[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

181 / GENNAIO 2023 (CCXII)


attualità

RIFLESSIONI SULLA DECOLONIZZAZIONE

UN PROCESSO MAI TERMINATO

di Francesco Perri

 

Il processo di decolonizzazione non è mai terminato. Non è mai stato un processo destinato a una chiusura totale, ma solo parziale. Questo è il primo tassello da cui è doveroso partire se si vuole affrontare il fenomeno nella sua complessa articolazione.

 

Il cammino dei paesi colonizzati verso l’indipendenza ha avuto tempi e modalità diverse. Un’indipendenza a cui si è arrivati attraverso pacifiche pressioni, dopo una trattativa tra la madrepatria e i gruppi dirigenti locali, o, in molti casi, attraverso vere e proprie guerre di liberazione, una strada quest’ultima violenta e in genere percorsa con l’adozione del sistema della guerriglia: agli eserciti dei paesi coloniali si contrapponevano reparti irregolari o piccoli gruppi che godevano dell’appoggio della popolazione e agivano con azioni rapide e sabotaggi.

 

L’aspetto che in questa sede si vuole sottolineare è che, tralasciando la modalità attraverso cui sia stata raggiunta l’indipendenza, i nuovi Stati, reduci e vittime del sistema coloniale, venivano lasciati in una condizione di alta precarietà: povertà, corruzione, mancanza di una classe dirigente, di una cultura di governo. Soprattutto i colonizzati lasciati privi di identità nazionale che sarebbe stato difficile nel tempo ritrovare e ricomporre nella sua totalità.

 

La condizione dei nuovi stati dopo il terrorismo coloniale è utile da ricordare, ma è altresì utile spiegare gran parte dei drammi che hanno accompagnato la decolonizzazione partendo da una consapevolezza assoluta: la coscienza dello sfruttamento e dell’annullamento. Da qui, l’intento è quello di conoscere i motivi per i quali i paesi abbiano deciso di rivendicare la loro libertà e di raggiungere l’indipendenza, un’indipendenza che ancora oggi tarda ad arrivare o che forse è destinata a non essere mai raggiunta e afferrata in modo certo.

 

A fronte di una concezione cosi pregna di significati espliciti e diretti, la dicotomia colonizzatore-colonizzato assume grande peso, soprattutto se analizzata con l’obiettivo di eliminare ogni falsificazione possibile, come quella proposta da un giurista francese, secondo il quale la possibilità concreta di colonizzare significava “allacciare un rapporto con paesi nuovi per ricavarne risorse di ogni tipo, valorizzarle nell’interesse nazionale, e allo stesso tempo portare alle popolazioni primitive, che ne sono prive, i vantaggi della cultura intellettuale, sociale, scientifica, morale, artistica, letteraria, commerciale e industriale, appannaggio delle razze superiori”.

 

Già che si parli di razza è un delitto contro l’umanità, ma perché dover far passare il concetto della colonizzazione come una pratica dopotutto bonaria e innocua? Che diritto si ha di enunciare un’assurdità di questo genere?

 

Che diritto avevano gli europei di governare il mondo, se poi i loro grandi ideali morali e politici di libertà e democrazia si rivelavano buoni solo per la più spaventosa carneficina di tutti i tempi?

 

I colonizzatori non conquistavano per portare alle popolazioni primitive, che ne sono prive, i vantaggi della cultura, ma per arricchirsi a loro spese. E inoltre, un aspetto questo decisamente cruciale, per godere dei tanti vantaggi forniti dall’ineguaglianza: essere una minoranza protetta dalla legge, in un ambiente in cui qualunque torto o sopruso era autorizzato, farsi servire da una manodopera abbondante e priva di diritti, misurare con soddisfazione l’immensa distanza sociale e politica che li separava inesorabilmente dai colonizzati. Per questo motivo, i nuovi Stati hanno rivendicato non senza fatica e pregiudizi la loro libertà. Hanno raggiunto tortuosamente un’indipendenza che, come stiamo affermando più volte, non è stata mai risolutiva e definitiva, ma approssimativa e labile.

 

L’idea corrente che si ha sui libri di storia è che con la concessione dell’indipendenza da parte delle potenze europee alle ultime colonie, l’epoca del dominio si è conclusa tra gli anni Quaranta e Sessanta, ma in pratica non è così. È qui che è presente l’errore. È qui che si commette lo sbaglio di parlare dei fenomeni storici senza tener conto delle loro determinazioni e delle loro interazioni con l’attualità. Oggi, la stagione coloniale e imperialista è finita. Gli imperi coloniali in Africa come in altri paesi non esistono più. Esistono però e sono sempre più marcatamente visibili, nonostante tutto, i retaggi e le ferite inconsce che quel periodo storico ha lasciato sul continente, sulla società e sul presente di questi paesi, minandone in alcuni casi anche il futuro. 

 

L’epoca del dominio è continuata prima con la dipendenza economica dettata dal cosiddetto neocolonialismo, fenomeno per il quale gli ex colonizzatori hanno mantenuto il controllo delle loro antiche colonie, dopo l’indipendenza, attraverso il dominio delle loro economie e l’ingerenza nella loro politica, continua ora con un’altra forma di neocolonialismo mascherata da collaborazione commerciale bonaria. Ancora un’altra falsificazione. Questa volta legata al presente, ma che continua a non avere nulla di bonario, anzi al contrario. Si ripropone la medesima logica di appropriazione e di sfruttamento attraverso una resistenza oppressiva e una collaborazione forzata.

 

È una forma di colonialismo sottile, più difficile da riconoscere e da inquadrare, che sfrutta la povertà di paesi, vittime di un passato coloniale irrisolto e mai concluso, per offrire occasione di investimenti, senza chiarire bene le condizioni. Attraverso l’impianto di infrastrutture e l’offerta sempre più crescente di denaro prende il controllo, economico in primis e culturale dopo, dei territori che vengono danneggiati fino a essere annientati, se non addirittura annullati completamente.

 

Si potrebbero fare esempi attuali connessi all’Africa, all’Asia, all’America meridionale e ad altri contesti, ma non è questa la sede per farlo. Se venissero pronunciati, il rischio sarebbe quello di generalizzare e di semplificare un argomento che invece merita rigore storico e soprattutto consapevolezza critica.

 

Senz’altro il colonialismo esiste ancora e non soltanto nella contrapposizione dei cosiddetti parametri Sud e Nord del mondo. Il neocolonialismo andrebbe valutato e analizzato come un sistema di pensiero concreto e tangibile che ha a che fare con la libertà, la disponibilità economica e politica, la possibilità di beni e risorse non necessariamente materiali o venali ma anche culturali, soprattutto con la logica onnicomprensiva di progresso dietro alla quale si nasconde quasi sempre il rischio di uno sfruttamento spietato.

 

L’identità di ogni paese si fonda sulla conoscenza effettiva e scrupolosa del passato. Un passato che, all’interno dell’analisi tratteggiata, diventa prepotentemente presente.

È un dovere e un obbligo affrontare la questione coloniale e postcoloniale come processo in divenire, con un attenzione vigile su ogni sua determinazione e su ogni suo incastro con la dimensione attuale.

 

  

Riferimenti bibliografici:

 

A. Memmi, Ritratto del decolonizzato. Immagini di una condizione, Cortina Raffaello, Milano 2006.

P. Viola, Storia moderna e contemporanea, Einaudi, Torino 2000.

Oggi Storia: Il novecento, a cura di E.B. Stumpo, I. Cotta e F. Luti, Mondadori, Milano 2008.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]