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N. 13 - Giugno 2006

LA DISFIDA DI BARLETTA

Tredici italiani contro tredici francesi

di Matteo Liberti

 

Si era nell’anno 1503 d.C..

Il giorno era quello del 13 febbraio.

Il luogo, Barletta.

 

Qui, nella piana delimitata dalle località di Andria e Corato, quel giorno, si svolse una leggendaria giostra di cavalieri.

Tredici cavalieri italiani, tredici cavalieri francesi.

 

Il pretesto furono alcune parole d’oltraggio verso il valore italiano pronunciate da Charles de la Motte.

La disfida si concluse con la vittoria italiana.

 

I tredici protagonisti furono: Ettore Fieramosca; Ettore Giovenale; Fanfulla da Lodi; Francesco Salomone; Giovanni Brancaleone; Giovanni Capoccio; Guglielmo Albamonte; Ludovico Abenevole; Marco Corollario; Mariano da Sarno; Miale da Troia; Riccio da Parma; Romanello da Forlì.

 

Facciamo ora, per capire al meglio quell'evento, un piccolo salto indietro, ad osservare la situazione politica e culturale italiana intorno al 1500. La città di Barletta era allora una roccaforte ricca e potente, sia sulla costa adriatica che nell'entroterra pugliese. Le sue vie erano piene di mercanti ed abitate da importanti casate nobiliari. Nel suo porto confluivano navi provenienti da Venezia, da Trieste e da Ragusa.

La futura Italia era invece testimone triste degli interessi di potenze straniere. Francesi e spagnoli erano ospiti fissi, indesiderati e guerreggianti, particolarmente nel regno di Napoli.

 

All’inizio del secolo gli ospiti francesi, con il tacito appoggio del papa Luigi XII, erano riusciti a conquistarsi importanti avamposti nel nord Italia, tra cui la città di Milano.

La rivalità dell’esercito spagnolo li costrinse però ad un compromesso, il celeberrimo Trattato di Granata (firmato segretamente nell’inverno del 1500), con il quale si stabiliva la spartizione dell’Italia del sud, con le odierne Calabria e Puglia in mano spagnola e l’Abruzzo e la Campania in quella francese.

E fu proprio da questa spartizione che si crearono le premesse per l’evento oggetto di questo piccolo approfondimento: la Disfida di Barletta.

 

L’accordo divenne presto disaccordo, soprattutto a causa dello scontento di molti baroni ed influenti signori del regno di Napoli. La tensione progressiva si suggellò in alcune battaglie che videro tra gli altri protagonista Ettore Fieramosca.

Nel frattempo aumentavano gli scontri tra gli eserciti francese e spagnolo, con continui sconfinamenti in aperta contraddizione col trattato.

 

A volte, anziché la battaglia in campo aperto, si ricorreva all’ambito cavalleresco, con sfide tra cavalieri francesi e spagnoli, come quella che si svolse nella città di Trani, in cui, tra i ventidue cavalieri protagonisti (undici per parte) non si riuscì però a definire alcun vincitore.

 

Gli scontri fra le parti avverse s'intensificarono nelle nuove zone di guerra generate dal trattato di Granata. Barletta era al centro di molti di questi scontri.

 

I francesi stavano intanto rinforzando la presenza delle loro truppe nelle zone di confine, con gli spagnoli che presero presto ad imitarli.

Fu a questo punto che entrò in gioco definitivamente la città di Barletta. Fu qui, infatti, che gli spagnoli decisero di stabilire il loro quartier generale, da dove poter amministrare i possedimenti del Regno di Napoli e comandare i propri eserciti.

 

I francesi si erano nel frattempo spinti fino a Canosa, dove alcuni di loro vennero fatti prigionieri dagli Spagnoli comandati da Diego de Mendoza. Tra i prigionieri vi era Charles de Tongue, detto Monsieur de La Motte, tra i più prestigiosi dei cavalieri d’oltralpe. Tutti quanti vennero condotti a Barletta.

 

Le regole cavalleresche sul trattamento dei prigionieri avrebbero fatto decidere che la situazione fosse da risolvere con una sfida...

 

In realtà la sfida non fu che un abile trucco psicologico del comandante spagnolo Consalvo da Cordova, il quale era cosciente della superiorità numerica Francese e cercava quindi di mantenere alto il morale del suo esercito racimolando vittorie più di onore che di reale sostanza. A ciò si aggiungeva lo scopo di poter trovare un nuovo alleato nel popolo italico, nonché quello più ovvio di guadagnare del tempo nell'attesa che giungessero dei contingenti di rinforzo.

 

Consalvo organizzò così una cena tra cavalieri francesi, spagnoli ed italiani.

Una cantina di Barletta li ospitò.

Era il 15 gennaio.

Il luogo è oggi ricordato come Cantina della Sfida.

 

Durante l’incontro i cavalieri spagnoli non risparmiarono elogi nei confronti dei cavalieri italiani, arrivando a paragonarli all’onore dei cavalieri francesi e spagnoli…

 

La provocazione riuscì: i francesi non tollerarono l’atteggiamento spagnolo e, con tipico fare cavalleresco, il La Motte lanciò il guanto della sfida al cavaliere italiano Ettore Fieramosca e agli italiani tutti, affermando che erano dei codardi e che ben poco valevano in battaglia.

Queste parole ferirono l'orgoglio dei cavalieri italiani e di Ettore Fieramosca da Capua, che raccolse la sfida.

Il cavaliere italiano secondo alcuni non era in realtà presente alla cena, ma fu contattato nei giorni seguenti da alcuni nobili italiani al servizio degli Spagnoli.

 

Lo scambio di lettere tra Fieramosca e Monsieur de La Motte, testimonia in ogni caso l'importanza che il combattimento rivestiva per i protagonisti.

Tutto fu programmato nei minimi particolari, con scrupolo ed stremo zelo.

Fu stabilito il numero degli sfidanti in tredici cavalieri con due ostaggi per parte, quattro giudici e sedici cavalieri quali testimoni.

 

Il combattimento risolutivo si svolse, come abbiamo detto, nella giornata del 13 febbraio 1503, nella piana tra Andria e Corato, zona appartenente alla città di Trani, allora sotto la giurisdizione di Venezia.

 

Il giorno della sfida, i cavalieri francesi si mossero da Ruvo, e prima di avviarsi al campo parteciparono alla messa nella chiesa di San Rocco.

I cavalieri italiani, affiancati da quelli spagnoli, parteciparono invece alla messa nella cattedrale di Andria, e qui prestarono un giuramento sull'onore italiano.

Quindi si avviarono al campo di battaglia.

 

Arrivarono per primi gli italiani.

I cavalli erano quasi completamente coperti da protezioni di cuoio ed adornati con delle mantelle riportanti ognuna lo stemma del cavaliere di appartenenza.

I cavalieri erano imbracati nelle corazze, e portavano ognuno un nastro azzurro.

Si racconta che fosse un dono augurale di Isabella D'Aragona.

 

All'epoca era consuetudine che fossero presenti come spettatori delle sfide solamente i nobili ed i regnanti, ma quell'evento così inusuale, in cui si potevano veder combattere gli italiani contro l'oppressore, accese gli animi di molti cittadini, delle donne e degli uomini, cosi da spingere una gran folla, formata dalla gente di Barletta e delle città vicine ad assistere alla Disfida.

 

Dopo qualche giro di campo con i cavalli, per studiare il terreno e poter decidere le ultime strategie; dopo il saluto agli spettatori presenti, squillarono le trombe...

 

I cavalieri, schierati in file opposte, una di fronte all'altra, si lanciarono veloci al galoppo. Lo scontro fu violentissimo, e dopo il primo ci fu il secondo, e poi un'altro, con ogni tipo di arma e vigore e odio e passione. Tra la polvere, tra le urla, tra l'emozione, all'ennesimo assalto, si profilò la vittoria degli italiani, che diedero il colpo finale ai francesi proprio con il valoroso, quel giorno valorosissimo, Ettore Fieramosca.

 

Questi puntò diritto sul Monsieur, scontrandosi con lui nel più classico dei duelli all'ultimo sangue. Solo che, durante lo scontro, prima ancora che qualcuno dei due potesse imporsi, il La Motte, improvvisamente, cadde da cavallo...

 

In pieno spirito cavalleresco, il Fieramosca, nell'improvviso silenzio che si creò, scese dal suo cavallo per poter lottare ancora ad armi pari contro il capitano francese.

Bastò un rapido corpo a corpo, con le asce e con le spade, affinchè il La Motte, sfinito e già psicologicamente sconfitto, si gettasse ai piedi del trionfatore italiano, arrendendosi.

 

Gli italiani, rappresentanti di un paese diviso ed invaso, avevano vinto.

I francesi, con il loro paese che si stava avviando a diventare un moderno stato nazionale, avevano, senza scampo, perso.

 

Una volta terminata la sfida, i francesi furono fatti prigionieri, anche perché, convinti della loro vittoria, non si erano portati con se i soldi che era previsto dovessero essere pagati dai perdenti. Dovettero quindi sopportare l'umiliazione del corteo trionfale nella città di Barletta, dove furono denigrati e derisi dalla popolazione, circondati dai fuochi della città in festa. Alcuni preti portarono in processione una icona della Madonna dell'Assunta, da allora ribattezzata Madonna della Sfida e ancora oggi conservata nella Cattedrale di Barletta.

 

I tredici cavalieri italiani, guidati da Ettore Fieramosca e dallo spagnolo Consalvo da Cordova, si diressero alla volta della chiesa di Maria Maddalena, la dove li attendevano le più alte cariche cittadine per conferirgli le dovute onorificenze cavalleresche, oltre che alcuni possedimenti, in cambio dell'onore portato alla città.

 

Usciti dalla chiesa si ridiressero verso il mare di folla festante, che li accompagno alla volta della cattedrale di Barletta per la messa solenne di ringraziamento.

Sul muro esterno, poco dopo, venne scolpita un'epigrafe in memoria della storica vittoria.

 

La Disfida era conclusa.

 

La sua importanza storica deve ovviamente andare al di là del puro fatto cavalleresco, dovendosi piuttosto mettere in luce una delle prime occasioni in cui un sentimento d'unità nazionale, di popolo, vide la luce. Se pure vi furono, a decine, altri sanguinosi scontri tra francesi e spagnoli ed altrettanti trattati di spartizione del territorio italiano, stava nascendo, inesorabilmente, l'idea di un paese, l'Italia, unito. Passeranno secoli, ma nel frattempo un'altro simbolo era stato prodotto.



 

 

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