[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

195 / MARZO 2024 (CCXXVI)


antica

Eliogabalo e il culto del Sole
Da Artaud alle testimonianze storiche
di Alessio Guglielmini

 

La prima fonte di questo testo non è propriamente storica, ma aiuta a decifrare il senso di rottura rappresentato dal culto eliaco portato dall’imperatore Eliogabalo, nato Sesto Vario Avito Bassiano, a Roma, durante la breve stagione del suo impero (218-222). “Eliogabalo ha intrapreso una demoralizzazione sistematica e allegra dello spirito e della coscienza latini; e avrebbe spinto all’estremo questa sovversione del mondo latino se avesse potuto vivere abbastanza a lungo per condurla a buon fine”. Queste parole si devono ad Antonin Artaud e al suo Eliogabalo o l’anarchico incoronato (cit. p. 110), eloquente testo del 1934 da cui emerge tutta la spregiudicatezza cultuale del novello imperatore di origine siriana.

Bassiano, investito sacerdote del dio ad appena cinque anni, approfitta dell’abilità della madre Giulia Soemia e della nonna Giulia Mesa, che lo presentano ai legionari quale figlio illegittimo di Caracalla. Eletto imperatore a 14 anni, in contrapposizione a Macrino, già prefetto del pretorio proprio sotto Caracalla, Bassiano si libera dell’antagonista e trasferisce da Emesa, per condurla nell’urbe, la pietra nera che incarna il dio solare El-Gabal. Nelle vesti di Augusto, Bassiano diventa Eliogabalo, tutt’uno col dio.

 

Lo storico antico Elio Lampridio, principale testimone di Artaud, allude ai variegati interessi cultuali di Bassiano, tra cui le iniziazioni ai misteri di Cibele, che quasi lo portano all’evirazione sull’esempio dei galli, i sacerdoti della dea, con trasferimento del simbolo della Magna Mater nel tempio del proprio dio, eretto sul Palatino in sostituzione di quello di Giove. La pietra nera della Frigia, che a Roma era arrivata da Pessinunte in età repubblicana (era il 204 a.C.) per proteggere la romanità dalla minaccia annibalica, viene dunque accostata a un altro betilo, la pietra nera che rappresenta il dio solare di Emesa e che, per via dei grafismi che ne istoriano la superficie, rimanda a un qualche sembiante antropomorfico.

 

Tutti i culti romani, da Jupiter a Vesta, vengono da quel momento fatti ricadere sotto il cappello del nuovo idolo solare; l’immagine più famosa è quella dell’imperatore che segue adorante un cocchio trainato da cavalli, e adornato di oro e gioielli, su cui si erge l’iconica pietra di Emesa. Augusto Cosentino (Culto solare severiano e monoteismo costantiniano: alcune osservazioni metodologiche, p. 125), rifacendosi sempre a Lampridio, parla di “una operazione di ingegneria religiosa”, finalizzata a fondere non solo le istanze greco-latine ma anche le religioni dei giudei, dei samaritani e dei cristiani.

 

Le osservazioni metodologiche, da cui il riferimento nel titolo, concernono lo schema interpretativo nel quale far rientrare l’irriverenza cultuale del giovane Bassiano. L’ipotesi dell’enoteismo, termine coniato da Max Müller a proposito delle divinità vediche, in cui una momentanea concentrazione della propria devozione verso un solo dio non esclude l’esistenza di altri numi, sembra sposarsi all’ingegneria di Eliogabalo, laddove Peter Van Nuffelen preferisce parlare di “panmonoteismo” (pp. 127-128).

 

Fattori quali la forza della molteplicità e la generazione di acute tensioni tenute insieme da un sofferto tentativo unificatore emergono anche dalla prosa di Artaud che nell’audace disgregazione delle regole di Eliogabalo rinviene un piano portato all’eccesso: “Tutta la vita d’Eliogabalo è anarchia in atto, poiché Elagabalus, il dio unitario, che riunisce l’uomo e la donna, i poli ostili, l’UNO e il DUE, è la fine delle contraddizioni, l’eliminazione della guerra e dell’anarchia, ma per mezzo della guerra, ed è anche, su questa terra di contraddizioni e di disordine, la messa in opera dell’anarchia. E l’anarchia, al punto cui Eliogabalo la spinge, è poesia realizzata.” (Eliogabalo, cit. p. 98).

 

Qui si manifestano anche le urgenze della liturgia letteraria di Artaud che coglie nell’esperienza di Eliogabalo un esperimento di vita che è sia esoterico che vitalistico. L’interesse di Artaud, come sottolinea Albino Galvano nella prefazione (IX-XXII), si spinge ben oltre il decadentismo di facciata, abbracciando problematiche di “metafisica sacrale” (p. XI), che vengono del resto confermate dalle appendici pubblicate in coda all’opera, dove Artaud indaga, pur brevemente, “La religione del Sole in Siria”, “Lo Zodiaco di Ram”, la divisione simbolica tra il maschile e il femminile nella cultura indù (“Lo Scisma d’Irshu”), sulle tracce dell’emblematico Fabre d’Olivet, a sua volta cultore di dottrine esoteriche ed occulte.

 

L’interesse sincero di Artaud per simili materie non può che fabbricare cronache di “storia e fantastoria” (Galvano, p. XII), sputate fuori da quel coacervo che è la stagione incandescente di Eliogabalo a Roma. La religiosità carnale, orgiastica e licenziosa, di Eliogabalo si espande in più direzioni, tra accenni di legittimazione politica (il primo matrimonio con l’aristocratica Giulia Cornelia Paula) e sovvertimenti scandalosi delle tradizioni romane, come le seconde nozze con la vestale Aquilia Severa che, in quanto tale, aveva fatto rigoroso voto di castità.

 

Dione Cassio, altro storico a supporto di Artaud, rimprovera l’atto sacrilego e blasfemo (Eliogabalo, p. 119). L’ambizione di far convergere, attraverso riti ierogamici specifici, la pluralità degli innesti religiosi è una costante di Eliogabalo, se l’Historia Romana di Dione viene ripresa anche dal Cosentino per ricordare le nozze fatte celebrare dall’imperatore tra il suo dio e la romana Minerva o la cartaginese Urania (Culto solare severiano, p. 127). Le relazioni di Bassiano/Eliogabalo con due uomini, Ierocle e Zotico, su cui chiaramente si sofferma anche Artaud, contribuiscono ad alimentare il suo profilo pansessuale, in un costante tentativo di riunire in sé stesso, o attraverso l’interpolazione con il divino, quelli che lo scrittore francese ha, significativamente, definito “poli ostili”.

 

Più caute, regolari, anche quando impreviste, appaiono le successive commistioni con il culto del dio solare siriaco, in quel secolo di “anarchia militare” cristallizzato dalla definizione di Michail Rostovzev. Emesa, patria del meteorite innalzato ai massimi livelli da Eliogabalo, che quella stessa pietra aveva riaccolto dopo la sommaria eliminazione dell’imperatore sacerdote a favore del cugino Alessandro Severo, torna a far parlare di sé durante la breve salita al potere di Uranio Antonino. I fatti si verificano nel 253, una trentina d’anni dopo la morte di Bassiano, allorché gli abitanti di Emesa si difendono dall’attacco del re Sapore e dei suoi Persiani.

 

Laura Mecella (A proposito di Malala, chron. XII 26: Uranio Antonino e i contadini di Emesa) contestualizza le vicende riportate dallo storico siriaco del Cinquecento Giovanni Malala, a proposito della coraggiosa resistenza capeggiata dal sacerdote di Afrodite Sampsigeramo (p. 80), fino a far coincidere quest’ultimo con Uranio, soprattutto in virtù delle fonti numismatiche già studiate da Hans Roland Baldus, “dove a partire dalla prima serie di tetradracmi l’imperatore è rappresentato come incarnazione del dio Helios” (cit. p. 89).

 

Questa usurpazione, secondo la Mecella, andrebbe rapportata all’assenza sul posto di legioni romane che avrebbe costretto il sacerdote di Eliogabalo (già sacerdote di Astarte, equivalente dell’Afrodite menzionata da Malala) a guidare la rivolta di contadini e soldati improvvisati contro gli invasori persiani. Non un calcolato piano di sovvertimento politico, bensì un vuoto di potere che aveva tuttavia condotto un altro emesino alla conquista di un’autorità posta sotto la tutela del dio solare: “Uranio Antonino realizzava così, come prima di lui Elagabalo, «quell’unità di basileia e di sacerdozio che costituiva la peculiarità del servizio divino in antichi santuari dell’Oriente ellenistico».” (Mecella, cit. pp. 92-93, con riferimento alle considerazioni di Mario Mazza in La dinastia severiana: da Caracalla a Severo Alessandro).

 

Le attestazioni numismatiche e la cronaca di Malala vengono riprese anche da Bruno Overlaet, A roman emperor at Bishapur and Darabgird: Uranius Antoninus and the black stone of Emesa. Oltre a tratteggiare la saga dell’usurpatore Uranio, sempre sulla scorta del Baldus, Overlaet recupera le gestualità del culto di Eliogabalo/Bassiano e altre iconografie relative alla pietra nera, comprese le monete fatte coniare da Caracalla. Ricorda inoltre come Alessandro Severo fosse stato iniziato lui stesso al culto del dio solare, predisponendo il rientro della pietra nera ad Emesa dopo l’uccisione del cugino.

 

Lo zampino di Emesa ritorna una ventina d’anni dopo, allorché l’imperatore Aureliano, nel 272, conduce una campagna militare contro Zenobia, regina di Palmira. Gli emesini forniscono un’alleanza decisiva e Aureliano, prima della battaglia, in anticipo di una quarantina d’anni sulla visione di Costantino nella celebre battaglia di ponte Milvio, ammette di aver visualizzato, in segno di buon augurio, il dio sole venerato ad Emesa.

 

La conseguente istituzione del culto del Sol Invictus operata da Aureliano viene indirizzata in una traiettoria normalizzante, riscuotendo il consenso di buona parte degli ambienti dell’impero e preparando il terreno all’unificazione cultuale promossa dallo stesso Costantino, in cui il Sol Invictus è elemento significativo, anche nella graduale affermazione del cristianesimo come religione ecumenica (Johannes Wienand, Costantino e il Sol Invictus). Le stravaganze di Eliogabalo-Bassiano, i suoi eccessi esotici ed erotici, con la conseguente damnatio memoriae riversata sull’eredità del suo rapido impero, hanno evidentemente indotto i suoi successori a maneggiare con più prudenza le facoltà messe a disposizione dal culto solare del vicino Oriente.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Antonin Artaud, Eliogabalo o l’anarchico incoronato, Adelphi, Milano, 2003

Augusto Cosentino, Culto solare severiano e monoteismo costantiniano: alcune osservazioni metodologiche in La Chiesa nel Tempo, Rivista trimestrale di cultura cattolica, Anno XXIX, N. 1-2/2013, pp. 119-132, Laruffa Editore, Reggio Calabria, 2013

Laura Mecella, A proposito di Malala, chron. XII 26: Uranio Antonino e i contadini di Emesa in Bizantinistica – Rivista di Studi Bizantini e Slavi, pp. 79-109, Serie Seconda, Anno XI, 2009, Fondazione Centro Italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 2009

Bruno Overlaet, A roman emperor at Bishapur and Darabgird, Uranius Antoninus and the black stone of Emesa, in Iranica Antiqua, vol. XLIV, pp. 461-530, 2009

Johannes Wienand, Costantino e il Sol Invictus in Costantino I-Enciclopedia costantiniana sulla figura e l’immagine dell’imperatore del cosiddetto Editto di Milano 313-2013, Volume primo, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma, 2013

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]