[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

185 / MAGGIO 2023 (CCXVI)


medievale

SUl Dizionario dell’Occidente medievale
Un nuovo modo di NARRARE

di Alessio Guglielmini

 

Venti anni fa anni fa veniva edito da Einaudi il Dizionario dell’Occidente medievale, una poderosa ricostruzione di dieci secoli di storia che rappresentò anche un paradigmatico esempio di approccio e di metodologia. I curatori dell’opera, Jacques Le Goff e Jean-Claude Schmitt, due dei nomi più noti della medievistica francese, nella prefazione ne confermavano l’ispirazione principale, rievocando l’esperienza degli Annales di Marc Bloch e lo spirito del suo Apologia della storia, nonché citando un altro illustre connazionale del ramo, Georges Duby.

 

Ciò nonostante, il Dizionario non si proponeva come un manifesto della scuola di studi medievali transalpini, piuttosto come «una koiné di storici, di concezioni del “mestiere” e di metodi universalmente condivisi», principi che venivano rivendicati in apertura, nel segnalare un lavoro di concerto che coinvolgeva, per un quarto, collaboratori stranieri, tra cui otto studiosi italiani. Per dirla tutta, il Dizionario non era neanche tale, benché ne seguisse alcune fondamentali regole. Il corpus, organizzato in due volumi, effettivamente rispettava grossomodo la tradizionale scansione enciclopedica A-L M-Z, ma non si costruiva sulla collezione di voci didascaliche e inerti, prediligendo un atteggiamento dinamico e critico che sbrogliava, attraverso dei veri e propri saggi, il gomitolo della società e della vita medievali.

 

Tale gomitolo si biforcava spesso in percorsi paralleli o antitetici. Il Dizionario non poteva fare a meno delle coppie: “Chierici e laici”, “Libertà e servitù”, “Maschile/femminile”, “Scritto/orale”, erano alcune delle opposizioni che esemplificavano i titoli e le traiettorie dell’opera. A ciò che per sua stessa natura era ambivalente i vari studiosi chiamati nel progetto affiancavano luoghi ricorrenti come il “Castello”, la “Cattedrale” oppure funzioni ed esperienze umane che non erano esclusivamente medievali, ma che nel corso del Medioevo assunsero una particolare connotazione: “Alimentazione”, “Sessualità”, “Violenza”.

 

Se alcune voci erano “inevitabili”, richiamando le principali istituzioni dell’età di mezzo (“Chiesa” e “Impero”), ciò non toglie che gli stessi ambiti potessero essere affrontati da altri ingressi che ne rivitalizzavano il substrato. Ecco che la Chiesa e il papato, in quanto realtà politiche e amministrative, venivano esposte al confronto con il patrimonio soprannaturale che li presupponeva dal di fuori: Dio, in quanto intelligenza governatrice di un sistema che non lo intese mai come ente isolato; il Diavolo, in quanto “principe di questo mondo”. Una tensione ritrovata nella contesa corpo-anima, approfondita proprio da uno dei saggi di Schmitt del Dizionario.

 

Il fuori soprannaturale era del resto indagato fin dalla prima voce dell’opera. Era l’altro curatore, Le Goff, a occuparsi dell’aldilà, delle sue intromissioni e della sua geografia, citando sé stesso allorché si soffermava sul terzo luogo fatidico, il Purgatorio. Era stato proprio Le Goff, nel 1981, a teorizzare, con La nascita del Purgatorio, la fine del monopolio di un aldilà bipolare, eretto sull’opposizione manichea tra Paradiso e Inferno.

 

La dicotomia costante che metteva in relazione l’uomo medievale con i messaggeri incorporei, angeli e demoni, e le fenomenologie sottili, quali i miracoli e i sogni, diventava, lungo le voci del Dizionario, la dialettica di una contrapposizione che, più in generale, determinava il senso critico del rapporto che si veniva a stabilire con ciò che era sconosciuto o diverso, perfino in terra. Sempre Le Goff, sotto il capitolo “Centro/periferia”, andava a delineare il territorio liminale come “uno spazio di meraviglie e di orrori, di eroi e di mostri”.

 

Questa alterità ricadeva, nel secondo volume, sui “Marginali” esplorati da Hanna Zaremska. Tra di loro trovavano posto i lebbrosi, gli eretici, ma pure il bandito, inteso quale novello Caino. Il bandito, nello specifico, era già morto socialmente, non esisteva per la giustizia, non aveva nemmeno diritto a una sepoltura, al punto che il suo cadavere “era consegnato agli uccelli, ai pesci e agli animali della foresta”. La Zaremska annoverava in questa categoria anche coloro che sopravvivevano con i cosiddetti mestieri infami: usurai, prostitute, giocolieri.

 

L’alterità affrontata dal Dizionario era inoltre di natura culturale e politica. In taluni casi, le distanze si dovevano a un senso di superiorità “tra fratelli”. In apertura del saggio “Bisanzio e l’Occidente”, Michel Balard e Alain Ducellier sottolineavano la “cecità geografica” dei Bizantini che derubricavano come “Barbarie periferica”, emondo del caos, gli spazi esterni all’Impero che faceva riferimento a Costantinopoli. Questo declassamento sfociava anche in “un tenace disinteresse verso l’Occidente”, tanto da far dire ancora ad Anna Comnena, storica e figlia del basileus Alessio, che l’imperatore Enrico IV dominava i “capi delle regioni celtiche”, un’approssimazione che era sinonimo di un persistente provincialismomentale.

 

L’alterità diventava tanto più evidente quando ci si rapportava agli antagonisti. Pierre Guichard, sotto la voce “Islam”, indugiava sui parallelismi che sussistevano tra la Reconquista e gli impulsi che stimolarono la prima crociata, senza ignorare tuttavia anche i floridi punti di contatto commerciali e culturali che alimentavano l’“arabismo” della corte di Palermo o l’intellettualismo arabo-musulmano di un Raimondo Lullo. La stessa definizione di un nemico comune aveva un pregnante valore per un’Europa che si riconosceva e cementificava in senso unitario di fronte alla forza contendente rappresentata dall’Islam.

 

Franco Cardini, con il contributo “Guerra e crociata”, analizzava la formazione di un cristianesimo militante, costruito sui valori cavallereschi che venivano, via via, proiettati in direzione del sanctum bellum che trovava la sua fatidica promozione verbale per bocca di Urbano II, nel novembre del 1095, in occasione del concilio di Clermont, in Alvernia. Se appare improbabile un appello diretto alla conquista della Terrasanta, «in quella sede fu comunque posata, con un espediente destinato forse principalmente alla “esportazione della violenza” oltre i confini dell’Europa occidentale, la prima pietra di quelle che si sarebbero poi chiamate le crociate».

 

A fianco di un Islam che si esprimeva a ravvicinata distanza ed entrava in contatto con l’Occidente medievale, tramite una forza militare e politica ben delineata, il Dizionario esaminava la più incerta condizione degli Ebrei. La Zaremska li inseriva nella schiera dei “Marginali”, insieme a eretici ed empi. Se gli eretici erano “oppositori interni alla Chiesa”, gli Ebrei venivano colpevolizzati ed emarginati perché su di loro pendeva l’accusa di aver favorito la crocifissione di Cristo. Maurice Kriegel, sotto la voce “Ebrei”, approfondiva il fenomeno, distinguendo «un primo Medioevo in cui, tutto sommato, comunità ebraiche e società maggioritarie vivevano in una vicinanza sostanzialmente libera da tensioni, e un altro Medioevo, quello che ha inizio nel XII secolo«. Risaliva al 1144, su territorio inglese, la prima famigerata accusa di omicidio rituale rivolta agli Ebrei.

 

Il Dizionario, oltre a investigare la vivacità della vita medievale, mediante i suoi antagonismi, suggeriva l’analisi di fenomeni specifici che tagliarono trasversalmente i secoli, tra normalità e simbolizzazione. “Caccia” era il titolo sotto al quale Alain Guerreau faceva confluire anche esigenze di metodo, volte a confutare stereotipi e spiegazioni errate. La caccia non era, ad esempio, finalizzata a procacciarsi la carne da mangiare: «Lo studio di conti domestici signorili della fine del Medioevo ha rivelato con evidenza che le carni acquistate appartenevano per lo più ad animali da macello». La nutrita presenza di venaison sulle tavole signorili della letteratura cortese rientrava dunque in un codice prettamente simbolico.

 

La ricostruzione antropologica e sociologica che il Dizionario applicava in casi circostanziati come quello della caccia veniva rinvenuta anche in questioni generali che legano la storia medievale a quella universale. Sempre Le Goff chiudeva il primo volume con la voce “Lavoro”, termine che, nella sua moderna accezione, non comparve peraltro prima della fine del Quattrocento, benché nella prassi ciò che noi intendiamo per lavoro, nell’abituale associazione dell’uomo all’utensile e alla macchina, fosse già in atto da diversi secoli. Parlare di lavoro in senso medievale significava transitare da un esame tecnologico al versante sociale, fino a ispezionare alcuni aspetti ideologici e mentali. Ecco che ai mestieri indegni segnalati dalla Zaremska se ne aggiungevano altri, a causa della contaminazione che essi comportavano: i chirurghi e i macellai si imbrattavano con il sangue, così come i tintori e i lavapiatti si mescolavano alla sporcizia. La contaminazione poteva essere anche “epidermica”, nel caso degli albergatori, abituati a incontrare e ospitare stranieri e prostitute.

 

Bastino questi cenni, tra i tanti possibili, per sancire la vitalità di una raccolta di studi che, accavallandosi e parlandosi, finivano per completarsi a vicenda. Ogni saggio presentava in calce i riferimenti delle altre voci del Dizionario che valeva la pena di recuperare per intrecciare rilievi e informazioni complementari. Il Dizionario soddisfaceva inoltre l’aspirazione interdisciplinare posta alla base della miscellanea curata da Le Goff e Schmitt, secondo le direttive di quella che venne definita “antropologia storica” e prendendone a prestito modelli e metodi.

 

Un’ambizione che concerneva infine il ripensamento del mestiere dello storico, se è vero che Le Goff e Schmitt, sempre dalle pagine della prefazione, ricordavano come sia «appunto la dialettica fra presente e passato, fra la storia nella quale viviamo e la storia che cerchiamo di scrivere, a spiegare come mai il cantiere non si chiuda mai e perché ogni generazione di storici lo riprenda per conto proprio».

 

 

Riferimenti bibliografici:  

 

Dizionario dell’Occidente medievale, Vol. 1-2, a cura di Jacques Le Goff e Jean-Claude Schmitt, Einaudi, Torino 2003.

Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino 2009.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]