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N. 17 - Ottobre 2006

IL DURO RUOLO DELLA DIPLOMAZIA NEL CONFLITTO TRA HEZBOLLAH ED ISRAELE

La conferenza di Roma, il Piano Siniora e la difficile mediazione dell’Onu

di Francesco Dobrovich

 

Il 27 luglio presso la sede romana del Ministero degli Esteri italiano si è aperto un tavolo di conciliazione che ha dato inizio ad un percorso di avvicinamento tra le parti in lotta, un percorso che ha trovato una continuità, seppur non ancora conclusiva, con la risoluzione Onu 1701 dell’11 agosto 2006.

 

La Conferenza di Roma ha avuto il merito di dare inizio ad una serie di trattative diplomatiche, con l’obiettivo di smuovere una situazione di stallo creatasi con l’inizio del conflitto e l’intento di valutare quali fossero le posizioni internazionali sulla nuova questione libanese, ma soprattutto ha dato modo di conoscere la posizione del governo libanese, unito attorno alla proposta del suo primo ministro, il sunnita Faud Siniora.

 

Attorno al tavolo della Farnesina si sono seduti i promotori del summit: il segretario di stato americano Condolece Rice ed il ministro degli esteri italiano Massimo D’Alema, nonché il primo ministro libanese Faud Siniora  ed il ministro degli esteri Fawzi Salloukh, assieme ai rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Russia, Egitto, Germania, Arabia Saudita, Banca mondiale, Unione europea e naturalmente Onu.

 

Se da questo vertice ci si fosse aspettata una chiara soluzione alla crisi libanese con un immediato cessate il fuoco o magari un immediato accordo per il dispiegamento di una forza multinazionale, si va verso un giudizio negativo dell’incontro. Soluzioni queste assai improbabili dal momento in cui attorno al tavolo il 27 luglio mancavano sia i rappresentanti delle parti in lotta, ossia Hezbollah ed Israele, sia i rappresentanti di Siria ed Iran, considerati elementi di forte pressione sul partito di Dio, il quale persiste in Libano grazie a sovvenzioni iraniane e con tutela siriana.

 

A conti fatti invece il vertice romano può essere considerato come un elemento di avvio e di accordo su quella che può essere la strada da perseguire per arrivare ad una reale e definitiva soluzione alla crisi, che sia meno rapida ma più efficace. Elementi come l’incarico dell’Onu a discutere un dispiegamento di una forza multinazionale, la determinazione a far rispettare ad Hezbollah la risoluzione 1559 (che ne prevede il disarmo) ed infine la presa di coscienza che il governo libanese si presenta unito attorno ad un progetto di larga intesa, il cosiddetto “Piano Siniora”.

 

Il “Piano Siniora” ha acquisito con i giorni un importanza non indifferente, che lo pone con una centralità crescente sul piano delle trattative, perchè come detto si tratta di un progetto di larga intesa, sposato per questo da tutte le parti politiche libanesi, Hezbollah compresi. Trovare una soluzione che possa accontentare i cristiani filosiriani del presidente Lahud e quelli della falange di Amin Gemayel, nonché gli sciiti di Amal (che in questo momento rappresenta ai tavoli delle trattative anche i correligionari di Hezbollah, ora latitanti), i drusi di Jumblatt, ed infine i seguaci di Rafic Hariri, è una cosa di non poco conto in Libano.

 

Nel Paese dei cedri infatti il difficile sistema interconfessionale (di cui il Partito di Dio ne è partecipe e protagonista) distribuisce cariche e poteri sulla base dei rapporti demografici tra le diverse comunità religiose e rischia di porre facilmente in contrasto politico-religioso-sociale le diverse parti, con il continuo rischio che queste si scontrino duramente producendo così una spirale di violenze e rivalità che potrebbe condurre ad un nuovo conflitto tra libanesi.

 

Il Piano del governo di Beirut si presenta come un compromesso equo tra le parti in lotta, un compromesso che però vuole porre al centro della soluzione la centralità del Governo di Beirut. Sette sono i punti che secondo il governo libanese darebbero al Libano una giusta tregua:

 

1 Impegno a liberare i prigionieri libanesi e israeliani attraverso il comitato internazionale della Croce Rossa.

 

2 Ritiro dell’esercito di Israele dietro la linea blu tracciata dall’Onu ed il ritorno dei profughi nelle loro abitazioni.

 

3 Un impegno del Consiglio di Sicurezza a porre le Fattorie di Sheba sotto giurisdizione dell’Onu.

 

4 Estensione dell’autorità del governo libanese  sul proprio territorio, mediante il dispiegamento del proprio esercito legittimo nel sud, e il conseguente disarmo di Hezbollah.

 

5 Il rafforzamento delle Forze internazionali dell’Onu operanti nel sud del Libano in numero, equipaggiamento, mandato, e perimetro di operazione, necessario per mettere in moto il lavoro umanitario e di soccorso.

 

6 Impegno dell’Onu ad attuare l’accordo di armistizio firmato dal Libano ed Israele nel 1949.

 

7 Impegno della comunità internazionale sostenere il Libano a tutti i livelli e ad aiutarlo a sostenere l’immenso fardello della tragedia umanitaria, sociale ed economica.

 

Il Piano Siniora acquista dunque centralità nelle trattative, e questa posizione si va rafforzando dopo il rifiuto del governo libanese ad accettare la risoluzione 1701 dell’Onu. Con questa risoluzione si invoca “la piena cessazione delle ostilità” per consentire agli sfollati di rientrare nelle loro abitazioni e per ripristinare l’attività nei porti e negli aeroporti, ma solo per fini civili; sui punti critici invece la risoluzione chiede l’interruzione totale degli attacchi agli Hezbollah, ma consente ad Israele di effettuare operazioni tout-court, ossia di difesa e non esplicita nulla a riguardo della presenza militare di Israele nel sud del Libano.

 

Quest’ultimo elemento, riguardante la ritirata dello Tsahal, dovrebbe essere l’oggetto di una seconda risoluzione Onu, che verrà presa in un momento successivo del conflitto. Con queste basi i rappresentanti libanesi si sono rifiutati di accettare il testo, il Premier libanese Siniora lo giudica “inadeguato”, mentre il presidente della camera Nabih Berry, sciita di Amal e portavoce in questo momento anche di Hezbollah, ribadisce il suo disappunto soprattutto sulla mancanza di caratteri che esplicitino il ritiro israeliano dal sud. Berry sottolinea in prima persona la centralità dell’intesa di governo, ribadendo che “il Libano respinge ogni piano che sia al di fuori del piano in sette punti”.

 

Così ad oltre un mese dall’esplosione del conflitto, dopo un primo cessate il fuoco che sa più pausa di riflessione che di tregua, e con la comunità internazionale non ancora in grado di decidere le regole di ingaggio, ci si chiede se l’Onu riuscirà ad arrivare per tempo, se riuscirà a farlo con il benestare delle parti in lotta, e se le imposizioni di quest’ultime siano o meno accettabili dalla comunità internazionale, prima che una nuova fase del conflitto Hezbollah-Israele possa riprendere.

 

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