.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

antica


N. 104 - Agosto 2016 (CXXXV)

L’Etna nel mito
Ninfa, madre e ardor di fuoco

di Alessandra Romeo

 

(…) là sono i lauri, là sono gli ondeggianti cipressi,

l’edera scura e la vite dai dolci frutti,

è c’è l’acqua fresca, bevanda divina che per me

fa scendere dalla candida neve l’Etna selvoso.

Chi vorrebbe avere, in cambio di tutto questo, il mare e le onde?

[Theoc. 11, 45-49. Trad. it. B. M. Palumbo Stracca]

 

Con queste splendide parole Teocrito, nel suo Idillio 11 dedicato al Ciclope, descrive il vulcano Etna come un luogo quasi incantato a cui nessuno potrebbe resistere.

 

Un paradiso terrestre nonché un vulcano dalla maestosità divina, a cui gli antichi conferirono tratti umani di donna e madre, e con un’importanza paesaggistica e mitologica incomparabile. Un luogo dove mito, natura e culti antichi si fondono come non mai.

 

Etna era una splendida ninfa, figlia di Urano e di Gea, rispettivamente personificazione del Cielo e della Terra. Il monte sarebbe quindi il frutto divino della fusione tra cielo e terra e questa discendenza non stupisce affatto chi ne osserva la figura: con la cima sembra toccare il cielo e con le radici penetra nelle profondità della terra. Un pensiero forse fin troppo poetico, ma che dà un’idea della dimensione divina del vulcano.

 

Una ninfa dalla genealogia sacra e con una discendenza altrettanto gloriosa, infatti si narra che fu una delle amanti del dio Efesto e che da questa unione furono generati gli dei Palici.

 

Gli episodi mitici in cui essa risulta protagonista come ninfa sono la disputa sulla Sicilia contesa tra Efesto, dio del fuoco, e Demetra, dea delle messi, risolta grazie al suo intervento, e la nascita dei già citati Palici.

 

Quest’ultimi erano una coppia di dei gemelli venerati già dai Siculi. Le fonti letterarie non concordano sulla loro genealogia e diverse sono le definizioni date: figli di Efesto e Etna; figli di Etna e della divinità sicula Adranos, poi identificato con Efesto; figli di Zeus e Taleia, a sua volta figlia di Efesto, e quindi nipoti di quest'ultimo.

 

Da una attenta lettura delle fonti, tuttavia, si evince che tutte le varianti del mito hanno in comune una discendenza divina legata agli elementi fuoco e terra. Sono quindi divinità ctonie, motivo per cui successivamente i Greci li assimilarono ai Cabiri di Samotracia, anch'essi generati da Efesto, o ai Dioscuri, figli gemelli di Zeus e protettori della navigazione. Per associazione, i Palici divennero la personificazione delle sorgenti solforosi-termali e protettori della navigazione.

 

La versione più famosa del mito, tuttavia, è quella che li identifica come figli di Zeus e Taleia e che narra di come quest’ultima, spaventata dall'ira di Era, moglie del dio fedifrago, si nascose sottoterra per portare a compimento la gravidanza (Serv. Aen. 9, 581). Al momento del parto, i gemelli divini vennero alla luce due volte: la prima dal ventre materno e la seconda da quello della terra quando uscirono in superficie.

 

Questa doppia nascita è sottolineata anche dall'etimologia del nome, infatti πάλιν ἱκέσϑαι (palin ikesthai) si traduce con "giunti di nuovo", cioè "nati due volte". Tale racconto, a mio parere, sarebbe plausibile anche nel caso in cui la madre fosse stata la ninfa-vulcano Etna: nati dal ventre del monte e poi risaliti in superficie.

 

Il loro culto sembra fosse situato presso il lago di Naftia, vicino Palagonia, località della Piana di Catania. Qui vi erano dei laghetti, crateri dai quali sgorgavano acque sulfuree, sempre in ebollizione (Str. 6, 2, 9), e dove fu eretto un santuario, luogo di solenni giuramenti. Polemone, secondo quanto riportato da Macrobio (Macr. Sat. 5, 19, 15 ss.), e lo pseudo-Aristotele (Aristot. Memor. 57) ne descrivono dettagliatamente il rito: colui il quale si accingeva a prestare giuramento doveva scriverlo su una tavoletta e metterla nel lago. Se essa avesse galleggiato il giuramento sarebbe stato veritiero, in caso contrario lo sventurato sarebbe stato tacciato di spergiuro e condannato a morte o alla cecità. Il santuario era anche sede di un oracolo e asilo per gli schiavi.

 

Sul sito del santuario Ducezio fondò la città sicula di Palikè (453 a.C.), i cui resti sono visibili nell'area archeologica di Rocchiccella, nel comune di Mineo.

 

Come vulcano, l'Etna fu sede dell'officina di Efesto, dove il dio forgiava i fulmini di Zeus, e fu il luogo in cui si svolsero importanti episodi mitici, quali il ratto di Persefone, la sconfitta di Tifone e quella di Encelado.

 

Il mito più conosciuto è senz'altro quello del rapimento di Persefone ad opera di Ade, zio della giovane e dio degli Inferi. La dea, figlia di Zeus e Demetra, era solita raccogliere fiori nei pressi di Enna in compagnia di alcune ninfe. Ade, una volta vista la sua bellezza, si invaghì della giovane e volle possederla.

 

Con l’inganno fece in modo che si allontanasse dalle compagne, attirandola con la bellezza di un narciso e nel punto esatto in cui esso si trovava, non appena fu raccolto dalla sventurata, si aprì una voragine nel terreno dalla quale uscì un carro col quale il dio rapì la nipote (h. Hom. 5, 5-21). Secondo Ovidio il luogo attraverso il quale il carro ritornò negli Inferi si trova invece nella fonte Ciane, nei pressi di Siracusa (Ov. met. 5, 396-437).

 

Alla notizia del rapimento della figlia e non sapendo l’identità del rapitore, Demetra iniziò una disperata ricerca per nove giorni e nove notti, durante le quali si aiutò con una fiaccola accesa nelle viscere dell’Etna.

 

Giunse così ad Eleusi e fu accolta da Baubo (Paus. 1, 14, 2). La donna cercò di rifocillare la dea dandole una minestra che Demetra rifiutò a causa della mancanza di appetito dovuta al dolore per la scomparsa della figlia. Così Baubo, per tirarla su di morale, alzò le sue vesti mostrando le natiche e suscitando il buon umore, tanto che la dea accettò alla fine il pasto offertole (Clem. Al. Protr. 21, 2).

 

Quando le fu rivelato il nome del rapitore, si rifiutò di assolvere ai suoi doveri di divinità delle messi e dell’agricoltura fin quando non avesse riavuto la figlia. Zeus, sotto la minaccia dell’incombente sterilità della terra, dovette acconsentire alla richiesta e invitò il dio degli Inferi a restituire Persefone, ma questo non fu più possibile. La giovane dea, infatti, convinta con l’inganno da Ade, aveva mangiato dei chicchi di melograna: chi si nutre del cibo degli Inferi è costretto a rimanervi.

 

Si giunse al compromesso secondo il quale Persefone avrebbe vissuto sei mesi (primavera - estate) in cielo con la madre, durante i quali la terra fiorisce e dona i suoi frutti, allegoria della giovane dea che risorge alla luce, e sei mesi (autunno - inverno) negli Inferi con il marito, nei quali la terra è sterile.

 

Oltre alla figura di Baubo, il mito narra anche di un’altra donna di Eleusi, Iambe, che riuscì coi suoi scherzi osceni ad allietare la dea (Ov. met. 195 ss.). Questa versione collega il nome della serva al termine “giambo”, uno dei quattro generi della poesia greca nonché il metro usato in essa, caratterizzato da temi legati all’invettiva personale e ad un linguaggio osceno.

 

Da questo mito ha origine il gesto dell’anásyrma (νάσυρμα), o anasyrmós (νασυρμός), ovvero l’atto di sollevarsi la gonna per mostrare la propria vulva. Non è pornografia o semplice divertimento, ma un vero e proprio rituale apotropaico.

 

Esso era praticato nelle feste religiose associate a Demetra, come i Misteri Eleusini e le Termoforie, propiziatorie per la fertilità della terra e legate al ciclo della vita e della rinascita. Le fonti letterarie ne riportano la descrizione con riferimenti al sollevamento delle vesti, a danze, all’uso di un linguaggio licenzioso, a scherzi a sfondo sessuale e di esibizione, a simboli di fertilità (per esempio i mylloi, dolci sui quali era praticata un’incisione al centro prima della cottura in modo tale che, una volta cotti, assomigliassero a delle vulve), a sacrifici di animali legati alla sfera demetriaca (ad esempio piccoli porcellini) e al consumo di alimenti legati alla dea, come melograna, fico e grano. Fondamentali in tal senso sono gli ex voto ritrovati nei santuari demetriaci in quanto presentano gli attributi appena descritti.

 

Il secondo mito svoltosi sul vulcano è quello relativo alla sconfitta di Tifone ad opera di Zeus. Egli era un mostro, figlio di Gea e del Tartaro, mezzo uomo e mezzo belva, più alto di tutte le montagne, tanto che con la testa urtava le stelle, con lunghissime braccia che stese toccavano sia l'Oriente che l'Occidente, con cento draghi al posto delle dita delle mani, vipere attorno alla vita, ali e occhi che lanciavano fiamme.

 

Tanta fu la paura provata nel momento in cui il mostro attaccò il Cielo che gli stessi dei si rifugiarono nel deserto dell'Egitto, camuffando i propri corpi sotto sembianze animalesche. Soltanto Atena e Zeus resistettero e lo attaccarono: dapprima il mostro ebbe la meglio sul dio e riuscì persino a strappargli i tendini delle braccia e delle gambe, poi recuperati da Eros e Pan (o Cadmo). Recuperate le forze, Zeus lo inseguì prima sul monte Nisa, poi in Tracia e infine in Sicilia. Qui il mostro fu definitivamente sconfitto a colpi di fulmine e schiacciato sotto il monte Etna.

 

Secondo il mito, infatti, le fiamme che il vulcano erutta sono ancora quelle che Tifone vomitò al momento della sconfitta e i terremoti sono i vani tentativi di liberarsi dall‘enorme peso (Ov. met. 5, 352-358).

 

Encelado, infine, era un gigante, nato dalla fecondazione di Gea col sangue di Urano una volta evirato dal figlio Crono, uomo fino alla vita e con code di serpenti al posto degli arti inferiori, caratteristica non presente in tutte le fonti letterarie e iconografiche.

 

Egli partecipò nella lotta tra Giganti e dei e fu sconfitto da Atena, che lo sotterrò sotto la Sicilia.

Secondo il mito, infatti, l'attività vulcanica del monte e i terremoti sono frutto della sua presenza al di sotto di esso (Apollod. Bibliotheca, 1, 6, 1).

 

Ninfa, madre e terra di fuoco, l'Etna rappresenta uno dei luoghi simbolo più concreti della grandezza delle civiltà che ci hanno preceduto e, ancora oggi, fonte di ispirazione per poeti, scrittori e artisti.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Burkert, W., La religione greca (ed. it. a cura di G. Arrigoni), Jaca Book, Milano 2010, p. 448.

Cantarella, E., I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene di morte in Grecia e a Roma, Feltrinelli, Milano 2011, pp. 258-259.

Carassiti, A. M., Dizionario di mitologia greca e romana, Newton & Compton, Roma 1996, pp. 89-90; 226.

Grimal, P., Enciclopedia della Mitologia (trad. it. di P. A. Borgheggiani; ed. it. a cura di C. Cordié), Garzanti, Milano 2005, pp. 159-160; 263; 308; 470; 502-503; 613-14.

Kerényi, K., Gli dèi e gli eroi della Greci (trad. it. di V. Tedeschi), Il Saggiatore, Milano 2014, pp. 35-38.

Ramorino, F., Mitologia Classica Illustrata, Ulrico Hoepli, Milano 1984, pp. 14; 234-246.

Teocrito, Idilli e epigrammi, (trad. it. Di B. M. Palumbo Stracca), Bur, Milano 2004, vv. 45-49, pp. 212-213.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.