N. 41 - Maggio 2011
(LXXII)
l'età termidoriana
storia di un paradosso
di Rota Roberto & Nuciforo Biagio
Con
la
caduta
di
Robespierre,
il 9
Termidoro
anno
II
(27
luglio
1794),
si
apre
la
cosiddetta
età
termidoriana
che,
convenzionalmente,
comprende
gli
eventi
che
vanno
dalla
caduta
dell’Incorruttibile
al
colpo
di
stato
del
18
Brumaio
anno
VIII
(9
novembre
1799),
inizio
dell’ascesa
politica
di
Napoleone.
I
protagonisti
della
caduta
di
Robespierre
erano
stati
sia
gli
uomini
dei
comitati
rivoluzionari
e i
proconsoli
delle
province
(i
termidoriani
per
l’appunto),
sia
gli
uomini
della
Convenzione:
in
primo
luogo
i
girondini
(quelli
che
erano
sopravvissuti
al
Terrore)
e i
foglianti,
ma
anche
gli
uomini
della
Pianura.
Il
progetto
degli
ex
alleati
di
Robespierre,
cioè
gli
uomini
dei
comitati,
era
quello
di
condannare
la
tirannia
del
singolo,
ma
salvare
il
Terrore
e la
dinamica
governativa
con
esso
nata,
cioè
quella
politica
accentratrice
fatta
d’interventi
straordinari
e di
azioni
repressive
e
violente.
Chiaramente
le
forze
della
Convenzione
non
potevano
appoggiare
tale
atteggiamento,
esse
volevano
la
condanna
sia
degli
uomini
che
avevano
appoggiato
il
Terrore,
sia
delle
pratiche
arbitrarie
e
straordinarie
che
questo
aveva
introdotto
nella
politica
nazionale.
Chiaramente
la
caduta
del
“tiranno”
fu
anche
un’occasione
di
vendetta
contro
gli
uomini
che
lo
avevano
appoggiato,
e le
prime
vittime
della
reazione
furono
gli
stessi
uomini
dei
comitati,
che
avevano
sì
portato
al 9
Termidoro
ma
avevano
anche
acceso
forti
risentimenti,
che
inevitabilmente
li
travolsero.
L’età
Termidoriana
si
apre,
quindi,
con
la
necessità
di
terminare
il
“Terrore”.
La
piazza,
e
specialmente
la
jeunesse
dorée
espressione
del
risentimento
borghese,
faceva
pressioni
sulla
Convenzione
per
chiudere
la
stagione
giacobina.
Cominciò
una
vera
e
propria
campagna
contro
il
Club
di
rue
Saint-Honoré
che
fu
chiuso
nel
novembre
del
1794,
furono
reintegrati
nell’assemblea
i
girondini
espulsi
l’anno
precedente
e
molti
di
coloro
che
erano
stati
incarcerati
sotto
il
Terrore
furono
rilasciati.
La
Convenzione,
ostaggio
della
piazza
che
gridava
vendetta,
fu
costretta
a
cedere
a
tutte
le
richieste
ma
ben
presto
le
cose
cominciarono
a
cambiare.
In
risposta
alle
dure
repressioni,
ma
anche
alla
situazione
economica
e
sociale
che
si
faceva
sempre
più
drammatica,
i
vecchi
montagnardi
insorsero.
Il
12
germinale
anno
III
(1º
aprile
1795)
e il
1º
pratile
anno
III
(20
maggio
1795)
abbiamo
le
ultime
insurrezioni
giacobine,
le
quali,
però
furono
facilmente
sedate
dalla
Convenzione.
Il
pericolo
di
un
nuovo
Terrore
scatenò
le
forze
reazionarie
e la
repressione
anti-giacobina,
in
risposta
alle
sollevazioni
primaverili,
assunse
l’aspetto
di
un
vero
e
proprio
contro-Terrore,
il
cosiddetto
Terrore
Bianco.
Il
pericolo
di
una
vera
e
propria
controrivoluzione
preoccupò
gli
uomini
della
Convenzione
i
quali,
seppur
ostili
all’estremismo
giacobino,
erano
stati
i
fautori
della
Rivoluzione,
ostili
alla
monarchia
e
all’ancien
regime.
I
cosiddetti
termidoriani
(i
vecchi
proconsoli)
cambiarono
ben
presto
strategia,
abbandonando
la
violenza
della
piazza.
Lo
scopo
dell’assemblea
non
doveva
essere
semplicemente
quello
di
far
terminare
il
Terrore
lasciando
la
repressione
nelle
mani
della
violenza
delle
masse,
ma
era
necessario
terminare
la
rivoluzione,
creare
istituzioni
politico-istituzionali
che
potessero
definitivamente
dare
corpo
e
concretezza
agli
ideali
rivoluzionari.
Terminato
il
periodo
della
rivoluzione
e
della
violenza,
bisognava
dare
un
assetto
definitivo
alle
conquiste
dell’89,
bisognava
stabilizzare
la
situazione
politica,
altrimenti
il
ciclo
delle
violenza
non
avrebbe
mai
avuto
fine.
Era
necessaria
una
nuova
costituzione.
Alla
fine
del
1795
viene
sciolta
la
Convenzione
e
viene
approvata
la
Costituzione
dell’anno
III,
frutto
soprattutto
dei
termidoriani.
Essa
s’ispirava
agli
ideali
liberali
più
che
a
quelli
egalitari
e
democratici
dei
giacobini.
Erano
tutelati
i
diritti
privati
e
quelli
giuridici,
si
sottolineava
il
primato
della
legge
e la
necessità
della
separazione
dei
poteri.
Seppur
sottovalutata,
tale
costituzione
sarà
il
prototipo
delle
nazioni
liberal-democratiche
e
sarà
alla
base
di
molte
carte
costituzionali
dell’800
e
del’900.
Proprio
per
questo
la
sua
eredità
sarà
più
vasta
rispetto
alle
costituzioni
precedenti,
nonostante
queste
siano
il
simbolo
della
rivoluzione
(soprattutto
quella
del
1793,
cioè
dell’anno
I).
La
nuova
carta
prevedeva
una
rigida
separazione
dei
poteri.
Il
Legislativo
era
affidato
a
due
camere:
il
Consiglio
dei
Cinquecento
(che
propone
le
leggi)
e il
Consiglio
degli
Anziani
(che
approva
le
leggi);
l’esecutivo
a un
collegio
composto
da
cinque
direttori
(il
Direttorio).
Ogni
anno
viene
rinnovato
un
quinto
del
direttorio
(un
direttore,
dunque)
e un
terzo
dei
consigli.
Gli
uomini
della
Convenzione,
che
si
ispirano
agli
ideali
liberali
del
‘700,
si
rendono
ben
presto
conto,
però,
che
il
nuovo
assetto
istituzionale
può
essere
messo
in
pericolo
da
questi
stessi
ideali.
Non
bisogna
dimenticare
che
i
membri
delle
assemblee
erano
stati
gli
stessi
fautori
del
Terrore
e
per
questo
invisi
alla
popolazione.
Dunque,
nel
caso
in
cui
le
votazioni
fossero
state
completamente
libere,
la
popolazione
avrebbe
probabilmente
eletto
non
loro,
ma i
ceti
moderati,
soprattutto
i
monarchici
costituzionali.
La
repubblica,
paradossalmente,
era
messa
in
pericolo
dagli
stessi
ideali
liberal-democratici
a
cui
si
ispirava.
Era
necessario,
quindi,
limitare
temporaneamente
la
libertà
di
voto
affinché
gli
ideali
repubblicani
si
fossero
ben
radicati
nella
popolazione
e
questa
avesse
pienamente
appoggiato
le
nuove
istituzioni.
Si
cercò
di
risolvere
la
situazione
limitando
la
libertà
di
scelta
nelle
votazioni.
Il
“decreto
dei
due
terzi”,
prevedeva,
infatti,
che
solo
un
terzo
degli
uomini
dei
consigli
potessero
esser
scelti
liberamente,
mentre
due
terzi
dovevano
esser
scelti
tra
gli
uomini
della
stessa
Convenzione.
Si
cercava,
in
questo
modo,
di
dare
una
qual
certa
continuità
alla
classe
politica
rivoluzionaria,
senza
cedere
alle
classi
reazionarie
e
moderate
(tra
cui
vi
erano
moltissimi
monarchici).
Il
decreto
passò
ma
la
reazione
realista
non
si
fece
attendere:
il
13
vendemmiaio
anno
IV (
5
ottobre
1795)
le
milizie
legittimiste
insorsero.
La
reazione
della
Convenzione
fu
violenta,
la
rivolta
fu
repressa
nel
sangue
da
un
giovane
generale
Napoleone
Bonaparte.
La
nuova
Costituzione
era
salva.
Nonostante
il
compromesso
dei
due
terzi,
si
apriva
una
nuova
stagione
liberal-democratica,
ma
sarebbe
durata
poco.
Il
problema
principale
era
la
sfasatura
tra
le
istituzioni
e il
paese.
Gli
uomini
delle
assemblee,
figli
e
padri
della
rivoluzione
erano
repubblicani,
mentre
il
paese
diventava
sempre
più
monarchico.
Probabilmente
l’atteggiamento
popolare
era
una
reazione
alla
violenza
rivoluzionaria
più
che
un’espressione
di
legittimismo,
infatti
la
tendenza
principale
era
quella
al
moderatismo.
Da
qui
il
paradosso
dell’età
termidoriana:
gli
uomini
della
Convenzione
vogliono
chiudere
la
stagione
delle
violenze
con
la
creazione
di
istituzioni
che
rendano
effettive
le
conquiste
politico-sociali
della
rivoluzione.
Essi
sono
dei
moderati.
Il
popolo
vuole
tornare
alla
tranquillità
dopo
gli
eventi
del
Terrore
e
allo
stesso
tempo
vuole
conservare
i
nuovi
diritti
che
l’89
ha
portato.
Anch’esso
è
moderato.
A
dividere
le
istituzioni
dalla
nazione
era
il
ricordo
della
tirannia
di
Robespierre.
La
nazione
non
si
fidava
più
della
sua
classe
politica,
che,
in
gran
parte,
era
la
stessa
del
‘93.
Pensava
di
trovare
un
appoggio
nei
moderati
monarchici
(quelli
costituzionali),
e
questi
ultimi
non
mancarono
di
strumentalizzare
tale
appoggio.
Non
ci
si
rese
conto
che
molti
dei
moderati
erano
legittimisti,
e la
loro
ascesa
nelle
assemblee
(attraverso
le
votazioni)
avrebbe
portato
quasi
sicuramente
alla
restaurazione
monarchica.
Assemblee
e
cittadini
volevano
la
stessa
cosa
ma
il
Terrore
aveva
reso
tutti
ciechi.
Pensando
di
difendere
i
loro
nuovi
diritti,
il
popolo
appoggiò
i
monarchici,
non
rendendosi
conto
che
una
controrivoluzione
avrebbe
affossato
gli
ideali
della
rivoluzione,
ideali
che,
se
separati
dalla
violenza
rivoluzionaria,
rappresentavano
un
grande
traguardo
nel
cammino
dell’umanità.
Essi
erano
i
diritti
universali
che
l’uomo
e la
donna,
indipendentemente
dal
loro
ceto,
possedevano
un
quanto
essere
umani.
Il
paradosso
dell’età
termidoriana
non
aveva
soluzione
poiché
non
erano
ancora
diffusi,
nella
nazione,
quegli
ideali
repubblicani
che
avrebbero
permesso
alle
istituzioni
di
sopravvivere.
La
nazione
e la
Convenzione,
entrambi
moderati,
non
s’incontrarono
mai,
divisi
com’erano
nella
paura
del
ricordo.
I
tempi
erano
ancora
immaturi.
Inoltre
la
situazione
era
resa
ancora
più
difficile
dai
difetti
intrinseci
della
costituzione
dell’anno
III.
Nel
nuovo
assetto
istituzionale,
infatti,
non
era
previsto
alcun
rimedio
nel
caso
in
cui
i
poteri
dello
stato
(nella
fattispecie
esecutivo
e
legislativo)
fossero
entrati
in
conflitto
tra
di
loro.
Le
assemblee
legislative
diventavano
sempre
più
monarchiche
(a
causa
delle
elezioni
espressione
della
volontà
popolare),
mentre
il
direttorio
conservava
ancora
un
forte
spirito
repubblicano.
Nelle
elezioni
del
marzo
1797
la
sinistra
conservò
soltano
6
dipartimenti
su
106,
e
già
si
profilava
una
nuova
stagione
di
Terrore
bianco.
A
questo
punto
i
direttori
Barras,
Reubell
e La
Reveillière-Lépeaux,
con
l’appoggio
di
Bonaparte
fecero
arrestare
molti
esponenti
di
destra,
sia
moderati
che
realisti.
Con
il
colpo
di
Stato
del
18
fruttidoro
anno
V (4
settembre
1797)
il
Direttorio
era
salvo,
ma
aveva
perso
il
suo
spirito
legale
e
liberal-democratico
e si
appoggiava,
sempre
più
sull’esercito.
L’esito
della
vicenda
era
ormai
già
scritto
e
avrebbe
portato
direttamente
al
dominio
del
generale
Bonaparte.
Quando,
nel
1799
il
nuovo
direttore
Seyes,
con
il
colpo
di
Stato
del
18
brumaio
anno
VIII
(9
novembre
1799),
cercherà
di
modificare
nuovamente
la
costituzione
per
rafforzare
i
poteri
del
Direttorio
a
discapito
delle
assemblee
moderate
e
monarchiche,
sarà
scavalcato
dallo
stesso
Bonaparte
il
quale,
strumentalizzando
la
riforma
costituzionale
di
Seyes
porrà
nel
Consolato
(creato
con
la
costituzione
dell’anno
VIII,
cioè
1799)
la
premessa
dell’Impero.