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N. 13 - Gennaio 2009 (XLIV)

CONTRO LA DEMOCRAZIA
DALLA CICUTA ALLE PALLOTTOLE

di Antonio Montesanti

 

“Quella democratica è la più bella tra le costituzioni: come un mantello variopinto, ricamato con ogni sorta di fiori, così anch’essa può apparire bellissima, ricamata com’è con tutti i tipi di carattere. E forse molti la giudicherebbero appunto bellissima, alla maniera dei bambini e delle donne quando ammirano le cose colorate”.

 

Era tutto previsto, già potenzialmente in essere e percepibile, a chi è in grado di trarre deduzioni dalla realtà delle cose, conoscendo l’indole umana – le sue attitudini, le sue debolezze – e le leggi del reale, che ciò sarebbe accaduto.

 

Un filo sottilissimo ma in grado di stagliarsi lungo i secoli e i millenni, congiunge assai finemente tra le due estremità, i tre momenti del tempo, passato, presente e futuro.

 

“All'improvviso ho avuto l'impressione che fosse tutto collegato. Era come se potessi vedere tutto. [...] Mi è sembrato di poter vedere quello che era successo prima. E quello che ancora deve succedere. Era come uno schema perfetto, disposto davanti a me...”

 

Un saggio di questi giorni – a cura di Franco Ferrari, Platone. Contro la democrazia – e i fatti degli stessi, propongono una memorabile e affascinate pellicola su cui è disegnata una sorta di storia filmata che vede, come i quadri o ancor meglio le metope di un tempio greco, delle raffigurazioni che ripropongono quello che è avvenuto e ciò che sta per avvenire: un film inanimato del quale è possibile scorgerne il movimento e viaggiare con la mente, tramite i racconti epici, al susseguirsi di eventi, una volta che questi fossero stati appresi in luoghi adatti appositamente creati per lo svago e al contempo per la crescita culturale del popolo, quel Teatro che, nell’Atene democratica, era diventata un’istituzione. L’importanza della cultura individuale basata su un sostrato comune che consentisse l’indipendenza culturale ma che unanimizzasse i valori comuni, era già conosciuta, appresa ed applicata appieno nell’Atene del V sec. a.C.

 

Se oggi osservassimo un capolavoro figurato antico – un dipinto vascolare, un affresco tombale o una raffigurazione templare – potremmo scorgere il filmato staticamente in essere di un avvenimento del nostro presente che guarda al futuro.

 

La prima metopa, come un quadro, inserita in negativo in una striscia di celluloide, se illuminata con la giusta luce, inquadrerà in un angolo un piccolo gruppo di giovani che discutono con una pattuglia di poliziotti. Che siamo ad Atene è evidente. In alto, in secondo piano si vede l’Acropoli che troneggia su Piazza Exarchia, il luogo in cui tutto ha avuto origine, le stelle mirabilmente collocate dall’artista ci dicono che è notte, la notte del 6 dicembre del 2008.

 

"Allora lei sa che succederà. No, è una sensazione. Ma posso indovinare. Con un simile caos qualcuno commetterà una sciocchezza e quando questo accadrà le cose si metteranno male”.

 

Uno dei poliziotti sembra nell’atto di estrarre una pistola, subito dopo, un proiettile probabilmente “deviato”, di rimbalzo, colpisce il giovane Alexandros, Alexis per gli amici, Griegoropoulos.

 

La scena. Il fotogramma, la metopa successiva ci racconterebbe ciò che accadde dopo. La rivolta. Rivolta a quello che rappresenta una variabile d’assurdità comune e che porta a spalancare la coscienza sopita di coloro che fermamente si rendono conto di una sostanziare antitesi politica che riflette i suoi effetti sul sistema sociale.

 

Se continuassimo a proseguire la visita del nostro capolavoro figurato osserveremmo anche che nel quartiere di Exarchia la situazione dopo la morte di Alexis sarebbe degenerata da una presa di posizione della polizia decisa ad entrare nell’Ospedale Evangelismos dove si trovava la salma del giovane, forse per occultare prove scomode, se il corpo di un giovane può essere considerato una prova.

 

La resistenza dei giovani greci, provocava l’attacco della polizia con azioni repressive nel quartiere di Exarchia, dove veniva arrestato uno dei rivoltosi,.

 

“…mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e per coloro che vorranno ascoltare, all'affermazione della verità”.

 

Presa coscienza degli avvenimenti si è evoluta con un'assemblea spontanea al Politecnico della capitale greca, che ha portato gravi disordini nel centro di Atene. Saranno allora attaccate dai rivoltosi, stazioni di polizia e banche, fino alle prime ore della mattina dopo. Contemporaneamente, una manifestazione spontanea aveva avuto luogo, ma è stata affrontata dalla polizia con il lancio di lacrimogeni. Altri tre edifici dell'Università – tra cui le facoltà di legge e di economia – sono stati occupati.

 

Le manifestazioni si sono moltiplicate in una risposta spontanea, migliaia di persone si sono riunite nei centri della maggior parte delle città greche, dove manifestazioni, azioni dirette e disordini hanno avuto luogo in tutto il paese. A Thessaloniki (Salonicco), seconda città ellenica, una grande manifestazione spontanea è nata sull’onda della ribellione: due stazioni di polizia sono state attaccate, molte agenzie bancarie date alle fiamme e Via Egnatia – la strada principale – è stata bloccata per ore con cassonetti incendiati. Le stesse scene, con uguale intensità si sono avute nei maggiori centri ellenici: Ioannina, Iraklio, Chania, Komotini, Mitilini, Xanthi, Serres, Sparta, Alexandroupolis e Volos.

 

Ma cosa c’entrano le banche? Perché attaccare le banche? E le Università? Occupare le Università, perchè…

 

Se non si capisce quello che ci si presenta nell’attualità e si prefigura nell’immediato futuro è colpa probabilmente di una situazione in cui viene, o è, precluso il passato, poichè il tempo dovrebbe essere letto come un libro.

 

Il sistema occidentale ha lavorato negli ultimi 300 anni alla possibilità di elargire benessere a tutti. Questo lo si deve ad una forma culturale, tipicamente europea, basata su un background storico evoluzionale di effettiva riuscita. Questo sistema politico, e ancor prima il nostro sistema culturale, ci ha consentito di poter vivere in maniera economicamente discreta e civile negli ultimi anni. Il benessere è stato l’obbiettivo degli stati occidentali, benessere per tutti, per coloro che non potevano permetterselo, per coloro che avrebbero potuto comprarselo. Eppure alla fine questa forma d’agiatezza ha investito, dopo millenni, il mondo Occidentale – Europa / Stati Uniti / Oceania – che è riuscito a far si che la proiezione dello “star bene”, presente dell’immaginario collettivo, diventasse realtà.

 

“Come molti di voi io apprezzo il benessere della routine quotidiana, la sicurezza di ciò che è familiare, la tranquillità della ripetizione. Ne godo quanto chiunque altro”.

 

Sorge solo un dubbio, base della conoscenza. Il benessere, la sicurezza, la tranquillità sono stati ottenuti senza ripercussioni? Ovvero, è possibile che i tre stati d’agiatezza umana siano stati acquisiti tramite un’oculata politica economica e culturale? O anche, si può definire lo stato attuale come un risultato antropologicamente puro, privo di conseguenze?

 

Per la prima volta ci rendiamo conto, per esempio, che sotto il profilo ambientale questo tipo di cultura politica non ha prodotto buoni risultati, anzi per la prima volta nella storia del genere umano ci troviamo di fronte all’eventualità, poco remota, che delle decisioni umane e politiche abbiano modificato, in maniera, radicale il futuro della Terra. Economicamente non ne parliamo. Certo, nascondere il fattore ambientale, era un po’ più difficile…

 

Insomma sarebbe necessario iniziare a domandarci se il sistema così ottenuto nella nostra evoluzione, sia un sistema, non tanto buono o cattivo, ma sostenibile. Dovremmo iniziare a chiederci a cosa porta o conduce una nostra azione, individuale o collettiva, comune che sia. Dovremmo sapere che se ad un’azione corrisponde una reazione uguale e contraria, non potremmo sperare nel fatto che dalla combustione degli idrocarburi si sprigioni ossigeno. Questo dovrebbe avvenire anche ponendosi altre domande, del tipo: “Se immettiamo nell’atmosfera massicce concentrazioni di CO2 cosa potrebbe accadere?”

 

Tutto questo, queste domande, avviene, ma solo in parte.

 

È necessario rilevare come un sistema, uno stato o nazione, basato sul benessere provochi una specie di rilassamento che quasi sconfina in una sorta di torpore mentale (e spesso anche fisico) dovuto all’assenza o alla presenza di strumenti di svago utilizzati non come duplice obbiettivo, di rilassamento/divertimento e di cultura, ma spesso ci troviamo di fronte solo alla necessità, da parte di chi governa, di elargire piacere, benessere mentale e questo, come il lavoro manuale esercita le membra del corpo, al contrario non fa si che la mente umana rimanga allenata al ricordo, alla logica, al calcolo.

 

Se dunque era estremamente comprensibile al mondo greco antico che le arti fossero fondamentali, – tanto da mettervi a protezione di ognuna una Musa a loro volta generate dalla memoria dalla dea della Memoria – era anche normale che la Grecia antica, Atene in particolare, abbia puntato sempre su due cardini, indici e causa di benessere: cultura e svago.

 

Ognuno di noi è in grado di porsi delle domande su quello che avviene nel reale e sembra certo che questo non avvenga ormai da tempo o che questa sia una prerogativa limitata a pochi.

 

Pericle aveva capito l’importanza del teatro e alle sue ancelle, Melpomene e Talia, aveva chiesto di rendere edotti i suoi concittadini, i quali non solo si recavano di buon grado in Teatro, ma percepivano una sorta di stipendio minimo, una paga: il testatico.

 

Ad Atene c’era comunque qualcuno disposto a pagare perché la gente apprendesse; durante l’apoteosi dell’esperienza democratica, si vennero a creare i primi scandali d’identificazione figurativa, di natura ideologica e sessuale. Lo stesso Pericle che aveva utilizzato il teatro come un fascio energetico in grado di “orientare” il processo democratico, fu coinvolto in almeno tre scandali che andavano a colpire il leader d’Atene. Il teatro era divenuto uno degli strumenti di conoscenza, emancipazione allo stesso tempo, spogliandolo delle maschere culturali, di Tragedia e Commedia, un semplice sistema di trasmissione diretta mass-mediatico.

 

Loro ci sono arrivati prima di noi, la democrazia è nata con loro, con i Greci e dovrebbe essere normale, scontato, osservandone il processo storico, che siano loro a fungere da “tracciante” per gli accadimenti a venire.

 

L’impressione che la Memoria, in qualità di Ricordo ma anche di sistema comune di derivazione genetica, sia stata messa da parte e che la cultura derivabile dalle impostazioni evolutive della nostra civiltà così come ci è stata consegnata, abbia subito una sorta di frattura, anche se è più probabile che questa sia semplicemente una evoluzione, il che non sarebbe un danno, se a sua volta non stesse perdendo una determinata caratteristica: la capacità di comprendere il reale, quello che avviene e, di conseguenza, quello che accadrà. Come se stesse svanendo la capacità di ragionare. Ma forse anche questo era stato previsto.

 

Che questo sia dovuto al controllo dei mezzi d’informazione o all’uso del terrore per il controllo delle masse, secondo le grandi teorie complottiste, non è possibile affermarlo con certezza, tuttavia un meccanismo simile era conosciuto e praticato anticamente, se Platone poteva scrivere:

 

“Tutto quello che realizzano lo fanno tramite l’uso della forza delle armi, oppure, senza arrivare fino a questo punto, impongo una simile costituzione mediante l’intimidazione” e non ci è dato di sapere qual è la realtà delle cose, poiché i nostri occhi, fuorviati dagli schermi e dalle notizie, non ci possono garantire un filtro univoco, che normalmente dovrebbe essere garantito dall’uso della ragione, possiamo però renderci conto della perdita di una forte capacità critica costruttiva.

 

Una sorta di controprova alle parole di Platone può essere considerata l’infausta bugia mediatica di George W. Bush, il 20 marzo del 2003, che affermava come l'Iraq si stesse per dotare di armi di distruzioni di massa, riportando come prova un finto dossier che parlava di traffico di uranio dal Niger con destinazione Baghdad. Il presedente, eletto per la seconda volta, con il placido consenso della propria nazione cominciava una guerra che, a distanza di cinque anni, sembra essere divenuta il Vietnam del XXI secolo.

 

In molti se n’erano accorti già al momento della rielezione del 2004, ma ribadirono il voto precedente, continuando a dare fiducia a chi, a molti occhi del mondo aveva e stava ancora mentendo, ammettendo in un’intervista all’emittente Abc di essere stato «impreparato ad entrare in guerra», senza nascondere gli errori sulle armi di distruzione di massa. «Il mio più grande rimpianto? Le informazioni sbagliate sulle armi di distruzione in Iraq». In questo modo ammetteva, il giovane Bush, una serie di errori che i politici non dovrebbero commettere, per incuria, negligenza, incapacità, affermando inoltre che la guerra in Iraq era andata oltre le sue aspettative. «Molte persone hanno messo la propria reputazione in gioco dicendo che le armi di distruzione di massa erano una ragione per destituire Saddam», ha infine detto Bush, firmando il proprio atto di colpevolezza assoluta e scaraventando lo stesso popolo statunitense all’inferno.

 

Da quest’esempio, è evidente che siamo, in pratica, in balia di ciò che ci circonda e ci comportiamo in base a quello che viene proposto. Inoltre manca la capacità di comprendere che il benessere ottenuto negli ultimi anni in parte è stato, e in larga parte deve ancora essere pagato. Le ombre delle nuvole portatrici della crisi economica ci hanno già raggiunto da tempo e solo adesso iniziamo ad avvertire qualche goccia di pioggia, più che altro portata dal vento, che presto potrebbero trasformarsi in un uragano senza precedenti.

 

“Com'è accaduto? Di chi è la colpa? Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovranno rispondere di tutto ciò; ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate il colpevole.. non c'è che da guardarsi allo specchio. Io so perché l'avete fatto. So che avevate paura. E chi non ne avrebbe avuta? Guerre, terrore, malattie. C'era una quantità enorme di problemi, una macchinazione diabolica atta a corrompere la vostra ragione e a privarvi del vostro buon senso. La paura si è impadronita di voi…”

 

Quello presentato da F. Ferrari, è uno scritto che riporta la questione del regime politico come elemento necessario di una spiegazione e la frase d’apertura del libro di Popper riporta evidentemente ad una sorta di negativizzazione del filosofo greco con un filone di rabbia che sembra colpirlo nel profondo, tanto da fargli appositamente utilizzare una frase simbolo per negativizzare la visione platonica della politica, per constatare con quanta amarezza Platone avesse già ragione.

 

“La mia opinione che Platone sia stato il più grande di tutti i filosofi non è per nulla mutata. Anche la sua filosofia politica e morale, come realizzazione intellettuale, non può essere paragonata a nessun’altra, anche se la trovo moralmente repellente e addirittura spaventosa”.

(K.R. Popper, La società aperta e i suoi nemici)

 

Sembra più un rigurgito di bile dovuto in realtà alla impossibilità di attuazione di un vero governo democratico: è come se si rendesse conto, il filosofo e con lui l’autore, che già Platone avesse capito, intuito ma più semplicemente dedotto, che le parole Democrazia ed Utopia coincidono.

 

Chiaramente non si vuole, in questa sede, tentare di sostenere che i concetti di Democrazia antica e moderna siano comparabili, tutt’altro. Piuttosto invece alquanto evidente che questo problema già si fosse posto quasi due secoli fa.

 

“In realtà, ogni tipo di eccesso suole produrre, come effetto della reazione, un mutamento di senso opposto, tanto nelle stagioni quanto nelle piante e nei corpi, e certo non meno nelle costituzioni. […] Sembra infatti che un’eccessiva libertà non si trasformi in nient’altro se non un’eccessiva schiavitù, nella vita privata come in quella pubblica. Dunque la Tirannide non s’insedia a partire da ness’un’altra costituzione se non da quella democratica, dall’estrema libertà, a mio avviso, la schiavitù maggiore e la più selvaggia.”

 

Nel 1819, Henri-Benjamin Constant de Rebecque affermava, davanti alla platea degli studiosi nella Athénée Royal de Paris e cercando di dare un’interpretazione di democrazia (coincidente con il termine di libertà), che secondo la visione antica sarebbe consistita ”…nell’esercitare collettivamente ma direttamente molte finzioni della sovranità, nel deliberare… sulla guerra e sulla pace, nel concludere… i trattati di alleanza, nel votare le leggi, pronunciare giudizi, esaminare bilanci, atti gestione dei magistrati, nel far comparire davanti al popolo intero, nel metterli sotto accusa, nel condannarli e nell’assolverli. Era questo che gli antichi intendevano per libertà”.

 

È naturale riscontrare tante, troppe analogie con la situazione attuale, anche, e forse maggiormente, italiana. Questo, il rapporto tra i privati (idiotes) e il pubblico (to koinòn), e a loro volta con la politica, adesso è effettivamente troncato; troncato dall’impotenza dei privilegi che il nostro mondo ha conquistato in migliaia di anni di civiltà, passando tra pesanti pedaggi bellici e tre rivoluzioni nazionali. Dopo questa evoluzione ora sembriamo imbrigliati, all’interno di un meccanismo in cui noi stessi abbiamo deciso di crescere e di tentare di dare una forma all’utopia politica del buon governo.

 

L’impossibilità, in evidente contrasto col concetto di democrazia antica, va nella direzione del voto. È qui che si avviluppa il nodo di Gordio della politica reale. Ovvero che ruolo può essere dato al voto se questo non ha una connessione reale con la vita politica. Con la scelta dell’estensione del voto a tutti, sono stati concessi dei privilegi che rendono di fatto le decisioni prese dai nostri rappresentanti come legittime davanti alla comunità internazionale e davanti al popolo stesso che ha eletto i legislatori.

 

Se non volessimo proprio entrare nel merito – pur condividendo appieno la teoria mercatistica di C. Zepponi (Instoria N° 10 - ottobre 2008 [XLI]: La democrazia assoluta. Pensieri e... riserve) secondo cui: “...il voto è una merce come le altre, accaparrabile a patto di disporre di ingenti risorse finanziarie, sociali, religiose e politiche. Ma nelle democrazie occidentali questo sistema passa sotto silenzio, divenendo la regola. In questo modo, le preferenze convergono a sostegno dei ceti medio-alti – i soli che se lo possono permettere – tradizionalmente moderati” – basterà ricordare che la decisione di estendere il voto non solo è divenuta una questione mercanteggiante guidata in ambito economico, in un sistema corrotto come quello occidentale, ma fondamentalmente culturale.

 

La cultura, che deve necessariamente essere applicata al regime democratico, conduce portare ad un sistema di coscienze comuni in cui i concittadini di un’entita politica (stato, nazione, regione o comune) votano i propri rappresentanti in modo che questi tutelino e accrescano il Bene Comune. Invece, visti i presupposti, già esposti, la perdita culturale si manifesta principalmente nei rappresentanti democraticamente eletti e poi nel popolo, vessato per anni nelle sue basi culturali e razionali da forme di propaganda sensazionalistiche e da messaggi subliminali lanciati via etere. La pubblicità rappresenta l’esempio forse più eclatante del termine propaganda, tanto che le due parole, ad oggi, quasi s’identificando. Il particolare, pubblicità, ha preso il sopravvento sull’idea, la forma più bieca per indicare un termine che già di per sé contiene un elevato numero di connotazioni non positive.

 

Educazione. Era Educazione quell’idea. Non nel senso di impostare le inclinazioni personali ed individuali di un essere umano verso un sistema di valori morali comuni, bensì nel senso della parola, che spesso ci dovrebbe ricondurre a ragione, portare fuori quei valori di cui l’essere umano già ne conosce l’esistenza e infine “condurre all’esterno” quelle inclinazioni, proprie dell’essere umano.

 

In questo modo le persone guidate dalla propaganda e da sua figlia, la pubblicità, produssero già 5 secoli prima di Cristo un simpatico racconto che sintetizzava quali sarebbero stati i drammi della democrazia e di un voto irresponsabile.

 

Ricorda un po’ il fatto che nel 482 a.C., Temistocle fosse riuscito a spingere la folla affinchè questa ostracizzasse il suo nemico politico Aristide. Questo recandosi per le votazioni, incontrò per la strada un cittadino analfabeta, che non lo aveva riconosciuto. Il votante gli chiese se gentilmente scrivesse sul suo coccio il nome di colui che avrebbe voluto fosse ostracizzato (esiliato), ovvero lo stesso Aristide. Senza scoprire la propria identità il politico gli chiese cosa gli avesse fatto di tanto grave “questo Aristide”. “Sono stufo di sentirlo chiamare il Giusto!” (Plut., V.P., Arist. 7.1) – rispose il votante.

 

A parte riguardo la risposta del cittadino “culturalmente poco elevato e guidato dal sistema antipropagandistico” e la reazione di Aristide – che ognuno dei nostri politici dovrebbe riportare come vademecum giornaliero, che vide lo stratega scrivere il proprio nome e accettare l’esilio serenamente e benedicendo la propria città, nonché patria – dobbiamo soffermarci sulla mano di chi votava… o per meglio dire di colui che avrebbe voluto e dovuto votare.

 

Vi è una tripla gravità nel racconto precedente: il cittadino lascia che sia un altro a scrivere sottolineando una prima forma di poca acutezza mentale, in secondo luogo vota in base ad una strana forma di “propaganda inversa”, in cui la troppa fama provoca l’effetto contrario e infine è (ir-)responsabile del proprio voto.

 

Determinati scandali attuali di qualsiasi tipologia, stanno investendo ancora una volta il mondo politico e ormai sembra che questo ne abbia fatto la colonna portante della propria immagine, della sua propaganda. Il tutto senza considerare gli scandali legati al rapporto economico ormai consolidato, appalti/tangenti ed è per questo che chi vota deve sentirsi responsabile del proprio voto e di chi si elegge a governare, “…che con la sua forza d’attrazione verso quei piaceri che comportano dispendio invece che guadagno di denaro…”

 

A meno che non si voglia ammettere che il voto sia stato coscientemente dato. Se ci trovassimo di fronte ad un’evenienza del genere, cioè che i liberi cittadini hanno votato razionalmente persone invischiate in ogni sorta di scandalo e incapaci di governare a livello globale, sarebbe appena un po’ più grave il fatto di dover accettare una serie di situazioni che sono legalmente illecite, ma che vengono accettate dalla collettività come “cose poco gravi”, che rendono il popolino colpevolista nell’immediato e nei confronti degli stessi eletti, per poi in un’amnesia generale tornare a votare gli stessi che negli anni precedenti si sono resi colpevoli di calunnie e crimini sotto multipli aspetti.

 

“Non ti è mai capitato di vedere, in una simile costituzione, uomini condannati a morte o all’esilio che nondimeno restano nella città e se ne vanno in giro, come se nessuno ci facesse caso o li vedesse, vagando qua e là come il fantasma di un eroe?”*

 

Ma qui subentra una giustificazione che – oltre a creare una sorta di difesa, sottolinea i limiti di un’assenza culturale di chi vota – in parte risponde a due domande poste poco sopra: perché nella rivolta vengono prese d’assalto le banche e il perché della presenza di un bombardamento mediatico, tra l’altro pregno di un patetismo quasi imbarazzante.

 

“(In questo modo) …finiscono per conquistare l’acropoli dell’anima del giovane, accorgendosi che è vuota di conoscenze, di belle occupazioni e di discorsi veri, che sono i migliori guardiani e difensori nella mente di uomini cari agli dèi”.

 

Il sistema a suffragio universale si basa sulla possibilità di concedere il voto a tutti, in questo modo avviene o per meglio dire si spalanca un complesso sistema complementare che definisce a priori due caratteristiche: la libertà popolare assoluta e l’impossibilità di negazione di quella stessa libertà. La concessione democratica, di una serie di libertà, permette ai cittadini di uno stato, una sorta di illusione generale secondo cui il proprio voto abbia un valore, che potenzialmente è innegabile. Questo provoca il suffragio di alcuni candidati, eletti dal popolo che una volta al potere sono autorizzati a dire e fare quello che vogliono, proprio perché scelti democraticamente dallo popolo stesso che non può ribellarsi ad una propria decisione.

 

Ormai, le esemplificazioni partitiche degli ultimi anni stanno portando ad un sistema di elezione dei candidati che si stanno concretizzando in un bipartitismo che convoglia le maggioranze di coloro che riescono ad accaparrarsi il maggior numero di voti, secondo due sistemi antichi: quello mass-mediatico e quello clientelare. Il primo è il sistema che si è sviluppato in base a due elementi basati sulla propaganda personale e sull’impatto mediatico, anticamente esemplificato dalla figura dei retori o demagoghi, e dal teatro, elemento d’impatto emotivo utilizzato come grimaldello sulla commotio communis.

 

Il secondo, embrionalmente presente nella Grecia Classica, con la Roma Repubblicana, diviene la regola: i clientes, activa pars (da cui la parola partito) di un candidato venivano, pagati, favoriti e spesso resi partecipi dell’enturage dell’eletto in cambio di un voto, o di un numero consistente di essi, che gli stessi clientes sarebbero riusciti a rimediare.

 

Una forte discriminante del sistema di voto di tipo democratico è, incredibilmente, proprio la concessione del voto a tutti, compresi che non hanno i mezzi culturali e morali per poter considerare quello che accade realmente. È normale che se il voto viene dato da chi ritiene la materialità delle cose alla base della propria vita questo sarà senza ombra di dubbio più corruttibile e quindi pronto a “vendere” il proprio voto in cambio di favori di base, soprattutto economici.

 

Quello a cui assistiamo è un circolo vizioso in cui coloro che assurgono al potere primariamente “…escogitano motivi di spendere per se stessi, e a questo scopo danno una falsa interpretazione delle leggi, alle quali non obbediscono… poi a forza di guardarsi l’un l’altro, finiscono per diffondere questo modo di vita…”, in questo modo gli elettori voteranno necessariamente i loro detrattori.

 

Per tagliare corto, basterà citare il saggio di Luciano Canfora, Sulla democrazia, in cui si evidenzia che l’effettivo funzionamento del potere decisionale delle democrazie occidentali segna il trionfo del platonismo, in quanto a decidere non è il popolo, e neanche i suoi rappresentanti (parlamentari), bensì il movimentazionismo economico che rimbalza su quello politico sotto forma di grandi lobbies finanziarie ed economiche rappresentato dai vari Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca Centrale Europea, Federal Reserve.

 

Il problema è che questo non è evidente o non vuole esserlo, ma incredibilmente lo era già quando l’Accademico scriveva che “…gli uomini d‘affari, a testa bassa sembra che neppure vedano gli altri cittadini, che man mano che si mostrano arrendevoli, li colpiscono iniettandogli denaro, per ricavare, moltiplicati, gli interessi…”

 

L’aggravio di una situazione già pesante è data dalla seconda questio, in ordine sintattico, su cui si basa il nostro discorso. Se la connivenza, forse incosciente, del sistema economico-elettivo trova riscontro in un sistema romano clientelare, il sistema ‘greco’ applicato alla realtà riconduce ad una problematica, ben più grave. E di molto.

 

Nessuno può negare la propaganda ad un individuo che, magari in maniera subdola, riesce ad ottenere consensi nelle masse che culturalmente risultano più disagiate – sì, ché il disagio economico, primo indice assoluto, è quello meno grave – e nessuno può negare che avvengano rappresentazioni che conducano al loro interno un certo tipo di messaggio, teso magari a determinati scopi, come eccitare le masse verso una decisione o verso un’altra, oppure a convogliarle verso un orientamento. Nessuno lo vuole impedire.

 

Ma noi abbiamo l’obbligo di chiedere a noi stessi quale sia stata la nostra scelta elettorale che, come nel corpo che abbisogna e necessita di cura e di cure, così è giusto esigere che coloro che ci governano si occupino di spingerci verso una cultura pensante, cosciente e vigile. Poichè sembra che la coscienza comune e la ratio, la capacità di ognuno di noi di riconoscere le leggi del reale e di discernere ciò che ha una funzione, di discernere ciò che è utile da quello che non lo è, siano sopite.

 

Questa capacità potrebbe portare, la cultura e la facoltà d’usare la propria ratio in maniera costruttiva, ad un più oculato riconoscimento di ciò che realmente è utile o meno per la collettività da quello che appare come superfluo e inoltre potrebbe restituire una certa elevatura culturale, in antitesi all’adeguamento delle masse al sistema del superfluo, e una certa onestà o integrità morale.

 

La cosa che sembra sconvolgente è che anche davanti alla realtà ed evidenza delle cose le masse sembrano morfinizzate dalla tipica tecnica di ammortizzamento plurale conosciuto con la parafrasi: panem et circenses.

 

Secondo Platone in realtà la democrazia è portatrice di gravi mali, poiché dal suo sistema corretto nasce e si sviluppa il peggiore dei mali: l’assenza di un’autorità capace e il dominio dell’anarchia creano le condizioni per un conflitto generalizzato interno “che il popolo crede di risolvere affidandosi completamente ad un difensore e dotandolo di poteri straordinari… e che invece danno luogo alla tirannide”.

 

Il processo è valevole in tutti i campi e in tutte gli stati occidentali dall’antichità ad oggi nel momento in cui viene utilizzato un proclama democratico. La tirannide, il peggiore dei sistemi di governo subentra subito dopo, sotto forme mutevoli, al sistema politico definito come Democrazia. Ciò accadde all’Atene soloniana del VI secolo a.C., quando subentrò Pisistrato, oppure come già sottolineato dal Costant, propinatore della Roma Repubblicana ( = Democratica) su cui la Rivoluzione Francese, alla ricerca dei tre valori presenti in democrazia, e propri del movimento popolare, aveva basato le sue istituzioni che produssero come risultato il governo personale di Napoleone. Senza, tra l’altro, voler ricadere nuovamente negli esempi, più vicini e piuttosto comuni, derivati dalla precoce caduta del Governo Giolitti e della debolezza della Repubblica di Weimar che confluiscono nella nascita dei due esempi più negativi, e allo stesso tempo esemplari, di atroce tirannia politica.

 

Ma per il filosofo Ateniese non si tratta di una questione di principio, in cui egli afferma che la democrazia non è il migliore delle forme di governo possibili. Tutt’altro. L’allievo di Socrate evidenzia come la Re Publica debba essere governata da una “classe” di saggi, savi e/o sapienti, ovvero che i rappresentati siano scelti dal popolo come i migliori. Cosa che oggi si sviluppa proprio in antitesi al sistema attuale, precipuamente italico.

 

Per continuare a tenere unite le estremità del passato e del presente, basterà riportare gli esempi avuti da un programma in onda sulle reti Fininvest nel 2006. Alcune puntate del programma Le Iene andate in onda proponevano una ‘spietata’ Sabrina Nobile nelle vesti di un’intervistatrice di alcuni senatori ai quali venivano chieste alcune, semplici domande di cultura generale, un po’ come si fa ora negli esami preselettivi dei concorsi pubblici destinati alla massa del popolo. A questo arduo compito erano chiamati personaggi come onorevoli e senatori; da qui ne nacque una gag esilarante, in cui le risposte o i camuffamenti della propria ignoranza raggiungevano livelli di tattiche belliche, come ultima e strenua difesa a continui attacchi culturali. Una catastrofe totale!

 

E va bene. Nessuno obbliga o chiede che i nostri parlamentari debbano essere culturalmente elevati o debbano possedere una cultura di base media. Nessuno. Ma forse si richiederebbe un po’ di onestà morale e coerenza politica, quella almeno si. Il minimo, almeno…

 

Anche in un secondo caso è necessario riportare la trasmissione di Italia 1 già citata in precedenza e che rese pubblico l'uso di droghe da parte degli Onorevoli. Nel settembre/ottobre del 2006, Matteo Viviani, inviato de Le Iene e cammuffato da giornalista, ha intervistato 50 onorevoli che venivano sottoposti ad un drug wipe (test antidroga tramite l’analisi del sudore). Risultato: 16 onorevoli su 50 sono risultati positivi al test. Nelle ultime 36 ore, 12 tra deputati e senatori avevano assunto marijuana e 4 cocaina.

 

La congiunzione di una forte ambizione economica, la mancanza di cultura, messaggi propagandistici privi di una realtà a venire positiva, hanno provocato una distorsione del reale dovuta ad encomi e proclami “…che con dolci eufemismi definiscono l’arroganza ‘buona educazione’, l’anarchia ‘libertà’, la dissolutezza ‘magnanimità’, l’impudenza ‘coraggio’”.

 

E dunque in un contesto di questo tipo che le connotazioni di un risvolto politico e sociale prendano la forma di un conflitto di tipo generazionale in cui “…i giovani assomigliano agli anziani e competono con loro nelle parole e nelle azioni, mentre i vecchi, per compiacere i giovani, abbondano in facezie e spiritosaggini, imitandoli per non sembrare sgradevoli e dispotici.”

 

“E lì dove una volta c'era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza, che vi costringono ad accondiscendere a ciò e vi hanno promesso ordine e pace in cambio del vostro silenzioso, obbediente consenso...”

 

Le conclusioni dovrebbero essere logiche e in Grecia, lo sono state. “L'uccisione – tra l’altro macabramente ironica, di colui che portava il nome del più grande dei Greci, Alèxandros (NdA) – da parte di un agente di polizia, organo di stato a tutela della sicurezza pubblica, ha scatenato una serie di manifestazioni, proteste e azioni violente da parte di migliaia di studenti e militanti anarchici in tutto il Paese…”. (Reuter)

 

Se gli stessi organi d’informazione attribuiscono la responsabilità di queste rivolte alla “…già crescente rabbia dell'opinione pubblica per gli scandali politici e l'impatto della recessione globale sull'economia greca”, vuol dire che esiste un’eventualità secondo cui gli effetti di una democratizzazione dei popoli, avventata e inadatta, ha prodotto degli scompensi principalmente economici, morali e culturali – senza considerare i veri e propri danni ambientali – difficilmente risanabili con un processo culturale, a meno che non si giunga ad un punto di svolta.

 

Le cose incominciano a diventare preoccupanti in realtà, non per le varie rivolte che si sono susseguite, e neanche per i dati che oltre alla richiesta di elezioni anticipate – puntualmente respinte dal primo ministro Costas Karamanlis, leader del partito che sbeffeggiando ironicamente passato e presente, porta il nome di NEA DEMOKRATIA (Nuova Democrazia) – bensì per i risultati di due sondaggi dei giornali Ethnos e Kathimerini che affermano che l'83,3% dei Greci disapprova la risposta data dal governo, che lo scontento – pari al 65,6% – è diffuso sia tra i sostenitori del partito di maggioranza. Il 68% degli interpellati disapprova l'operato del governo e soprattutto, udite udite!, è chiaro al 60% del campione intervistato che le rivolte sono sollevazioni sociali e non episodi di violenza da parte di pochi e isolati manifestanti.

 

Ebbene si. Potrebbe trattarsi proprio di sollevazioni, rivolte, ribellioni sociali.

 

E in un quadro così completo, come quello fornito in cui il sistema occidentale, mal retto e governato dai politici – oltre a rispecchiare il fatto, in realtà, che per anni ha mantenuto una solidità economica invidiabile, tanto da non essersi mai trovato in una seria difficoltà economica o esser mai sfiorato dall’incubo di una crisi – ora si trova in bancarotta, ovviamente per i debiti accumulati.

 

Queste rivolte, non devono essere prese come un fattore negativo di tipo parabellico o rivoluzionistico, perché rappresentano il campanello d’allarme di una classe, o per meglio dire di un gruppo, di persone che ritengono che il sistema finora propinato possa condurre ad una situazione sociale ed economica, molto più grave di quella attuale e nel voler dimostrare ciò, vengono presi di mira i maggiori responsabili di questa situazione, coloro che ci governano: politicamente ed economicamente.

 

Da qualche anno con cadenza quasi biennale si assiste a delle sollevazioni, per lo più giovanili che si oppongono a questo tipo di sistema, ormai radicato e compassato, che ha provocato solo dei benefici momentanei ed effimeri, senza porre le basi per un solido futuro.

 

Dalle rivolte del “popolo di Seattle”, ai vari G8, ai numerosi scontri nelle banlieues francesi che videro l’inizio di una serie particolarmente violenta di azioni proprio con la morte di Carlo Giuliani, di Zyed Benna e Bouna Traoré, si è giunti ai fatti ellenici e al ‘nostro Alexis’.

 

“È vero, la rivolta francese è partita come qui per un episodio di ingiustificata violenza poliziesca. Ma le similitudini finiscono qui. Il nostro movimento è composto da decine di migliaia di persone normali che chiedono solo una politica diversa, più attenta ai bisogni dei lavoratori e dei giovani”. Di questo ne è ben convinto Dimitris Tzanakopoulos, leader della rivolta greca che negli ultimi giorni ha preso di mira tutti i simboli del potere e della ricchezza: dalle sedi di polizia agli esercizi commerciali, dicendo che “…quello che stiamo vivendo potrebbe verificarsi ovunque: in Italia, in Francia, laddove la privatizzazione dei servizi e la recessione economica rendono esplosiva la situazione, in tutte le democrazie a capitalismo maturo.” Appunto, maturo…

 

Oggi 31 dicembre 2008, ad Atene, il conto alla rovescia per l’arrivo del nuovo anno è stato bloccato, perché non si dimenticasse. Il grande orologio digitale presente sul megaschermo in piazza Syntagma rispecchia quello che aveva risposto Dimitris, il leader della rivolta, alla domanda: “È in grado di promettere che finiranno le violenze?” e a tutt’oggi ancora valido e attuale poichè la risposta coincide con i fatti del capodanno greco, secondo il quale: “Non dipende da noi smettere. Non controlliamo le bande anarchiche e i giovani sottoproletari delle periferie. Qualcosa però possiamo promettere: che non finisce qui, la mobilitazione continua.

 

E continua la protesta, forte, pressante, nei riguardi del governo, continua e martellante, ad oggi lunga quasi un mese. Come uno tzunami che inghiotte una squallida “onda anomala” ormai assopita da qualche, controllato, cinematografico e ridicolo tafferuglio…

 

“La sua speranza, quella di ricordare al mondo che l'equità, la giustizia, la libertà sono più che parole: sono prospettive.” […] “Ma se vedete ciò che vedo io, se la pensate come la penso io, e se siete alla ricerca come lo sono io, vi chiedo di mettervi al mio fianco…”

 

Quotes tratte dal film: V per Vendetta, tratte a sua volta dal fumetto omonimo di Alan Moore e David Lloyd

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Contro la Democrazia. Platone. A cura di Franco Ferrari, Roma 200

 

 

 

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