N. 50 - Febbraio 2012
(LXXXI)
Dio è Uno
l'editto di torda e l'influenza islamica
di Lawrence F.M. Sudbury
Non nascondiamoci dietro un dito: possiamo essere di mente aperta finché vogliamo, ma quando noi occidentali pensiamo all'Islam non possiamo, normalmente, esimerci dall'impressione di avere a che fare con una religione fondamentalista, intollerante e venata di fanatismo. Indubbiamente si tratta di una impressione fondata sugli sviluppi più recenti della storia musulmana, sviluppi che hanno visto il progressivo prevalere della corrente oltranzista wahabita sul pensiero islamico più moderato.
Ciò,
però,
non
significa
che
l'intolleranza
sia
un
tratto
distintivo
e
originario
dell'Islam
e,
anzi,
al
contrario,
in
alcuni
periodi
storici
tale
religione
ha
rappresentato
una
sorta
di
faro
di
tolleranza
religiosa
che
ha
illuminato
sviluppi
significativi
del
Cristianesimo
europeo.
Probabilmente
uno
degli
esempi
più
significativi
in
tal
senso
è
dato
dalla
possibile
(per
quanto
non
universalmente
accettata)
influenza
musulmana
su
quello
che
può
essere
considerato
il
più
importante
"monumento
alla
libertà
religiosa"
in
un
epoca
oscurantista
come
quella
controriformista:
l'Editto
di
Torda.
Ma
procediamo
per
gradi
e
prendiamo
le
cose
alla
lontana.
È il
luglio
1540
quando
il
sultano
dell'Impero
Ottomano
Solimano
il
Magnifico
viene
a
sapere
della
nascita,
avvenuta
in
quei
giorni,
di
Giovanni
Sigismondo,
figlio
del
re
d'Ungheria
e
voivoda
di
Transilvania
Giovanni
Zapolya
e di
sua
moglie
Isabella
Jaggelone:
ritiene
l'evento
così
importante
da
inviare
un
suo
rappresentante
personale
che
stia
24
ore
su
24
in
un
angolo
della
stanza
della
regina
per
vegliare
su
di
lei
e
sul
suo
bambino.
È
una
mossa
oculata:
il
re
muore
appena
due
settimane
dopo
la
nascita
del
piccolo
e
sul
letto
di
morte
dà
istruzioni
a
che
suo
figlio
sia
chiamato
ad
ereditare
i
suoi
titoli,
in
violazione
di
un
precedente
accordo
che
prometteva
l'Ungheria,
dopo
la
morte
di
Giovanni,
a
Ferdinando,
fratello
dell'Imperatore
Carlo
d'Asburgo.
Quando
risulta
chiaro
che
la
nobiltà
locale
non
ha
nessuna
intenzione
di
permettere
che
l'Ungheria
diventi
parte
dell'Impero
asburgico,
Ferdinando
risponde
assediando
Buda:
la
città
resiste
fino
al
1541
e
quando
sembra
che
le
truppe
di
Isabella
stiano
per
cedere,
Solimano
invia
un
grande
esercito
che
riesce
a
ricacciare
gli
assedianti
ferdinandei.
Di
fatto,
a
questo
punto,
gli
Ottomani
hanno
il
pieno
controllo
di
Buda
e di
gran
parte
della
bassa
Ungheria
ma
il
sultano
riconosce
alla
regina
e ai
suoi
successori
il
diritto
a
governare
in
modo
indipendente,
pur
sotto
il
protettorato
turco,
sulla
Transilvania,
che
ben
presto,
nella
sua
posizione
di
stato
cuscinetto
tra
il
cattolicissimo
Impero
asburgico
e
l'Impero
islamico
ottomano,
si
connota
come
uno
dei
luoghi
più
sicuri
per
lo
sviluppo
del
Protestantesimo
in
Europa.
Passano
gli
anni
e
arriviamo
al
1568.
Re
Giovanni
Sigismondo
è
ormai
adulto
e,
sotto
l'influenza
del
suo
cappellano
di
corte
Ferenc
David,
ha
abbracciato
il
credo
unitariano
che
proclama,
in
contrapposizione
al
trinitarismo
cattolico,
l'assoluta
unità
di
Dio
e
una
visione
di
Gesù
come
Maestro
ma
non
come
divinità.
La
cosa
non
piace
per
nulla
ai
Calvinisti
che
sognavano
una
Transilvania
omogeneamente
dedita
all'Evangelismo
e
che,
conseguentemente,
sollevano
continue
dispute
anti-unitariane.
È a
questo
punto
che
Giovanni
Sigismondo
compie
il
suo
capolavoro
di
apertura
mentale:
indice
un
concilio
a
Torda
e,
al
termine
dei
lavori
(ampiamente
dominati
da
David
e da
alcuni
esuli
unitariani
italiani
che
lo
affiancano),
emette
l'Editto
che
prende
il
nome
dalla
città
conciliare.
In
esso,
piuttosto
che
forzare
il
suo
popolo
ad
adottare
la
sua
fede,
stabilendola
come
religione
nazionale,
il
re
rende
legale
la
pratica
di
qualunque
tradizione
religiosa,
onora
il
diritto
di
ciascuna
Congregazioni
di
scegliere
i
propri
predicatori,
stabilisce
il
diritto
dei
predicatori
di
insegnare
ciò
che
ritengono
giusto.
Non
c'è
bisogno
di
dire
quanto
una
dichiarazione
di
questo
genere
fosse
dirompente
e
innovativa
in
pieno
periodo
tridentino
e
non
è un
caso
che
gli
Unitariani
(appartenenti
probabilmente
alla
Denominazione
più
ecumenica
del
panorama
Cristiano)
di
tutto
il
mondo
celebrino
la
data
di
promulgazione
dell'Editto
di
Torda
come
momento
fondativo
della
loro
stessa
esistenza.
Fin
qui,
in
breve,
la
storia
su
cui
tutte
le
fonti,
di
qualunque
orientamento,
concordano.
La
domanda,
però,
che
ci
si
pone
è se
e
quanto
sia
possibile
sviluppare
collegamenti
tra
dominio
islamico
ottomano
(sostanziale
se
non
formale)
in
Transilvania
e
clima
di
tolleranza
che
porta
all'Editto
di
Torda.
Prima
di
entrare
nel
vivo
dell'analisi
è,
comunque,
necessario
fare
un
paio
di
precisazioni.
In
primo
luogo,
sebbene
uno
dei
massimi
storici
dell'Unitarianesimo,
definisca
l'Editto
come
"il
più
perfetto
principio
di
tolleranza
della
storia",
va
osservato
che,
in
realtà,
il
testo
legislativo
non
appare
oggi
proprio
"perfetto",
estendendo
la
tolleranza
solo
a
quattro
Chiese
di
stato
approvate
(Unitariani,
Calvinisti,
Cattolici
e
Luterani)
e
non
ad
altre
minoranze
cristiane
e
non
cristiane.
Detto
questo,
è
indubbio,
comunque,
che
il
principio
fondativo
del
documento
risulti
di
una
modernità
impressionante
e
che
la
"Patente
di
Tolleranza"
resti
il
primo
atto
di
libertà
religiosa
articolato
dagli
europei
a
livello
di
governo
statale.
Ebbene,
che
tale
dichiarazione
abbia
potuto
essere
rilasciato
dagli
Unitariani
sotto
un
dominio
politico
detenuto
da
appartenenti
alla
religione
islamica
(nella
sua
versione
più
aperta)
può
facilmente
essere
considerato
qualcosa
di
più
di
una
semplice
coincidenza.
Ma
dobbiamo
essere
oggettivi
e,
venendo
alla
seconda
precisazione,
ricordare
che
in
nessun
modo
ci è
(e
probabilmente
mai
sarà)
possibile
trovare
testimonianze
dirette
di
relazioni
e
influenze
reciproche
tra
Islam
e
Unitarianesimo:
mentre
tutti
concordano
circa
la
presenza
di
rappresentanti
del
sultano
come
"osservatori
silenziosi
ma
non
immobili"
lungo
tutta
la
storia
della
Transilvania,
è
difficile
definire
quale
sia
stato
il
ruolo
degli
Ottomani
nei
primi
giorni
dell'Unitarianesimo
europeo
sia
a
causa
della
deplorevole
mancanza
di
documenti
governativi
transilvani
del
periodo
in
esame,
sia
per
una
certa
resistenza
di
molti
storici
a
ritenere
che
il
confine
tra
Oriente
e
Occidente
fosse
più
permeabile
di
quanto
si
sia
voluto
vederlo
fino
a
questo
momento.
In
realtà,
è
ormai
ampiamente
riconosciuto
che
le
culture
cristiane
e
musulmane
fossero
molto
più
in
contatto
nel
Medioevo
di
quanto
assunto
in
precedenza
(si
pensi
solo
al
governatorato
di
Al
Andalus
in
Spagna
tra
VIII
e XV
secolo),
ma
difficilmente
sia
in
Transilvania
che
in
Turchia
qualcuno
parlerebbe
volentieri
di
influenze
reciproche.
In
sostanza,
dunque,
possiamo
solo
ragionare
per
ipotesi
logico-deduttive
e,
appunto
solo
a
livello
d'ipotesi
resteremo
osservando
la
"Proclamazione
di
Torda"
come
il
frutto
di
uno
scambio
creativo
tra
due
culture.
Per
far
ciò
è
bene
cominciare
con
il
raccontare
alcune
delle
storie
esistenti
circa
l'Editto
di
Torda.
La
versione
più
comune
riguarda,
come
accennato,
il
modo
in
cui
il
brillante
predicatore
di
corte
Ferenc
David
fosse
il
responsabile
ultimo
del'Editto.
Se
tentiamo
di
andare
un
po'
più
a
fondo
sulla
questione
non
possiamo
fare
a
meno
di
riconoscere
anche
il
ruolo
tutt'altro
che
marginale
di
Giorgio
Biandrata,
medico
di
Sigismondo
e
molto
probabilmente
membro
del
consiglio
principesco
che
formalmente
fu
autore
dell'editto:
ispirato
dal
pensiero
anti-trinitario
di
Michele
Serveto
e
con
alle
spalle
le
ricche
tradizioni
dell'umanesimo
italiano,
Biandrata
era,
forse
più
di
chiunque
altro,
interessato
allo
sviluppo
di
una
Chiesa
unitariana
istituzionalmente
stabile
e
internazionale.
Se,
poi,
fossi
interessati
ad
una
"storia
al
femminile",
non
potremmo
dimenticare
la
presenza
della
regina
Isabella
come
parte
in
causa
nella
storia:
erasmiana
di
lunga
data,
umanista
fin
nel
profondo,
era
stata
lei
che,
durante
la
reggenza
per
il
figlio
minorenne
aveva
promulgato
una
prima
dichiarazione
(sebbene
più
limitata)
di
tolleranza
e,
dunque,
non
sembra
essere
stata
certo
aliena
dallo
"spirito
di
Torda".
Insomma,
tutto
sembra
suggerire
che
l'Edito
non
fosse
solo
il
risultato
del
genio
personale
di
David,
quanto,
piuttosto,
il
risultato
di
influenze
liberali
molto
presenti
nel
clima
culturale
di
corte.
Ma
tali
influenze
erano
unicamente
di
matrice
europea?
A
differenza
degli
studiosi
ungaro-transilvani
o
turchi
odierni,
un
certo
numero
di
storici
anglosassoni
risultano
piuttosto
propensi
a
vedere
una
influenza
ottomana
nelle
vicende
religiose
centro-europee.
George
Huntston
Williams,
ad
esempio,
nel
suo
"The
Radical
Reform",
riconosce
il
possibile
impatto
della
preoccupazione
ottomana
riguardo
alla
tolleranza
religiosa
come
elemento
di
un
certo
peso
nello
sviluppo
dell'Unitarianesimo
transilvano,
sebbene
suggerisca
che
la
politica
di
tolleranza
religiosa
fosse
semplicemente
un
mezzo
di
cinica
politica
di
conservazione
e
controllo
dello
status
quo.
Naturalmente
ciò
è,
almeno
parzialmente,
vero:
il
successo
della
dominazione
ottomana
era
direttamente
collegato
alla
famosa
flessibilità
dimostrata
dalla
Sublime
Porta
verso
usanze
locali,
che
risultava
essere
dovuta
non
tanto
a
mere
questioni
di
strategia
militare,
quanto
ad
uno
stile
politico
e
culturale
proprio
del
governo
di
Istanbul.
Come
ci
ricorda
la
storica
del
Medioriente
Victoria
Holbrook:
"gli
Ottomani
risultano
essere
più
unici
che
rari
nella
loro
capacità
di
includere
e
sintetizzare
gli
elementi
culturali
dei
territori
attraverso
i
quali
passavano.
Essi
erano
noti
per
la
creazione
di
strutture
che
si
conciliavano
perfettamente
con
quelle
con
cui
la
gente
aveva
vissuto
prima
del
loro
arrivo
e
per
l'apertura
con
cui
permettevano
che
ciascuno
scegliesse
il
proprio
sistema
di
vita
e le
proprie
credenze
religiose".
Insomma,
la
pratica
ottomana
della
tolleranza
sia
religiosa
che
culturale
era
certamente
in
parte
una
questione
di
opportunità
politica
legata
all'estensione
dell'Impero,
ma
era
anche,
se
non
soprattutto,
un
elemento
profondamente
radicato
nella
mentalità
ottomana
in
tutte
le
questioni
giuridiche,
culturali
e
relative
alle
diverse
tradizioni
religiose.
In
quest'ultimo
campo,
in
particolare,
qualsiasi
monoteista
che
fosse
disposto
ad
accettare
il
dominio
politico
degli
Ottomani
aveva
la
garanzia
di
ricevere
protezione
e di
ottenere
il
pieno
riconoscimento
dei
propri
diritti
legali,
assumendo
lo
status
di "dhimmi",
cioè
di
persona
tutelata
dalla
legge:
dai
non-musulmani
ci
si
aspettava
che
pagassero
una
tassa
(a
dire
il
vero
a
volte
piuttosto
pesante)
ma,
una
volta
adempiuto
quest'obbligo,
lo
stato
si
assumeva
nei
loro
confronti
gli
stessi
livelli
di
responsabilità
che
per
i
non-islamici.
Esistevano,
è
vero,
alcune
lievi
restrizioni
poste
alle
minoranze
religiose
allo
scopo
di
contrassegnare
i
loro
appartenenti
come
socialmente
inferiori
rispetto
ai
Musulmani,
ma,
in
effetti,
tali
restrizioni
erano
perlopiù
ampiamente
ignorate.
In
definitiva,
dunque,
non
pare
azzardato
affermare
che
la
tolleranza
fosse
un
tratto
distintivo
della
politica
ottomana
e
che
fosse
anche
espressione
dell'interpretazione
ottomana
dell'Islam,
nella
maggior
parte
dei
casi
sorprendentemente
liberale,
cosmopolita
e
pluralista.
È
noto,
ad
esempio,
che
gli
Ebrei
trovarono
nell'Impero
ottomano
un
luogo
estremamente
ospitale,
tanto
che
una
diaspora
di
grandi
dimensioni
si
indirizzò
proprio
verso
il
Medioriente
mentre
l'antisemitismo
cresceva
in
tutta
Europa.
Come
ben
argomenta
Baron,
anche
i
Cristiani
"non
ortodossi"
godevano
di
una
simile
accoglienza
della
società
ottomana:
sappiamo,
per
esempio,
che
gli
Unitariani
pubblicarono
alcuni
dei
loro
testi
più
radicali
in
Turchia
e,
abbiamo
detto,
trovarono
poi
rifugio
nel
"protettorato"
di
Transilvania.
Perché,
allora,
tanta
resistenza
a
ipotizzare
un
ruolo
del
clima
culturale
turco
nella
redazione
dell'Editto
di
Torda?
Indubbiamente
il
nazionalismo
ungherese
ha
lasciato
i
suoi
strascichi:
in
fondo,
uno
dei
risultati
politici
della
Riforma
era
una
identificazione
certa
del
patriottismo
ungherese
con
il
Protestantesimo
liberale
e
ciò
ha
certamente
influenzato
un
certo
numero
di
storici
nel
voler
definire
l'Unitarianesimo
come
un
fenomeno
etnicamente
radicato.
Altrettanto
indubbiamente,
però,
un
ruolo
importante
è
stato
giocato
da
chi,
al
contrario,
ha
voluto
esagerare
i
termini
dell'influenza
islamica
sull'Unitarianesimo.
Risibili
affermazioni
come
quelle
dello
storico
calvinista
Sándor
Unghváry,
che
sostiene
che
Ferenc
David
"citava
il
Corano
con
più
piacere
e
frequenza
della
Bibbia"
o
del
cattolico
de
la
Croze,
che
vede
un
rapporto
di
diretta
filiazione
tra
monoteismo
islamico
e
monoteismo
unitariano,
non
possono
che
portare
ad
un
irrigidimento
delle
posizioni.
È
una
storia
vecchia
(e
già
molte
volte
confutata)
che
trova
la
sua
origine
in
quella
convinzione,
tipica
del
XVII
e
XVIII
secolo,
relativa
alla
Riforma
radicale
come
primo
passo
verso
la
conversione
all'Islam,
che
era
già
stata
propria
di
Martin
Luther
e
che
si
era
sviluppata
nella
islamofobia
post
assedio
di
Vienna.
In
sostanza,
gli
europei
temevano
che
l'interesse
culturale
e
teologica
degli
Unitariani
verso
l'Islam
avrebbe
potuto
portare
ad
alleanze
politiche
con
l'Impero
ottomano.
In
qualche
caso
avvenne
(ad
esempio
nel
caso
di
Adam
Neuser,
che
da
teologo
unitariano
si
trasformò
in
convinto
musulmano),
ma
si
tratta
di
eccezioni
alla
regola.
Semmai,
il
processo
potrebbe
essere
meglio
letto
all'inverso,
in
una
radice
teologica
comune
tra
Unitarianesimo
ed
Islam
rinvenibile
nel
proto-Cristianesimo
anti-paolino,
ma
si
tratta,
in
ogni
caso,
di
ipotesi
tutte
da
verificare.
In
tutti
i
casi,
comunque,
alla
base
di
queste
visioni
c'è
la
paura:
la
paura
della
commistione
culturale
e la
"damnatio
memoriae"
di
un
contatto
che
è
stato
indubbiamente
più
continuo
e
fruttifero
di
quanto
non
si
voglia
credere.
Un
esempio
può
bastare
a
dimostrare
la
reale
situazione:
esistono
considerevoli
prove
di
un
numero
elevatissimo
di
matrimoni
misti,
nell'Ungheria
tra
XVI
e
XVII
secolo,
sia
tra
turchi
e
ungheresi
che
tra
membri
di
diverse
Confessioni
religiose,
tanto
che
nel
tardo
XVI
secolo
risulta
come
semplicemente
comunemente
inteso
che
i
figli
avrebbero
seguire
la
tradizione
del
padre
e le
figlie
quelle
delle
madre.
Spingendoci
un
po'
più
in
là
nel
tempo,
poi,
Berkes
Niyazi,
nel
suo
eccellente
studio
sul
laicismo
turco,
ha
portato
un
buon
numero
di
esempi
di
una
influenza
non
unidirezionale
tra
Islam
e
Unitarianesimo
e,
soprattutto,
di
casi
di
Unitariani
transilvani
che,
perseguitati
sotto
il
dominio
asburgico,
hanno
trovato
rifugio
(e,
in
alcuni
casi,
prosperità,
assumendo
anche
importanti
cariche
pubbliche)
in
terre
ottomane.
Ma
torniamo
all'editto
di
Torda,
dando
una
breve
scorsa
ad
eventi
che
lo
precedono
di
un
paio
di
decenni.
Il
24
agosto
1548
al
rappresentante
del
pascià
di
Buda
viene
richiesto
dalle
autorità
locali
cattoliche
di
Tolna
di
agire
contro
il
pastore
protestante
l'ungherese
Imre
Szigeti.
Ebbene,
l'intendente
capo
del
pascià
di
Buda
come
risponde?
Semplicemente
comunica
alle
autorità
di
Tolna
che
non
solo
il
pascià
ha
dato
parere
negativo
alla
loro
richiesta,
ma
che
ha
anche
emesso
un
"editto
di
tolleranza"
in
cui
si
afferma
che
"ai
predicatori
della
fede
inventata
da
Lutero
deve
essere
consentito
di
predicare
il
Vangelo
ovunque
e a
tutti
coloro
che
li
vogliono
ascoltare,
liberamente
e
senza
paura,
e
che
tutti
gli
ungheresi
e
slavi
devono
essere
in
grado
di
ascoltare
e
accogliere
la
parola
di
Dio
senza
alcun
pericolo,
perché
questa
è il
comandamento
della
vera
fede
cristiana".
Quanta
assonanza
con
le
disposizioni
sulla
tolleranza
di
Giovanni
Sigismondo!
Se è
vero
che
la
svolta
radicale
dell'Editto
di
Torda
rispetto
ai
precedenti
editti
di
tolleranza
risiede
soprattutto
nella
sua
più
unica
che
rara
affermazione
di
libertà
di
coscienza
("...perché
la
fede
è un
dono
di
Dio
[che]
scaturisce
dall'
ascoltare
la
parola
di
Dio"),
questo
editto
del
1548
stabilisce,
già
venti
anni
prima,
una
correlazione
diretta
tra
vera
fede
e
libero
ascolto.
Poteva
Ferenc
David
conoscere
questo
testo?
Non
esiste
nessuna
prova
diretta
testuale
di
ciò,
ma
forse
abbiamo
una
possibile
connessione
indiretta:
come
David
(e
nello
stesso
periodo),
Imre
Szigeti
era
stato
uno
studente
ungherese
a
Wittenberg
ed è
proprio
da
una
lettera
scritta
da
Szigeti
che
veniamo
a
conoscenza
dell'Editto
del
Pascià.
E
questa
lettera
è
scritta
a
Mattia
Flacio,
un
uomo
noto
anche
a
David.
Inoltre,
l'azione
del
pascià
potrebbe
essere
servita
da
modello
per
altre
azioni
analoghe.
Sappiamo,
ad
esempio,
che
nel
1574,
nella
Bassa
Ungheria,
due
predicatori
difensori
della
causa
unitariana
furono
perseguitati
per
eresia
da
parte
delle
autorità
locali
e
uno
di
loro,
George
Alvinczi
fu
messo
a
morte
su
ordine
di
un
vescovo
calvinista:
quando
alcuni
unitariani
influenti
si
rivolsero
al
pascià
di
Buda
per
chiedere
giustizia,
questi
dichiarò
l'esecuzione
disumana
e
ordinò
che
il
vescovo
e i
suoi
due
giudici
venissero
messi
a
morte
(cosa
che
poi
non
avvenne
per
intercessione
di
un
predicatore
unitariano
di
Pécs).
Al
di
là
dei
casi
specifici,
quello
che
conta
è il
clima,
l'influenza
del
sistema
legale
ottomano
sullo
sviluppo
della
Riforma.
Non
dobbiamo
dimenticare
che
nel
periodo
tra
1550
e
1570
i
Protestanti
in
terra
ungherese,
mentre
erano
direttamente
o
indirettamente
governati
dagli
Ottomani,
riuscirono
a
tenere
il
loro
dibattiti
dottrinali,
riuscirono
ad
opporsi
ai
Cattolici
e
riuscirono
a
trionfare
nelle
loro
istanze.
Ciò
che
comincia
gradualmente
ad
emergere
è il
ritratto
di
due
culture
impegnate
nello
sviluppo
di
un'attenzione
reciproca,
di
modelli
circolari
di
influenza.
Forse,
allora,
le
basi
dell'Editto
di
Torda
non
si
sono
sviluppate
solo
nella
mente
di
Ferenc
David,
non
solo
nell'Europa
influenzata
dall'Umanesimo,
ma
anche
attraverso
il
clima
creato
dalla
cultura
politica
e
giuridica
dell'Impero
Ottomano,
con
i
suoi
principi
di
tolleranza
religiosa
ben
presenti
nella
vita
quotidiana
di
tutti.
Certo,
molto
c'è
ancora
da
indagare
in
questo
senso,
ma è
importante
che
ci
ricordiamo
anche
di
questi
eventi
prima
di
confondere
Wahabismo
e
Islam
e
giudicare
senza
appello.
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