della democrazia. 

 

Per Havel lo stesso concetto di cittadino è stato privato del suo vero e nobile significato ed è stato trasformato, senza che la maggior parte degli Europei se ne rendesse conto, nel semplice consumatore: un numero utile solo al marketing delle multinazionali.

                                                   

Lo scrittore e politico ceco sostiene che l’uomo occidentale contemporaneo, nel tentativo di capire e allo stesso modo dominare il mondo, ha perso di vista il legame principale tra l’uomo e il mondo che lo circonda: l’essere.

 

L’alternativa a tale olistica costruzione filosofica consiste in un ininterrotto contatto con la vita stessa” secondo Havel. L’uomo ha bisogno di esperienze sempre nuove, come nel rinnovato processo evolutivo del completamento dell’individuo all’interno di una comunità.

 

Solo in una continua democratica discussione che trova il suo naturale sbocco nella decisione politica può esistere una vera democrazia.

 

Non dobbiamo sperare in una nuova democrazia in Europa. O regna la democrazia, o non regna. I suoi grandi nemici sono solo la nostra mancanza di responsabilità, l’indifferenza e la rassegnazione come cittadini.” Queste le parole di Havel.

 

E non prendiamoci in giro, ha ragione il regista teatrale austriaco Martin Kušej quando dice che la violenza ruggisce anche nel petto del mondo occidentale: “Wir, die Barbaren Nachrichten aus der Zivilisation” [Noi, i barbari – notizie dalla civilizzazione].

 

L’illusione dell’idea di fratellanza comune sotto l’egida di Bruxelles sembra vacillare sotto il peso della crisi economica; apprendiamo dalla stampa in questi giorni che la Francia ha bloccato la scalata dell’Enel all’energia francese annunciando la fusione tra Gaz de France e l'utility franco-belga Suez, che controlla Electrabel. L’ombra del protezionismo ritorna prepotentemente nonostante i buoni propositi, gli accordi firmati durante il cammino dell’integrazione europea e la tanto contestata Carta costituzionale.

 

Nell’era della frammentazione degli Stati nazionali, neanche più la teoria del “grande ombrello europeo sui regionalismi” riesce a fare da collante. Non sarà certo una politica economica comune della flessibilità dei costi a far uscire l’Unione dalla crisi.

 

Quando si guarda al modello statunitense troppo spesso si dimentica che la supremazia dell’economia americana su quella europea non ha come armi vincenti la precarietà del lavoro e la flessibilità dei costi, ma il motore dell’economia negli Stati Uniti è la ricerca, in larga parte finanziata dallo Stato.

 

Regionalizzare” l’Unione in aree omogenee? Come potrebbero mai addivenire a un accordo all’interno delle aree paesi economicamente concorrenti, quali, ad esempio, Italia e Spagna? Si rischierebbe in questo modo di fomentare ancora di più possibili conflitti interstatali e di rendere ancora più difficile una pacifica integrazione multiculturale.

 

Nel frattempo i gruppi conservatori nei paesi dell’Unione strumentalizzano la paura popolare di insurrezioni e lotta armata da parte delle numerose comunità musulmane in Europa per assicurarsi il consenso politico.

 

In Italia abbiamo l’esempio della Lega e del ministro Calderoni, costretto a dimettersi dopo avere indossato una maglietta con le vignette contestate dai musulmani; è evidente che la linea anti-Islam serve a far guadagnare voti alle prossime politiche. Lo stesso Rocco Buttiglione ha dichiarato che l’idea del leghista Calderoni di indossare una maglietta con lo slogan: “sono orgoglioso di essere cristiano” è da apprezzare.

 

Le dichiarazioni rilasciate da Marcello Pera al Corriere della Sera Se ci genuflettiamo abbiamo perso” hanno trovato il consenso di Pier Ferdinando Casini, di Maurizio Gasparri e, più in generale, del centrodestra italiano.

 

E’ un errore vedere i musulmani che vivono in Occidente come “impermeabili” alla nostra cultura; è un dato di fatto che la maggior parte dei cittadini di origine araba che vivono in Europa sono laici e moderati. Mostrare intolleranza e chiusura nei loro confronti sortirà l’effetto di farli sentire abbandonati e isolati. C’è bisogno a maggior ragione adesso del dialogo, adesso è necessario dimostrare loro che hanno le stesse opportunità nella nostra società di un europeo.

 

La storia ci insegna che nei periodi di crisi economica, spesso lo straniero, “l’altro”, è stato considerato il capro espiatorio di tutti i mali, colui su cui gettare fango. E il neo-populismo di alcuni partiti della destra radicale in Europa può pericolosamente riportare la xenofobia nel nostro continente predicando la lotta contro l’immigrazione e contro l’integrazione delle minoranze etniche e religiose.

 

Ma come si pone l’Unione europea di fronte a questi estremismi? L’Europa è veramente un’entità “senz’anima, ferma alla Guerra fredda”, come l’ha descritta Gaetano Quagliarello nella sua prolusione tenuta il mese scorso durante l’inaugurazione dell’anno accademico dalla Luiss Guido Carli?

 

Si può affermare che l’Unione ha perso l’asse franco-tedesca, ago della bilancia e mediatore delle controversie interne, non per un raffreddamento ai vertici delle due nazioni dopo l’elezione a cancelliere tedesco di Angela Merkel, piuttosto perché l’Unione si è divisa politicamente al suo interno se schierarsi oppure no al fianco degli Stati Uniti nello scacchiere della politica internazionale dopo l’11 settembre 2001.

 

Dopo l’11 settembre è prevalsa la logica dei rapporti bilaterali tra i singoli paesi membri e gli Stati Uniti sulla politica estera comune; abbiamo trattato l’argomento nell’articolo Le relazioni transatlantiche e il nuovo balance of power. Ciò ha indebolito ulteriormente il peso decisionale delle istituzioni comunitarie nei confronti dei singoli governi nazionali.

 

Cosa aspettarsi dalla presidenza di turno austriaca sul fronte dell’integrazione multiculturale e della politica estera comune? Il politologo Antonio Missiroli sostiene che l’impegno austriaco sarà più su un piano regionale, focalizzato sui Balcani, che su uno globale. Uno svantaggio per l’Unione che dovrebbe, proprio in questo delicato momento storico, avere “più visibilità all’esterno”; inoltre le prossime elezioni politiche in Austria rischiano di far diventare l’euroscetticismo degli Austriaci sia a destra che a sinistra un argomento per vincere la battaglia elettorale.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Luigi Accattoli, “Inaccettabile il silenzio degli Stati. Oggi è in gioco la libertà di tutti”. Il vescovo Fisichella: cosa fanno Lega Araba, Unione europea e ONU?, in “Il Corriere della Sera”, lunedì 20 febbraio 2006, p. 8

Stefano Allievi, Islam in Europa, islam d’Europa, in “Studi Emigrazione”, n. 147, Roma, Centro Studi Emigrazione, 2002, p. 551

Wolfgang Böhm, Die Suche nach dem Stimmungsmacher, in „Die Presse“, venerdì 23 dicembre 2005, p. 4

Youssef M. Chouciri, Il fondamentalismo islamico, Bologna, Il Mulino, 1993

Paolo Conti, Rapporti con l’Islam, Pera divide i Poli. Scontro dopo l’intervista al Corriere. Casini: difendere la cristianità. Bertinotti: non c’è un impero del male”, in “Il Corriere della Sera”, mercoledì 22 febbraio 2006, p. 8

Alexandra Föderl-Schmid, „Wahlen sind keine hilfreiche Sache“. Im Außenpolitischen Bereich erwarten Österreich schwierige Herausforderungen, in „Der Standard“, venerdì 23 dicembre 2005, p. 8

Václav Havel, “Demokartie droht zu verkümmern”. Europas Zukunft, in „Die Presse“, sabato 7 gennaio 2006, p. 33

Alessia Ianni, L’islam d’Europa tra fondamentalismo e riformismo, in “Affari Esteri”, n. 149, Roma, Associazione Italiana per gli Studi di Politica Estera, 2006, pp. 150-170

Junge Barbaren und “alte Säcke“, in „Der Standard“, lunedì 25 luglio 2006, p. 17

Gilles Kepel, In nome di Dio. Quando il conflitto diventa santo, in “La Repubblica”, venerdì 24 febbraio 2006, p. 53

Simone Petroni, I due volti dell’islam politico, in “Affari Esteri”, n. 149, Roma, Associazione Italiana per gli Studi di Politica Estera, 2006, pp. 119-137

Gaetano Quagliarello, Europa senz’anima, ferma alla Guerra fredda. Solo conflitti intestini e illusioni pacifiste dopo la caduta del Muro, in “Il Corriere della Sera”, martedì 17 gennaio 2006, p. 49

Oliver Roy, Una fede senza radici. Ecco il diavolo globale, in “Il Corriere della Sera”, martedì 14 febbraio 2006, p.14

Giorgio Ruffolo, Il rischioso stallo dell’Europa, in “La Repubblica”, venerdì 24 febbraio 2006, p. 21

Peter Schneider, La guerra teocratica nel seno dell’Europa, in “La Repubblica”, venerdì 24 febbraio 2006, pp. 54-55

Marco Tarchi, L’ascesa del neopopulismo in Europa, consultato il 27 febbraio 2006, http://freeweb.supereva.com/profed/tarchi01.htm?p

Bassam Tibi, Il fondamentalismo religioso, Milano, Bollati Boringhieri, 1997

Alessandro Trocino, Vince la linea anti-Islam: così guadagniamo voti, in “Il Corriere della Sera”, lunedì 20 febbraio 2006, p. 5

 

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