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N. 64 - Aprile 2013 (XCV)

Un'eredità avvelenata - parte ii
Molfetta, Torre di Gavetone

di Laura Ballerini

 

Come è bello tuffarsi nello splendido mare pugliese, salvo poi scoprire che sotto le tonnellate di acqua e sabbia si nascondono circa 30mila ordigni militari, di cui 10mila solo nel porto di Molfetta, di fronte Torre Gavetone.

 

Allo stesso modo 4300 bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate all’arsenico osservano, celate dalla sabbia, i tanti bagnanti pesaresi.

 

 Mentre Totò, Sofia Loren e Mastroianni scrivevano la storia del cinema tra gli scenari di Napoli, il meraviglioso Golfo covava sotto la sabbia 13mila proiettili, 438 barili di iprite e ordigni chimici contenenti fosgene e lewisite.

 

Farsi una nuotata nel Lago di Vico, prima Riserva Naturale del Lazio, vuol dire sguazzare tra arsenico, cadmio e piombo e la valle della Ciociaria, così verde e rigogliosa agli occhi, è in realtà contaminata da sostanze tossiche.

 

Tutto questo viene spiegato nel dossier Armi chimiche: un eredità ancora pericolosa, redatto nel 2012 dal Comitato Nazionale Bonifica Armi Chimiche (CNBAC) e Legambiente, volto a diffondere verità nascoste sulla condizione ambientale che molti siti italiani hanno ereditato dalla seconda guerra mondiale e dal fascismo.

 

Dalla data di uscita del dossier a oggi ci sono state alcune novità che verranno riportate insieme a una panoramica più approfondita di queste vicende.

 

Puglia. Torre di Gavetone, Molfetta. Durante il secondo conflitto mondiale, più precisamente il 2 dicembre del 1943, un bombardamento tedesco affondò 17 navi attraccate nel porto di Bari, molte delle quali statunitensi, contenenti bombe all’iprite, un gas altamente tossico, e altri aggressivi chimici come l’acido clorosolforico, la cloropicrina e il cloruro di cianogeno. Tre anni più tardi, nel 1946, quando la Puglia era ancora sotto l’occupazione anglo-americana, un medico dell’Ospedale Civile di Molfetta registrò i primi casi di contaminazione da gas tossici vescicanti e in conseguenza a ciò, nel 1947 iniziarono le operazioni di bonifica.

 

Quest’ultime, però, si limitarono a prelevare gli ordigni dal fondale del porto di Bari– 15.551 bombe d’aereo e 2.533 casse di munizioni – per affondarli nuovamente più a nord, al largo di Torre di Gavetone, un area del litorale di Molfetta, che divenne dunque una discarica chimica. A queste bombe inabissate si aggiunsero in seguito quelle sganciate dai caccia della Nato durante la guerra in Kossovo (1998-99).

 

Una mappa diffusa dalla Capitaneria di Porto di Molfetta nel 1999, indica infatti 11 aree del basso Adriatico per il rilascio di ordigni inesplosi, probabilmente caricati di uranio impoverito. Successivamente tale mappa venne disconosciuta dalle autorità, ma i successivi ritrovamenti delle bombe tra le reti dei pescatori, proprio in quei luoghi, sembrano invece accreditarne la legittimità.

 

La bonifica di tutte queste aree non è ancora avvenuta e i pescatori continuano a trovare più bombe che pesci.

 

Nel 2001 vennero stanziati 5milioni di euro per il “Risanamento delle Aree Portuali (non tutte quindi) del Basso Adriatico”, individuando poi (2006) nella Puglia la regione più interessata. Nel 2008, nonostante la bonifica in corso, il mare di Molfetta venne contaminato dalle fioriture di un alga tossica (Ostreopsis ovata), probabilmente legata alle sostanze chimiche provenienti dal carico militare inabissato, che compromise la salute degli abitanti, umani e marini.

 

Nel febbraio 2009, la Giunta della Regione Puglia individuò come aree d’intervento della prima fase di bonifica quelle comprese tra il faro di Vieste e Capo d’Otranto, e quindi il Porto Vecchio di Manfredonia, l’area portuale di Molfetta, Porto nuovo di Bari e l’isolotto di Sant’Emiliano. Nel novembre dello stesso anno i risultati delle analisi parlano di 10.000 ordigni ritrovati nell’area del porto di Molfetta.

 

 Le operazioni di bonifica, tutt’ora in corso, sono rese più difficili dalle pessime condizioni degli ordigni e dalla pesca a strascico che ha ampliato l’area di deposito militare.

 

Dal 2011, per più periodi, è stata vietata la balneazione nello specchio di mare antistante Molfetta e Torre di Gavetone.

 

Oggi l’attivismo non si ferma e gli incontri con i cittadini continuano, nella speranza di poter tornare a vedere pulito il proprio mare.



 

 

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