.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

filosofia & religione


N. 106 - Ottobre 2016 (CXXXVII)

Apel E L’etica della comunicazione

eTICA E MACROETICA DELLA RESPONSABILITÀ

NELLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA - parte iI
di Guglielmo Montuori

 

Lo scienziato è membro di una comunità argomentativa e, quindi, di una comunità reale della comunicazione con la quale deve condividere una lingua concreta: è quindi membro di una comunità ideale della comunicazione. Di conseguenza, interrogandoci sulle condizioni di validità dell’argomentare, abbiamo la possibilità di individuare i principi di un’etica universalmente valida, fondata sull’“inaggirabilità”.

 

Con questo termine Apel intende che l’argomentare deve essere inaggirabile per ognuno che argomenti e quindi per ognuno che pensi: da questo punto di vista le tradizionali argomentazioni filosofiche, da Descartes a Kant fino a Husserl, vengono giudicate inadeguate per lo scopo che Apel si prefigge.

 

La prima presupposizione inaggirabile è data dalle norme fondamentali da sempre riconosciute e relative alla comunità ideale della comunicazione e che esprimono esigenze che precedono ogni principio.

 

Fra esse vanno annoverate la giustizia e la solidarietà che consentono una soluzione pragmatico-trascendentale del problema già affrontato da Kant, vale a dire come sia possibile che l’uomo sia assoggettato alla legge morale ed insieme sia autonomo legislatore, cioè fondatore della morale stessa.

 

 Secondo Apel, Kant fallisce in questo tentativo per la netta distinzione introdotta tra l’uomo come cittadino del mondo intelligibile e l’uomo cittadino del mondo d’esperienza; superare questo rigido dualismo è essenziale come lo è il non ridurre la fondazione ultima dell’etica ad un atto di volontà o ad un atto di fede, una sorta di decisionismo.

 

La seconda presupposizione inaggirabile è quella relativa alla fondazione dell’etica che non deve ritenersi orientata in senso logico-formale, interpretata cioè in termini di argomentazione vista come derivazione di qualcosa da qualcos’altro, da cui il trilemma di Munchhausen, o regresso all’infinto per trovare la fondazione ultima.

 

La terza presupposizione inaggirabile è data dal non ricorrere a fatti fondamentali, né ontologici, né antropologici, ma muoversi in un ambito linguistico-pragmatico-riflessivo.

 

Il momento del conoscere è quindi legato al tipo di azione che metto in atto, ma al contempo è centrale il problema della motivazione, poiché è stato sostenuto che le norme individuabili tramite un percorso riflessivo-trascendentale rischiano di essere irrilevanti per la prassi di vita e anche per l’etica.

 

Questo deriverebbe dal fatto che quando nel mondo reale ci si scontra con interessi di parte, difficilmente le norme etiche rinvenute sarebbero applicabili e molti stessi filosofi sembrerebbero orientati verso l’applicazione della cosiddetta razionalità strategica, vale a dire “seguire il proprio utile”.

 

Secondo Apel non è così perché: il discorso argomentativo in campo etico non è un’impresa razionale come altre per la quale si possa decidere o meno; nel discorso argomentativo, finalizzato alla fondazione dell’etica, è interesse dei partecipanti giungere ad una definizione della questione, cioè non è come nella cooperazione strategicamente motivata dove vi può essere una riserva parassitaria: per esempio, in termini di profitto lo svantaggio di uno può diventare vantaggio di un altro; il discorso argomentativo in campo etico sembrerebbe esonerato dall’azione e, in quanto forma trascendentale riflessiva della comunicazione umana, va distinto da tutti i discorsi empiricamente dati; discorsi reali spesso fanno insorgere conflitti di natura etica e, anche se le norme inaggirabili del discorso fungono da criteri, il rapporto tra discorso ideale e discorsi reali contiene in sé la risposta riguardante la funzione di criterio delle norme del discorso argomentativo per la regolazione dei conflitti di interesse nel mondo reale. Anzi nel discorso ideale si trovano spesso le risposte ai conflitti del mondo della vita e i principi del primo vanno applicati al reale non ancora “razionale”. La morale “convenzionale”, l’“ingenua eticità sostanziale” di cui parlava Hegel, che nasce da un compromesso tra giustizia e interessi strategici di auto-affermazione degli individui e delle comunità concrete, è il punto di partenza per ogni elaborazione/applicazione dell’etica del discorso; l’etica del discorso, in quanto etica post-convenzionale della ragione, deve assumersi la responsabilità per le conseguenze derivanti dalla propria applicazione in relazione alla storia.

 

La fondazione ultima pragmatico-trascendentale dell’etica del discorso è legata a due momenti polarmente contrapposti: il primo è dato dalla comunità reale della comunicazione appartenente alla storia e l’altro è dato dalla comunità ideale della comunicazione, cioè il riferirsi a principi a priori, astrattamente intesi.

 

Ciò che emerge nel progetto delineato da Apel a livello etico è il dare peso alla norma della corresponsabilità: si tratta di una responsabilità che il singolo condivide a priori con tutti i partner del discorso, nel senso della solidarietà di una comunità tesa alla soluzione di un problema.

 

Questo significa che in tutti i discorsi pratici e in tutte le attività collettive che quotidianamente ritroviamo nella realtà, il singolo dovrebbe farsi carico della propria responsabilità coordinata con quella di tutti gli altri, in modo da fondare una macroetica planetaria dell’umanità di fronte a problemi come la crisi ecologica e i rapporti di giustizia sociale tra Nord e Sud del pianeta; il tutto al fine dell’affermazione di un diritto internazionale, nel senso di un ordinamento giuridico cosmopolitico secondo la visione kantiana.

 

Riguardo al principio di responsabilità, Apel fa riferimento al principio procedurale di universalizzazione di Habermas: “ogni norma per essere valida universalmente deve potere essere accettata da tutti i coinvolti”. (U) Da ciò deriva il seguente principio di azione (U1): “agisci secondo quella massima che possa essere accettata liberamente in un discorso reale da tutti i coinvolti”. I problemi derivanti da questa impostazione sono così definibili: come agire se i contraenti non sono disposti a una soluzione discorsiva del conflitto come ad esempio in trattative per il disarmo?; come deve agire un singolo che sia responsabile di una famiglia, di un gruppo della popolazione, ecc., quando non esiste ancora o non esiste più uno Stato di diritto?; come si è tenuti ad agire, in quanto appartenenti ad una componente privilegiata dell’umanità, quale il Primo Mondo, allorchè si è messi davanti a situazioni che vedono larghe fette di umanità escluse non solo dai beni, ma anche dalla comunicazione eticamente rilevante come nel caso del Terzo e del Quarto Mondo? Il principio non può essere applicato nei tre esempi.

 

Nel primo caso si tratta di una responsabilità politica nella quale il politico, come direbbe Machiavelli, sarebbe condannato all’insuccesso se agisse in base a principi morali. Nel secondo caso il singolo può essere costretto ad agire come agisce l’uomo politico: per esempio in un paese in cui tutto non funziona, non si pagano le tasse, c’è corruzione, un padre di famiglia può essere costretto ad adeguarsi. Nel terzo caso c’è il problema della comunicazione di fondo tra realtà strutturalmente diverse; non a caso i teologi della liberazione in America Latina si sono spinti fino al punto di definire ideologici ed eurocentrici gli sforzi degli esponenti del Primo Mondo e la stessa idea di un’etica della comunicazione, per rivendicare l’emancipazione degli oppressi dalla cultura e dalla razionalità occidentali.

 

In ogni caso si pone il problema del rapporto su scala planetaria tra il Primo Mondo e gli altri; e il problema di un’etica della comunicazione deve essere visto in questa ottica unitamente al bisogno/necessità di interpretare ed ermeneuticamente comprendere gli interessi degli esclusi senza paternalismi.

 

L’etica del discorso deve quindi tentare di astrarre dalla teoria ricollegandosi alla storia; ciò richiede il superamento della differenza esistente tra la comunità ideale della comunicazione e quella reale.

 

Razionalità comunicativo-consensuale e strategica devono essere mediate: il principio di mediazione, secondo Apel, dovrebbe consistere nel non mettere a repentaglio il destino dell’umanità, né i suoi diritti fondamentali; e la questione ecologica è paradigmatica in tal senso.

 

Al di là del rapporto tra etica deontologica e teleologica di matrice kantiana ed etica della responsabilità correlata alla storia, il “telos” è riscuotere il consenso di tutti i membri della comunità ideale del discorso, ritornando alla tradizione kantiana di un’idea di progresso eticamente fondata.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.